3° Serata – Abramo uomo di Speranza2024-09-25T23:29:31+02:00

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Abramo uomo di speranza

Diamo questo titolo alla terza meditazione nella quale, dopo le due fondamentali riflessioni di San Pietro e di San Paolo, vogliamo accostare un esempio di speranza. L’esempio di un uomo che conosciamo bene, l’esempio del primo patriarca che è anche il primo uomo di fede storico secondo la Genesi. Un padre non solo per Israele, ma un padre per tutti noi, dal momento che il suo itinerario spirituale è l’itinerario di fede che ciascuno di noi è chiamato a vivere. Affrontiamo la storia di Abramo che è tutta una storia di speranza, partendo però non da un testo della Genesi, ma dalla lettera agli Ebrei che ci offre un quadro sintetico importantissimo. Siamo nel capitolo 11 della lettera e in questa parte dello scritto il suo autore sta rileggendo la storia della salvezza mettendo in luce come, in tutti i suoi protagonisti fondamentali, è proprio la fede ad aver generato quella speranza che ha permesso loro un cammino di santità che rimane di esempio per tutti.  Rileggo in sette passi quello che è scritto in Eb 11, 8 – 19, da cui attingiamo per rimandare, poi, ad alcuni passi della Genesi.

Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità e partì senza sapere dove andava (11, 8).

È il primo richiamo che troviamo nella lettera e si riferisce, ovviamente, alla vocazione di Abramo. Noi possiamo rileggere anche Gn 12 che può completare la lettura e illuminare ulteriormente la nostra preghiera. Abramo è ritratto fin dalle origini come un uomo della speranza che nasce dalla fede. La sua speranza è quella della sua stessa chiamata, la speranza della sua stessa vocazione, anche se Abramo non capisce quasi nulla di ciò che dovrà accadere nella sua vita, di ciò che egli stesso dovrà fare e di cosa il Signore riservi per lui. Potremmo dire che, in Abramo, la speranza della vocazione si configura come un affidamento a Dio. Un affidamento promettente. È per questo che il patriarca decide di lasciare ciò che ha, la terra nella quale abita ed iniziare un pellegrinaggio, come poi lo chiama anche esplicitamente il testo della lettera, che non ha né meta definitiva né tappe fissate. Abramo, quando parte, come leggiamo nella Genesi, non è un giovane, ma è già un uomo fatto e finito. Un uomo che ha già una responsabilità di capo tribù e, quindi, potremmo dire che dal punto di vista lavorativo ha già avuto i suoi assestamenti e le sue decisioni chiave sono già prese, così come pure è un uomo sposato e, quindi, dovremmo dire, anche a livello affettivo ha raggiunto una sua posizione e una sua stabilità. È un uomo adulto che decide questo pellegrinaggio e che si affida a questa speranza promettente, senza però comprendere bene né cosa sia chiamato a fare né cosa debba realizzare. La speranza di Abramo, potremmo dire, si appoggia sulla fiducia. Fiducia in sé stesso, certamente, fiducia in Sara, che Abramo ama profondamente, ma soprattutto fiducia in Dio. Abramo lega la sua speranza vocazionale a Dio stesso. Abramo ha solo speranza che la sua vita serva a qualcosa, anche se, nella partenza, non sa a che cosa.

Per noi. Credo che il tema della speranza della vocazione abbia anche raggiunto ciascuno di noi ed abbia permesso a ciascuno di noi di fare molte riflessioni a suo tempo. Così spererei che tutti i giovani, ai quali è riservata grande attenzione dal punto di vista vocazionale, possano comprendere che la vocazione a cui sono chiamati, qualsiasi essa sia, è fonte di grandissima speranza. La speranza della propria vocazione non deve certo guidarci solo nella prima fase, quella del discernimento, ma dovrebbe essere qualcosa che dura poi nel corso di tutta la vita. Così tutti dovremmo sperimentare continuamente la speranza della nostra vocazione mentre viviamo le diverse fasi della sua realizzazione e dovrebbe accompagnarci anche nell’ultima fase della vita, quella della vocazione totalmente vissuta che, pian piano, dovrebbe portarci a desiderare il nostro destino in Dio. Se la vocazione è discernimento in vista di qualcosa di futuro, essa deve suscitare in noi speranza fino alla fine, fino a quando la nostra vita diventerà fissa in Dio.

