Settimana della quarta domenica dopo Pentecoste – Mercoledì
Vangelo
Lc 7, 11-17
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca
In quel tempo. Il Signore Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.
A proposito di figli…
Intitolerei così la riflessione di oggi. Questa meditazione mi è suggerita dalle parole del Vangelo e dalla scena che è evocata: un funerale. Un funerale di un giovane e, per giunta, di una madre che è già stata toccata in maniera particolare dalla morte: è una donna che ha già pianto il marito e che, ovviamente, deve essere ancor giovane, se madre di un adolescente. Possiamo immaginare la scena e, dunque, vivere quella che chiamiamo la “composizione di luogo”. C’è un corteo mesto, che si sta allontanando dal paese – i morti dovevano essere sepolti fuori dalla città -; a questo corteo stanno prendendo parte i parenti e gli amici, ma anche i “piagnoni”, le donne incaricate di fare il lamento, secondo l’uso mediorientale: c’è strepito, c’è vociare, ci sono grida e pianti; è una scena terrificante che purtroppo si ripete in ogni tempo e in ogni città. Anche presso di noi. L’incontro è illuminante: il Dio della vita si incontra con la morte e, come sempre, nasce quella commozione del Signore che sa fermarsi, sa piangere con chi piange ma che sa anche ridestare alla vita colui che ormai era solo pianto. È così che Dio si occupa di una donna sola, di una madre disperata: ridandole ciò che ha di più caro: la vita del figlio.
Dt 12, 29 – 13, 9
Lettura del libro del Deuteronomio
In quei giorni. Mosè disse: «Quando il Signore, tuo Dio, avrà distrutto davanti a te le nazioni di cui tu stai per prendere possesso, quando le avrai conquistate e ti sarai stanziato nella loro terra, guàrdati bene dal lasciarti ingannare seguendo il loro esempio, dopo che saranno state distrutte davanti a te, e dal cercare i loro dèi, dicendo: “Come servivano i loro dèi queste nazioni? Voglio fare così anch’io”. Non ti comporterai in tal modo riguardo al Signore, tuo Dio; perché esse facevano per i loro dèi ciò che è abominevole per il Signore e ciò che egli detesta: bruciavano nel fuoco perfino i loro figli e le loro figlie, in onore dei loro dèi. Osserverete per metterlo in pratica tutto ciò che vi comando: non vi aggiungerai nulla e nulla vi toglierai. Qualora sorga in mezzo a te un profeta o un sognatore che ti proponga un segno o un prodigio, e il segno e il prodigio annunciato succeda, ed egli ti dica: “Seguiamo dèi stranieri, che tu non hai mai conosciuto, e serviamoli”, tu non dovrai ascoltare le parole di quel profeta o di quel sognatore, perché il Signore, vostro Dio, vi mette alla prova per sapere se amate il Signore, vostro Dio, con tutto il cuore e con tutta l’anima. Seguirete il Signore, vostro Dio, temerete lui, osserverete i suoi comandi, ascolterete la sua voce, lo servirete e gli resterete fedeli. Quanto a quel profeta o a quel sognatore, egli dovrà essere messo a morte, perché ha proposto di abbandonare il Signore, vostro Dio, che vi ha fatto uscire dalla terra d’Egitto e ti ha riscattato dalla condizione servile, per trascinarti fuori della via per la quale il Signore, tuo Dio, ti ha ordinato di camminare. Così estirperai il male in mezzo a te. Qualora il tuo fratello, figlio di tuo padre o figlio di tua madre, o il figlio o la figlia o la moglie che riposa sul tuo petto o l’amico che è come te stesso t’istighi in segreto, dicendo: “Andiamo, serviamo altri dèi”, dèi che né tu né i tuoi padri avete conosciuto, divinità dei popoli che vi circondano, vicini a te o da te lontani da un’estremità all’altra della terra, tu non dargli retta, non ascoltarlo. Il tuo occhio non ne abbia compassione: non risparmiarlo, non coprire la sua colpa».
Ben differente è la prima lettura. Il popolo di Israele si è confrontato in maniera drammatica con l’idolatria dei popoli circumvicini e, tra questi con tutti quei popoli che avevano anche un macabro rituale: sacrificare i bambini in nome degli dei. Il sacrificio era solenne ed era per cause di grossa entità: la costruzione di una casa, meglio ancora la fondazione di una città. Israele sente fremere le sue viscere di fronte a tutto questo e condanna apertamente questo comportamento. Dio è il Dio della vita, non si può assolutamente pensare che egli esiga il sacrificio di una vita, tantomeno della vita di un bambino. Anzi, la vita dell’indifeso, la vita del povero, va assolutamente tutelata, difesa, resa sacra. Onorare il nome di Dio significa, anzitutto, avere questo rispetto per la sacralità della vita. Da qui Israele produce un’ulteriore riflessione. Non solo per questo caso non bisogna seguire gli dei e le richieste folli che gli uomini mettono sulla bocca degli idoli, ma per qualsiasi caso! L’idolatria, di qualsiasi genere sia e qualsiasi cosa proponga, deve essere sempre bollata come contraria alla fede. Avere fede significa andare incontro al Dio della vita, difendere la vita in ogni momento e ad ogni costo, seguire la voce di Dio che è chiamata alla libertà, al bene, alla verità. Non esiste altro! Solo Dio è capace di dare senso alla vita dell’uomo, di riempirla, di dilatare al massimo la sua potenzialità di bene. Avere fede e seguire il Dio della vita significa fare tutto questo. L’antico testamento già capiva perfettamente ciò che l’azione di Gesù Cristo avrebbe poi rivelato senza ombra di dubbio né possibilità di confusione. Come abbiamo infatti visto anche nella scena evangelica di oggi.
Per noi.
Il problema viene ora posto a noi. Credo che già molte volte e in diversi contesti avete tutti avuto modo di riflettere sul senso dell’idolatria. Non voglio aggiungere nulla a quanto avete già potuto certamente leggere e pensare. Piuttosto non perderei l’occasione per riflettere sul senso della vita, proprio a partire da ciò che abbiamo vissuto quest’anno. Se volete, questa pagina estiva della liturgia può essere, per ciascuno di noi, occasione per riflettere sul senso dell’esistenza, sul senso della vita, sul bene che siamo chiamati a compiere, sulla potenza di bene che è dentro di noi e che, spesso, rischia di essere frenata non solo dal fascino e dal richiamo del male, ma anche dalla incapacità che abbiamo di aderire a tutte le possibilità concrete che abbiamo di fare del bene. Quante volte sono proprio le omissioni ad attanagliare la vita! Quante volte sono le possibilità di fare del bene che abbiamo e che lasciamo cadere a rinchiuderci in quell’orizzonte di idolatria che è la pigrizia, l’egoismo, il pensare solamente al proprio bene…
Così vorrei che tutti ci chiedessimo:
- Cosa ho imparato da ciò che ho vissuto quest’anno?
- Cosa dico sul senso della vita?
- Quali idoli servo?
- Quali possibilità di fare del bene tralascio, chiudendomi così nell’egoismo e nel ripiegamento su me stesso?
Chiediamo al Signore di liberarci, ora e sempre, dal rischio di idolatrie che non ci portano da nessuna parte.