2° Serata – La Speranza non delude2024-09-25T23:25:09+02:00

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Introduzione

“Spes non confundit”. È anche il titolo della lettera di indizione al Giubileo che papa Francesco ha donato alla Chiesa per questo anno speciale che ci sta davanti e per il quale vogliamo già prepararci. Questa seconda serata di preghiera è tutta dedicata al grande insegnamento che Paolo, nella lettera ai Romani, dona sul tema della speranza. Siamo di fronte ad un Paolo ormai maturo, quasi alla fine del suo ministero e della sua vita. La lettera ai Romani viene infatti ritenuta la più profonda dal punto di vista teologico, la più impegnativa per la lettura. Anche noi, questa sera, vogliamo immetterci nella preghiera chiedendo l’aiuto dello Spirito di Dio per cercare di vivere con fede questo esercizio che deve aiutarci a vivere nella speranza cristiana.

Vantarsi nella speranza della gloria di Dio

Entriamo nel vivo dell’insegnamento della lettera mettendo al cuore della nostra preghiera il capitolo 5, anche se spazieremo poi verso altri testi e altri versetti della lettera stessa. Il punto di partenza di San Paolo è molto chiaro: Rm 5, 1: “Giustificati dunque per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo”. Cosa intende dire l’apostolo? Paolo inizia qui la sua “dottrina della giustificazione”, ovvero intende rispondere alla domanda: come può l’uomo che è per natura peccatore diventare giusto? Come può la libertà dell’uomo che è intrinsecamente segnata dal peccato, tendere alla giustizia? La risposta è molto chiara: solo attraverso Gesù Cristo. Nessun uomo potrebbe mai salvare da solo la propria anima, nessun uomo potrebbe mai fare qualcosa di così meritorio da rendere Dio debitore della salvezza. Chi salva le anime è Gesù Cristo. Noi siamo in pace con Dio non per qualcosa che possiamo fare noi, ma per l’opera di redenzione che Cristo ha voluto vivere e che rinnova sempre nel mondo. Essere in pace con Dio significa questo: avere ottenuto la remissione dei propri peccati. È solo l’opera di Dio a donare questa redenzione, è solo la salvezza di Cristo a rendere giusti.

Subito la conseguenza: “Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio”. La grazia nella quale ci troviamo è la grazia del Battesimo, la grazia dei battezzati che tutti i figli di Dio hanno ottenuto quando sono venuti alla fede in Cristo. Questa grazia è per il tempo presente, è per la vita di ogni giorno, ma ci apre alla speranza della gloria futura. Se volete è quello che San Pietro ieri ci diceva quando ci parlava della salvezza dell’anima. La speranza del cristiano, la speranza più matura del credente, dal momento che ci potrebbero anche essere differenti gradi di speranza, è quella della vita in Dio, che è la speranza dell’eternità. Cristo ci rende giusti, ci toglie il peso del peccato per aprirci a questa speranza. Un battezzato non può mai essere senza la speranza della vita eterna, dal momento che sa che i suoi peccati sono stati perdonati in vista della partecipazione alla vita eterna.

Per noi. Anzitutto, dunque, questa serata tutti siamo chiamati a vivere nel rinnovamento della grazia battesimale. È un pensiero al quale ricorriamo poco spesso. Eppure ce lo insegna anche la liturgia: la memoria del Battesimo che la Chiesa ambrosiana conserva nella recita del vespero, ci permette di giungere tutti i giorni a questa riscoperta del Battesimo come sorgente di grazia e di speranza.

  • 1° esercizio: vivo questo esercizio di fede? Sento che il mio Battesimo mi apre alla speranza della vita eterna in Dio?

