Settimana dopo la dedicazione – martedì
La spiritualità di questa settimana
Inizia oggi la lettura del libro dell’Apocalisse. Un libro difficile, perché non siamo abituati alle immagini e allo stile di questa rivelazione. Per metterci a leggere questo testo abbiamo bisogno di metterci in silenzio interiore, in atteggiamento di ascolto e di comprensione, per trarre, poi, dall’ascolto la nostra preghiera.
La Parola di questo giorno
LETTURA Ap 1, 9-20
Lettura del libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo
Io, Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza in Gesù, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e giorno del Signore e udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva: «Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese: a Èfeso, a Smirne, a Pèrgamo, a Tiàtira, a Sardi, a Filadèlfia e a Laodicèa». Mi voltai per vedere la voce che parlava con me, e appena voltato vidi sette candelabri d’oro e, in mezzo ai candelabri, uno simile a un Figlio d’uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d’oro. I capelli del suo capo erano candidi, simili a lana candida come neve. I suoi occhi erano come fiamma di fuoco. I piedi avevano l’aspetto del bronzo splendente, purificato nel crogiuolo. La sua voce era simile al fragore di grandi acque. Teneva nella sua destra sette stelle e dalla bocca usciva una spada affilata, a doppio taglio, e il suo volto era come il sole quando splende in tutta la sua forza. Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la sua destra, disse: «Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi. Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle presenti e quelle che devono accadere in seguito. Il senso nascosto delle sette stelle, che hai visto nella mia destra, e dei sette candelabri d’oro è questo: le sette stelle sono gli angeli delle sette Chiese, e i sette candelabri sono le sette Chiese.
SALMO Sal 95 (96)
Date al Signore la gloria del suo nome.
Grande è il Signore e degno di ogni lode,
terribile sopra tutti gli dèi.
Tutti gli dèi dei popoli sono un nulla,
il Signore invece ha fatto i cieli. R
Maestà e onore sono davanti a lui,
forza e splendore nel suo santuario. R
Date al Signore, o famiglie dei popoli,
date al Signore gloria e potenza,
date al Signore la gloria del suo nome. R
VANGELO Mc 3, 13-19
✠ Lettura del Vangelo secondo Marco
In quel tempo. Il Signore Gesù salì sul monte, chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici – che chiamò apostoli –, perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demòni. Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro, poi Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè «figli del tuono»; e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo, figlio di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda Iscariota, il quale poi lo tradì.
Apocalisse
Anzitutto, dal testo che abbiamo letto oggi, mi colpisce la definizione dell’apostolo, che si definisce “compagno nella tribolazione”. Chi è l’apostolo rispetto alla comunità? Chi è l’apostolo rispetto a quella Chiesa che stava nascendo e che si stava diffondendo? Semplicemente un compagno nella tribolazione. Ad una Chiesa che è devastata dalla persecuzione, ad una Chiesa che soffre per quello che sta vivendo, l’apostolo offre la sua consolazione: la sua stessa vicinanza nel momento più terribile della prova.
Questa stessa definizione ha anche un secondo significato. Chi è chiamato da Dio non evita i mali del tempo presente, non evita le sofferenze che vivono tutti gli uomini, non gode di qualche particolare privilegio perché ha ascoltato la parola che lo ha chiamato. Il discepolo del Signore condivide la vita di tutti, partecipa alle sofferenze di tutti gli uomini, vive la stagione ecclesiale nella quale è chiamato a vivere e non ne desidera una diversa. Il discepolo del Signore si trova bene lì dove il Signore lo ha collocato.
Come risponde il discepolo a tutto questo? San Giovanni era molto chiaro: con la perseveranza e nella speranza del regno. C’è un atteggiamento immediato che va vissuto ogni giorno: quello della perseveranza. Il discepolo, proprio perché sente la vicinanza di Dio alla sua vita continua a cercare il Signore, continua nella preghiera la sua dedizione a Dio, continua nella carità il suo viaggio in questo tempo.
Un secondo atteggiamento è più interiore, non porta immediatamente ad un’opera, ma è presente in qualsiasi cosa il discepolo possa fare: egli vive e testimonia la speranza nel regno. Ovvero rinnova nel tempo il suo sentirsi incamminato verso l’incontro con Dio e verso la vita eterna. Il discepolo vive e testimonia questa speranza, che è sostenuta ed anche illuminata dalla rivelazione che il Signore porta nella vita di ciascuno.
Vangelo
Quello che San Giovanni ha detto di sé, possiamo applicarlo a qualsiasi discepolo. Il Vangelo, nel ricordarci la chiamata dei primi apostoli, ci ricorda che tutti siamo chiamati a vivere questa verità e a testimoniare questa speranza. Tutti i discepoli del Signore potrebbero incarnare la definizione data da San Giovanni e con il loro esempio ci richiamano queste verità della vita che sono quelle di ogni credente.
Per noi e per il nostro cammino di fede
La parola di oggi è molto bella anche per noi. Sarebbe molto bello se di noi si potesse dire la stessa cosa, ovvero che partecipiamo alle sofferenze del mondo e, soprattutto, alla sofferenza della Chiesa, con spirito di sopportazione e di perseveranza e con la speranza del regno. Anche noi, infatti, siamo chiamati a far parte di coloro che, con il loro esempio, con la loro preghiera, con la loro forza, testimoniano che la perseveranza è un dono, un valore al quale sempre appellarsi. Così pure come noi tutti dobbiamo essere ancorati alla speranza della visione del volto di Dio per non cadere nella tentazione di pensare che la vita sia solo un insieme di eventi, che si susseguono l’un altro, senza un senso. Tutto è invece nelle mani di Dio. Ecco il perché della perseveranza e della speranza che dobbiamo coltivare nei nostri cuori.
Sarebbe poi molto bello se anche noi crescessimo nella consapevolezza che il cristiano non è uno che ha particolari privilegi, uno che ha delle scorciatoie per arrivare a Dio, ma un fratello, una sorella che è sempre conscio di condividere ciò che ogni tempo riserva all’uomo. Sarebbe così facile capire il senso di una testimonianza che diventa essa stessa rivelazione della presenza di Dio.
Qualche provocazione
- Sento applicabile a me questa definizione dell’apostolo del Signore?
- Sono abitato dal senso della perseveranza e della speranza nel regno?