  • 1° esercizio: ho sperimentato e sperimento questa speranza vocazionale? A che punto sono della realizzazione della mia vocazione? Vivo di questa speranza?

Per fede Abramo soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende (11, 9).

Credo che anche questa seconda frase della lettera agli Ebrei ben si addica al racconto della Genesi – potremmo spaziare nei capitoli 13 e 14 – per capire che la speranza di Abramo si fonda su una concezione di vita. Certo Abramo era nomade per natura, non aveva una dimora fissa e definitiva. La sua vita era già abituata ad essere una vita da nomade. Credo che questo fatto che noi non condividiamo con la vita di Abramo, abbia aperto il cuore del patriarca già naturalmente alla speranza. Chi vive da nomade sa che non c’è niente di fisso, niente di duraturo, niente di stabile. Il nomade, per definizione, vive secondo quello che capita e ha una naturale disposizione alla speranza, dal momento che sono poche le certezze della sua vita. Abramo però, grazie alla fede che sperimenta in Dio, rende la sua vita ancora più aperta alla speranza. Se già lo era per il modo di vivere, la fede amplia dentro di lui questa disposizione e lo rende sempre più attento a non avere luoghi comuni, a non vivere di cose per sentito dire, ma a cercare continuamente di nutrire di speranza i suoi giorni. Il che significa, però, che Abramo non si è attaccato alle cose. Noi lo vediamo molto bene in ogni pagina della sua vita. Potremmo citare, a questo proposito, la separazione da Lot del capitolo 13. Abramo è così libero nel cuore da lasciare che sia suo nipote ad avere la parte più importante della Terra Santa, la parte più fertile. Abramo si fida di Dio, lascia che le cose avvengano come Dio vuole, non richiama niente per sé, non recrimina nulla. Abramo ritiene che, per alimentare la speranza che è in lui, la speranza della vocazione, occorre uno stile di vita distaccato da tutte le cose.

Per noi. Il discorso sugli stili di vita è un discorso molto moderno e anche noi lo abbiamo già affrontato in diverse occasioni. Trovo utile, però, che tutti ci soffermiamo a pensare al nostro stile di vita, che è certamente fatto di molte sfaccettature. Lo stile di vita che è richiesto a tutti i cristiani, come ben si capisce da molte pagine del Vangelo, è lo stile della sobrietà, lo stile cioè di chi non si lascia prendere dalle cose, ma vive un atteggiamento di signoria su di esse. Lo stile di vita di Abramo è stile di sobrietà perché, pur avendo a disposizione molte cose e molti beni, non si lascia dominare da essi, ma sa dare un ordine a tutte le cose e riesce a mantenere puro il suo cuore. Abramo è per noi tutti modello di questa sobrietà del cuore che accende la speranza della vocazione.

  • 2° esercizio: quale stile di vita mi appartiene? Lo stile di vita della sobrietà riesce a mantenere desto in me il significato della speranza cristiana? Vivo anche io come pellegrino di speranza?

Per fede anche Sara divenne madre sebbene fuori dall’età perché ritenne fedele colui che glielo aveva promesso (11, 11).

Il cuore della vita di speranza di Abramo e, ovviamente di Sara, è costituito però dalla ricerca e dalla nascita di un figlio. Sarebbe molto bello rileggere i lunghi capitoli della Genesi che la Scrittura ci dona a questo proposito, il 16, 17, 21. Capitoli molto lunghi anche che ci dicono una cosa interessantissima. Intanto che, per chi vive la vocazione matrimoniale, la speranza della nascita di un figlio, la speranza di diventare famiglia con figli, è una realtà di primaria importanza. I testi ci dicono anche che questa ricerca non va sempre a buon fine e che la mancanza di un figlio viene riletta da tutti come un problema, un non realizzarsi di una speranza alla quale si crede di avere diritto. Credo che, poi, secondo le concezioni dell’epoca, il diritto dell’epoca e i mezzi dell’epoca, il fatto che Abramo, anche sostenuto da Sara, si procuri prole da un’altra donna, stia a significare come anche un uomo del calibro di Abramo, con la fede e la speranza di Abramo, non sia stato alieno da pasticci di ogni genere e tipo! Pasticci che hanno molto influito sulla vita personale, ma anche sulla vita di un’intera tribù. Il che ci dice che le cose erano già complicate allora e, credo, ci aiuti a giudicare con occhio molto compassionevole e pieno di attenzione i grandi pasticci che noi vediamo nelle famiglie di oggi.