La speranza, la virtù provata e la pazienza

Paolo è un uomo molto concreto, è un uomo “con i piedi per terra”. Egli rilegge la sua esperienza di vita, la sua esperienza di fede e scopre che la sua vita è tutta costellata di difficoltà. Anche ora, nel momento in cui scrive questa lettera, San Paolo ha memoria dei molti momenti di difficoltà anche del suo ministero e, sebbene non sappia come terminerà la sua vita, ha capito che la sua esistenza terminerà con un atto di ultimo affidamento a Dio, un ultimo atto di fiducia in Cristo. Paolo non toglie nulla, dunque, alle difficoltà della vita che già ha passato, come sa bene che altre difficoltà sono davanti a lui. Paolo ragiona in modo molto semplice e si domanda: cosa hanno comportato in me le difficoltà che ho già superato? Cosa ha prodotto in me ogni genere di difficoltà della vita? La risposta è molto forte e comunque chiara: ogni difficoltà superata ha comportato un aumento della pazienza. Pazienza, ovvero sapere che, in tutte le difficoltà che ci sono, Dio è vicino. Paolo si è sentito sostenuto da Dio in tutte le difficoltà dell’esistenza, non si è mai sentito solo, abbandonato, trascurato da Dio. Non si è mai lamentato, nemmeno con Dio, delle sue prove. Le ha accettate. Ora comprende che tutto questo ha permesso a lui di vivere in modo straordinario la virtù della pazienza. Questa pazienza ha prodotto una “virtù provata”: Paolo sa che anche la sua esperienza umana e non solo la sua esperienza di fede, sono state messe a dura prova. Ma in tutte queste difficoltà è emerso l’uomo. Paolo è un uomo maturo, non più in balia dei suoi sentimenti, non più sballottato dalle diverse elucubrazioni della sua mente. Paolo quando parla di virtù provata intende dire anzitutto questo: tutte queste realtà della vita gli hanno permesso di crescere nella propria esperienza umana. Egli si sente uomo completo, perché sa che la sua esistenza, il suo carattere, il suo modo di fare sono stati plasmati da ciò che è accaduto.

Questa crescita umana, questo perfezionamento, se così vogliamo chiamarlo, della sua persona, ha avuto anche un influsso sulla sua fede. Egli capisce che la speranza si è radicata nel suo cuore proprio grazie alle difficoltà che ha superato. La speranza dell’incontro con Dio, direi quasi l’attesa dell’incontro con Dio alla fine della vita che è anche la fine delle difficoltà, delle tribolazioni, sono ciò che lo sostiene e lo sospinge nell’andare avanti, anche pensando già alle tribolazioni future.

Per noi. Credo che questa parte sia una delle più belle della lettera, una delle più concrete. San Paolo associa l’irrobustirsi delle sue doti umane e della speranza cristiana proprio ai momenti di difficoltà. Credo che tutti, un po’ spontaneamente, facciamo il contrario. Vorremmo non avere momenti di difficoltà e, quando capitano, non sempre sappiamo portare avanti le nostre esperienze di vita con quella pazienza di cui ci ha parlato Paolo, pazienza che apre, poi, alla speranza. L’apostolo insegna così anche a noi che il cammino della speranza va di pari passo con il cammino di maturazione umana. Più uno cresce in tutte le virtù umane, più accende anche nel cuore la speranza. Più uno fonda la propria umanità nei valori che la sostengono, più crescono la fede e il desiderio di essere radicati in Dio per l’eternità. Anzi San Paolo lega inscindibilmente insieme le difficoltà della vita alla visione eterna di Dio.

  • 2° esercizio: consiglierei di verificare, in un profondo e serio esame di coscienza, come viviamo le difficoltà della vita, come affrontiamo le cose più complesse dell’esistenza.  Proviamo a verificare se anche in noi crescono tutte quelle virtù umane che sostengono il nostro comune cammino di uomini e proviamo anche a verificare se esse sostengono un cammino di approfondimento della fede. Come stiamo crescendo in queste direzioni?

Non siamo mai soli Rm 8

Da questo punto di vista è bellissimo rileggere un altro testo, forse tra i più noti di San Paolo, collocato nel capitolo 8 della stessa lettera, versetti 31-39.

San Paolo pone un altro fondamento della speranza cristiana che è quello che viene dal non saperci mai separati dall’amore di Cristo. Quella che San Paolo propone è una riflessione che nasce dalla sua personale esperienza. L’elenco di realtà negative della vita che abbiamo appena ascoltato, infatti, è preso proprio dalle sue personali tribolazioni e difficoltà. Penso sia bellissimo sapere che anche la vita degli apostoli è stata piena di ostacoli e di sofferenze. Non per aver conosciuto Cristo, non per la loro missione, gli apostoli hanno vissuto vite felici e senza problemi. Al contrario, come ogni uomo, hanno avuto difficoltà umane di ogni genere, ma anche difficoltà dovute proprio al loro ministero e alla loro missione. Eppure San Paolo esprime una certezza: in tutto quello che capita io non sono mai separato dall’amore di Dio. Paolo è pienamente consapevole che possono capitare un’infinità di cose nella vita degli uomini, anche le cose più preoccupanti, ma il credente sa che Dio non lo abbandona mai. Anzi, proprio in mezzo a quelle difficoltà e tribolazioni, Dio è principio di consolazione e rimane punto di riferimento nei momenti in cui sembra venir meno la forza della vita.