In secondo luogo credo che questo sintetico testo ci aiuti a capire che il frutto della speranza più umana, il figlio, arriva, per Abramo e Sara, nell’età in cui non era più presente nessuna speranza. Racconto che, come sappiamo bene, si ripete molte altre volte all’interno della Scrittura, per molte altre nascite prodigiose di cui ci narra il Primo Testamento. Storie che ci dicono che Dio ama entrare quasi di soppiatto nelle storie degli uomini ed ama aprire alla speranza il cuore dei credenti quando ormai sembra che non ci sia più nessuna speranza. Dio interviene come principio di speranza quando l’uomo non oserebbe più sperare nulla, né per sé né per i suoi cari.

In terzo luogo il testo biblico ci sta dicendo che la grande speranza, quella della vita eterna, come ci è stato mostrato dai testi che abbiamo ascoltato ieri e l’altro ieri, è resa possibile da un passare continuamente attraverso speranze umane, che chiamerei “penultime”. Se la speranza della vita eterna è l’ultima speranza, la speranza con la S maiuscola, ci sono altre speranze più piccole, più umane, che non sono irrilevanti nei confronti della grande Speranza. Anzi, la grande Speranza si nutre di queste piccole speranze, si rinnova in esse. Le piccole speranze della vita mantengono desta la Speranza in Dio.

Per noi. Credo che questo discorso sia bellissimo per ciascuno di noi, perché credo che tutta la nostra vita, ciascuno secondo la sua vocazione, sia fatta di speranze piccole che si rincorrono l’una con l’altra. Credo che questa sera diventi per tutti noi un’occasione di preghiera unica, per vivere bene questa dimensione grazie alla quale noi tutti possiamo cercare di rileggere il cammino di fede ed anche umano che abbiamo avuto, cercando di rivedere come si sono realizzate le piccole, ma in fondo sempre grandi, speranze della nostra vita.

  • 3° esercizio: quali piccole speranze hanno sostenuto il mio cammino? Adesso quale speranza intermedia vorrei vedere realizzata? Come tutto questo si inserisce nel cammino della grande Speranza?

Nella fede morirono tutti costoro, pur non avendo conseguito i beni promessi, ma avendoli veduti e salutati di lontano. Chi dice così dimostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti avrebbero avuto la possibilità di tornarvi; ora essi aspirano ad una migliore (11, 13-15).

È la frase cuore di questa serata. Mi piace moltissimo sentire la profondità di questo testo che ci sta dicendo che nemmeno uno come Abramo, nemmeno un uomo “importante” come lui, sia dal punto di vista umano che dal punto di vista di fede, sia stato esaudito in tutto e per tutto ed abbia ottenuto tutto quello che gli era stato promesso. Abramo vive così tutta la sua esistenza. Se andiamo al testo della Genesi e leggiamo il capitolo 23 ci accorgiamo infatti che Abramo, di tutta quella terra che gli era stata promessa, non vedrà mai nulla, se non il luogo necessario per la sepoltura di Sara. Abramo acquisterà a caro prezzo quella proprietà sepolcrale, terra ritenuta sacra, inviolabile, anche tra nemici. Nemmeno a chi è nemico si deve negare un pezzo di terra per seppellire i suoi cari. La prima terra degli Ebrei sarà la tomba di Sara e sarà rispettata proprio perché terra sepolcrale. Abramo è convinto che Dio gli abbia rivolto una promessa grande, comprende che quel piccolo appezzamento di terra non sarà che una sorta di caparra. Non se ne rammarica, continua a credere nel Dio della speranza. Così come anche dal punto di vista della generazione. Il figlio che erediterà quella terra e che porterà avanti la storia della salvezza, come sappiamo, è Isacco. Abramo, come leggiamo, ebbe altri figli, primo di tutti Ismaele. Di per sé, però, quello su cui Abramo fa affidamento è uno solo, Isacco appunto. Un po’ lontano da quella discendenza “numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia del mare” che, come abbiamo anche riletto in Gn 12, gli era stata promessa. Eppure anche se solo con un figlio, Abramo sente che il Dio che gli aveva promesso tutte quelle cose era un Dio affidabile. E rimane un Dio affidabile. Ecco perché Abramo contempla solo da lontano tutti i beni che gli sono stati promessi e, proprio per questo, proprio per non averli nel possesso immediato, nella disponibilità immediata, continua il suo cammino di vita, di fede e di speranza.