Per noi. Credo che anche questa riflessione sia fondamentale per noi che, spesso, andiamo pensando esattamente il contrario: le difficoltà, le preoccupazioni sono segno della non presenza di Dio, del suo abbandono. Moltissime volte sento che molti cristiani si lamentano con sé stessi, con gli altri, con Dio stesso delle difficoltà dell’esistenza, quasi che quelle difficoltà stiano a dire una mancata protezione di Dio. Anche a noi è chiesto di ricordarci della verità biblica che ci viene offerta: non solo le prove della vita non sono segno dell’assenza di Dio, ma, al contrario, Dio si nasconde in esse. Lui che, per primo, non ha rifiutato di sottoporsi alle difficoltà comuni dell’esistere. Avere speranza è, dunque, sentire viva la presenza di Dio in mezzo alle mille difficoltà che ogni tempo porta con sé. Avere speranza è ritenere che Dio sia presente nelle difficoltà di ogni giorno. È questo un esercizio di speranza molto concreto, che tutti possiamo fare. Un esercizio di speranza che ci deve spingere a pensare che, davvero, Dio è vicino a ciascuno di noi, capiti quello che capiti.

  • 3° esercizio: sento viva la presenza di Dio in me? Sento vicina la presenza di Dio quando qualche preoccupazione mi assale? Sento vicino il Signore con qualche consolazione che deriva dalla fede o vado in ansia e mi dispero presto?

La speranza non delude

Torniamo al capitolo 5, al versetto 5: “Spes non confundit!”, la speranza non delude. Anche a questo proposito sentiamo tutta la riflessione personale di Paolo risuonare in queste parole. Paolo, che ci ha appena detto di non essersi mai sentito solo, ci sta dicendo che la speranza cristiana è l’unica realtà che deve rimanere in piedi, salda, in tutte le esperienze possibili della vita. La speranza non delude perché ci accompagnerà fino alla vita eterna. La speranza non deluderà perché ci immetterà nel mistero di Dio, facendoci scoprire la bellezza del suo volto, facendo in modo che tutti noi potremo appassionarci al mistero di Dio che abbiamo cercato nell’esistenza. La speranza è una virtù che ha un fine: l’ingresso nella vita eterna. Ma, fino a quel giorno, essa deve rimanere salda. Sarà solo in quel giorno che scopriremo che la speranza in Dio non delude. Fino ad allora tutti noi siamo chiamati a camminare nella speranza. Se vogliamo questa è anche la fatica del cammino cristiano. È difficile perseverare nella speranza. È difficile camminare ogni giorno, tra le difficoltà del mondo, tenendo fisso lo sguardo sulla fine dell’esistenza, sulla fine della vita, sulla fine dei giorni. Eppure, ci sta dicendo San Paolo, questa è la luce che occorre accendere se vogliamo non rimanere delusi in eterno. È la speranza che accende la perseveranza del cammino. È la speranza che può tenere desta la nostra fede fino al giorno beato in cui anche noi incontreremo la presenza di Dio, quando Egli, finalmente, sarà tutto in tutti. Fino a quel giorno non possiamo venire meno nella speranza!

Per noi. Credo che questa luce di particolare intensità abbia illuminato il nostro cuore. Lasciamo che la Parola di Dio provochi ciascuno di noi sulla fedeltà del cammino presente nell’attesa del compiersi della beata speranza.

  • 4° esercizio: offro la mia perseveranza a Dio come segno del mio personale cammino di fede? Vivo nella speranza del compiersi della Parola del Signore?