La definizione più bella riprende poi anche in un altro episodio noto della Genesi, quello della moglie di Lot, colei che guardò indietro nell’episodio della distruzione di Sodoma e Gomorra narrato in Gn 19. Abramo non guarda indietro, come abbiamo letto. Abramo guarda avanti, non vive nessun rammarico per non avere il possesso pieno dei beni che gli erano stati promessi. Abramo guarda avanti e pone la sua speranza in Dio. Abramo sa che Dio è fedele e attende qualcosa di nuovo, non rimpiange quello che è stato. Abramo non si rivolge mai verso la terra di Ur dei Caldei, ma rimane sempre fisso nella speranza che Dio gli ha acceso nel cuore e della quale si sente erede. Gli uomini e le donne della speranza guardano sempre avanti!

Per noi. Credo che a tutti noi, nell’esercizio della nostra vocazione, sia capitato di vivere il contrario. Credo che tutti abbiamo avuto giorni nei quali abbiamo detto: “Chi me lo ha fatto fare!” Insomma, tutti abbiamo avuto dei momenti in cui abbiamo guardato indietro, ci siamo chiesti se avevamo capito bene, se avevamo fatto le cose giuste… ci sono stati dei momenti nei quali abbiamo perso la speranza della nostra vocazione. La Scrittura questa sera ci dice di riprenderci e se anche avessimo avuto momenti di questo genere, o se anche fossimo adesso in un momento di questo genere, credo che siamo invitati a chiudere immediatamente con questo sguardo al passato per passare immediatamente ad uno sguardo sul futuro pieno di quella speranza nella quale il Signore vuole che abitiamo.

  • 4° esercizio: siamo anche noi uomini e donne di speranza in questo senso? Guardiamo davanti a noi e non indietro? Cosa ci sostiene nel nostro guardare avanti? Come abbiamo risolto quei momenti di difficoltà della vocazione e di crisi nella speranza che possiamo avere avuto?

Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco (11, 17).

Anche la speranza di Abramo, come leggevamo e come dicevamo il primo giorno dei nostri Santi Esercizi Spirituali, è stata una speranza messa alla prova. Occorrerebbe leggere bene il capitolo 22 della Genesi per capire che Abramo ebbe, per questo motivo, una prova molto forte e molto seria. Il capitolo 22 della Genesi è stato variamente interpretato da diversi autorevoli autori. C’è chi vede l’allusione ad un rito apotropaico, c’è chi vede la contestazione degli idoli dei popoli circonvicini e delle loro pratiche, c’è chi vede un residuo di paganesimo. A noi non interessa tanto pervenire ad una spiegazione esegetica del testo, quanto piuttosto dire che anche Abramo ha avuto la sua prova. La sua speranza è stata una speranza provata, come quella di ogni uomo. Per questo vi rimando a quanto già abbiamo meditato, rileggendo ciò che San Pietro e San Paolo ci hanno detto dentro la storia di Abramo. Come dice San Paolo in Romani 4,4, Abramo è l’uomo che spera contro ogni speranza.

  • 5° esercizio: cosa mi dice la storia di Abramo se la rileggo da questo punto di vista?

Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti, per questo lo riebbe e fu come un simbolo (11,19).