L’esempio di Cristo

Così San Paolo può continuare a fondare la speranza del credente nei vv 6-11. Qual è, in ultimissima analisi, il fondamento della speranza cristiana? Perché un credente dovrebbe sentire Cristo presente nelle difficoltà della vita? Perché dovrebbe scommettere sulla speranza cristiana? Qual è il fondamento di tutto questo? San Paolo ci riporta, ancora una volta, alla Pasqua del Signore. Il ragionamento di San Paolo è molto semplice e anche molto condivisibile: se Dio ci è venuto incontro nel nostro peccato, se Dio ci è venuto incontro quando eravamo peccatori, come potrebbe non venirci incontro mentre stiamo svolgendo un cammino di fede? La prospettiva di San Paolo credo sia illuminante per tutti i nostri sforzi di vita cristiana. Se Dio ci è già venuto incontro quando noi non potevamo pretendere nulla da lui, se Dio ci è venuto incontro quando nulla potevamo sperare, come possiamo pensare che Cristo non consideri tutti gli sforzi che facciamo per andare incontro a Lui? La Pasqua del Signore, nella sua gratuità, motiva il cammino del tempo presente e lo sostiene. Facendo continua memoria della Pasqua, come ci ha già detto anche San Pietro nella meditazione di ieri, noi possiamo ottenere slancio e forza per il cammino presente in vista di quell’ultimo incontro di grazie e di misericordia che sarà quello che avverrà nella nostra morte. La speranza cristiana sostiene l’uomo nel suo cammino fino a quell’ultimo atto di affidamento e di abbandono fiducioso alla misericordia di Dio. La riconciliazione è ciò che Paolo aggiunge a ciò che già San Pietro ieri diceva. La luce fondamentale sulla Pasqua di Cristo è, dunque, non solo quella che ieri San Pietro ci ricordava, e cioè quella che noi possiamo rivivere nell’ascolto fedele della Parola e nella celebrazione dell’Eucarestia, ma anche quella che viene dalla riconciliazione, ovvero dalla confessione. Ogni volta che noi viviamo questo Sacramento facciamo sì che la misericordia di Dio divenga attuale per noi. Ogni volta che noi celebriamo con fede questo sacramento, facciamo sì che tutto l’agire per la salvezza che Dio ha voluto immettere nella storia attraverso la rivelazione di Cristo, divenga attuale e pieno di salute per noi.

Per noi. L’invito pressante di questa parte della lettera mette al centro la confessione, il sacramento della riconciliazione, come fonte di speranza. Forse non sempre vediamo la celebrazione di questo sacramento come immissione di speranza nel nostro cammino. Molto spesso lo viviamo come qualcosa di pesante, qualcosa di un po’ scomodo, qualcosa, perfino, di cui avere vergogna. La Parola di Dio ci corregge. Se noi vogliamo dare fondamento alla speranza che è già in noi, dobbiamo continuamente liberarci dal nostro peccato, di qualsiasi genere esso sia. Questa liberazione diventa fonte di speranza, perché noi rendiamo attuale per noi quel mistero di grazia che Cristo ha già vissuto gratuitamente per tutti. Potrebbe essere questo un modo di vivere bene il sacramento, specialmente in vista dell’anno giubilare che stiamo già preparando con questi esercizi.

  • 5° esercizio: prepariamo una confessione sincera, che diventi per noi momento di apertura alla speranza.

Lieti nella speranza Rm 12

Possiamo così andare verso la conclusione della seconda serata, accennando ad un altro testo di questa stessa lettera, al capitolo 12, i versetti 9-12. Ovviamente al centro di questi versetti sta l’affermazione: “Siate lieti nella speranza”. Cosa significa essere lieti nella speranza? Per rispondere vi consiglio di leggere tutto il branetto in cui questi versetti sono contenuti, ovvero i vv 3-13. San Paolo sta spiegando che la speranza diventa fonte di gioia, motivo per essere lieti, dentro una vita cristiana vissuta a tutto tondo. Perché non sempre la speranza cristiana diventa occasione di speranza? Perché non viene vissuta in tutte le sue dimensioni, ovvero la preghiera personale, la celebrazione comunitaria, l’appartenenza fattiva ad una comunità, l’impegno per la carità generosa. In fondo San Paolo non ci sta facendo rivelazioni nuove, ma ci sta permettendo di capire che la speranza nasce se è dentro una dimensione normale di vita di fede. La speranza accompagna il cristiano solo dentro un normale esercizio di fede.

Per noi. Credo che anche questa prospettiva sia essenziale per ciascuno di noi. Il richiamo per tutti è a non vivere la fede in modo sbilanciato. Mi pare che viviamo in un tempo nel quale molti cristiani vivono una fede che sia solo momento liturgico. Esso è essenziale, ma se è l’unica cosa che si vive della fede, porta a vivere un cristianesimo sbilanciato solamente sull’atto liturgico. Come altri cristiani vivono solo esperienze di carità e di missione. Ovviamente siamo sbilanciati dall’altra parte. Credo che oggi ci siano molte obiezioni a vivere una vita cristiana che sappia far riscoprire tutte le dimensioni dell’essere credente, la prima delle quali è certamente la solita lamentela: non ho tempo! San Paolo ci sta facendo riflettere. Se non c’è attenzione per una vita cristiana che sia completa, può essere che non ci sia in noi il frutto della speranza. La speranza nasce solo quando tutte queste componenti hanno la loro giusta espressione e il loro giusto apporto alla vita di ogni cristiano.

Per noi. Credo sia più che giusto, direi quasi doveroso, interrogarci sulla nostra esperienza di fede, per vedere e per verificare se davvero noi stiamo vivendo una vita di fede completa o se ci lasciamo andare da una parte piuttosto che da un’altra. Credo che sia molto opportuno ricordare che, senza una dimensione di equilibrio, rischiamo di perdere tutto. È quello che succede in molti casi. Vedo che molti credenti prima perdono la partecipazione alla Messa, che vuol dire la partecipazione alla vita comunitaria, poi perdono la dimensione di preghiera personale, quindi perdono qualsiasi gusto e attenzione per le opere di carità. Così si svilisce tutto il proprio essere cristiani e uno finisce per essere di nome cristiano, ma non cristiano di fatto. Lasciamo che anche questa sezione della lettera ci provochi e ci permetta di chiederci se stiamo davvero vivendo una vita cristiana completa e realmente dedita a Cristo.

  • 6° esercizio: come vivo il mio essere cristiano? Sono partecipe solo di alcune realtà della vita credente o sono un credente “a tutto tondo”?

Il Dio della speranza Rm 15

Possiamo così concludere la nostra meditazione rileggendo, anche se solo molto in breve, il cammino proposto dal capitolo 15 della lettera ai Romani. Torna più volte la definizione di Dio come “Il Dio della speranza”. Credo che San Paolo, insistendo così tanto su questa caratteristica di Dio, su questo attributo di Dio, ci stia dicendo che noi siamo chiamati alla speranza proprio da Dio che vuole che noi viviamo questa virtù, che ci dona questa virtù come sostegno per la vita presente e in vista di quella eterna. Quale ultima indicazione Paolo ci dona? Anzitutto ci riporta, ancora una volta, a ciò che già ieri abbiamo sentito da San Pietro. La lettura della Scrittura diventa fonte di consolazione, perché leggere continuamente la Parola di Dio, significa immetterci in ciò che Dio ha già rivelato. È così che si accede alla speranza, confrontandoci continuamente con la storia di coloro che hanno vissuto una parte della storia della salvezza e che invitano ciascuno di noi a fare come loro, ad offrirsi come strumenti di speranza per il mondo intero. Credo sia molto bella questa chiave di lettura e anche noi vorremmo usarla nei prossimi giorni, cercando qualche esempio concreto di speranza nella Scrittura, qualcuno che, nella sua storia, abbia vissuto quelle caratteristiche generali della speranza che abbiamo considerato ieri ed oggi.

In secondo luogo San Paolo raccomandava l’apertura all’accoglienza umana come fonte di speranza. Credo che qui occorrerebbe una serata a parte. In breve vi direi di considerare alcuni casi che immettono speranza in noi: l’accoglienza di un figlio, l’accoglienza di un amico, l’accoglienza di un anziano, l’accoglienza di un povero… sono tutte occasioni che noi tutti abbiamo già avuto la possibilità di vivere e che hanno certamente immesso speranza dentro di noi. San Paolo ci sta dunque dicendo che per sperare occorrono atti di apertura. Uno perde la speranza quando vive una vita solitaria, chiuso in sé stesso. Quando uno non vive una dimensione di accoglienza sincera, non vive un’apertura al mistero di Dio e la speranza non può entrare dentro di lui.

Per noi.  Direi, quindi, di chiedere insieme questa grazia, per non rischiare che una eccessiva concentrazione su noi stessi ci impedisca di vivere la speranza a cui siamo chiamati.

  • 7° esercizio: che genere di speranza coltivo con le mie aperture? La mia vita va verso aperture sempre maggiori o si sta chiudendo e, per questo, sta perdendo ogni speranza?