Piuttosto è interessante soffermarci sulla conclusione spirituale a cui l’autore della lettera agli Ebrei giunge. Abramo non vive in un tempo in cui si crede nella risurrezione. La concezione del “dopo morte” di Israele ha avuto una grande evoluzione. In questo tempo si crede nello “sheol”, il regno delle anime dei morti che è un “regno medio”, dove non c’è luce ma non ci sono tenebre, non c’è gioia ma nemmeno dolore. Le anime, dopo la morte degli uomini, si ritrovano qui. Siamo molto lontani dalla concezione della vita eterna che ha portato il Signore Gesù e siamo molto lontani da quell’idea di vita eterna che è, anzitutto, comunione con Dio. Evidentemente l’autore di questo scritto del Nuovo Testamento rilegge con la sua fede ciò che è capitato ad Abramo ed applica ad Abramo ciò che egli crede. Così attribuisce ad Abramo una sorta di predizione della vita eterna ancora pima che venisse spiegata all’uomo. Certamente, al di là di quello che è possibile applicare ad Abramo con la nostra fede, è certo che Abramo credeva nella vicinanza di Dio e nel non abbandono di Dio. Abramo sa che Dio gli è vicino ogni giorno della vita e, per questo, crede che anche nella morte il Signore non abbandona. Ecco la fede di Abramo. Una fede forte, una fede limpida, una fede che non si esprime molto a parole, ma che Abramo vive con tutto il suo essere. Possiamo certamente dire che la fede di Abramo e la speranza di Abramo sono state messe alla prova, e che Abramo ha continuato a credere anche in quella richiesta apparentemente assurda del sacrificio del figlio. Abramo non è venuto meno nella sua fede perché sa che Dio è principio di unione e non di separazione.

Per noi. Siamo di fronte al mistero dei misteri, a quel mistero per il quale un uomo di grandissima fede e di grandissima speranza come è stato il cardinale Martini, diceva di domandarsi come mai Dio con la risurrezione di Cristo non avesse anche tolto agli uomini la fatica del morire. La sua risposta è molto eloquente: egli diceva che in quel momento che tutti vivremo, il momento della nostra morte, noi tutti avremo la possibilità di esprimere la nostra fiducia in Dio e il nostro concreto affidarci a Lui. Così saremo riuniti anche ai nostri padri nella fede, che vuol dire ai nostri cari in prima battuta ma, poi, certamente anche ai giganti della fede e, quindi, anche a Pietro, a Paolo, ad Abramo. Noi siamo chiamati, siamo destinati a vedere il volto di Dio insieme a tutti i volti dei testimoni della fede che ci hanno preceduto sulla via della speranza.

  • 6° esercizio: come medito sulla vita eterna? Cosa provo quando medito sul mistero della morte? Come vivo la rilettura di questi testi sacri?

Per questo Dio non disdegna di chiamarsi loro Dio (11, 16).

Eccoci, infine, alla conclusione più bella. Dio non disdegna di chiamarsi Dio dei padri. In effetti sono molto numerose le ricorrenze della Scrittura nelle quali Dio si lascia chiamare: “Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe”. Anche Gesù fa riferimento a questo modo di chiamare il Padre nel corso della sua predicazione, per dire che “Dio, è il Dio dei viventi”. Dio si lascia chiamare, si lascia invocare accanto al nome di quello dei grandi patriarchi che hanno fatto la storia di Israele. Come mai? Perché Dio si lascia invocare accanto al nome di Abramo, Isacco e Giacobbe? Evidentemente per richiamare ciascuno di noi alla speranza. Poiché Abramo, Isacco, Giacobbe sono stati tutti uomini di grandissima speranza, ecco che anche a noi viene chiesto di invocare Dio che è il fondamento e il premio di ogni speranza con il nome di coloro che hanno dedicato alla speranza la loro vita.

Per noi. Accanto al nome di Abramo, Isacco, Giacobbe, noi potremmo mettere anche il nome di tutti quei testimoni della fede che per noi sono stati importanti e che sono state anime di speranza. I nostri avi, i nostri nonni, i nostri genitori, i nostri preti, tutti coloro che, in qualche modo, hanno contribuito a mettere speranza nei nostri cuori. Dovremmo poi anche sperare che chi viene dopo di noi possa anche dire il nostro nome, così che anche noi possiamo entrare in quella catena ininterrotta di testimoni della speranza.

  • 7° esercizio: chi sono, per me, i testimoni della speranza che Dio mi ha dato la possibilità di incontrare? Per cosa posso ringraziare il Signore, da quello che ho potuto vedere in loro?