Settimana della 5 domenica dopo il martirio – Domenica
Per introdurci
Rischieremmo di sbagliare profondamente l’approccio al testo sacro se, ripensando alle parole del Vangelo, partissimo subito per dare un risvolto “sociale” alla parabola. Il testo lo suggerisce fin dal principio. Per questo trovo appropriato chiederci:
- Che reazione provoca in me questo testo?
- Cosa mi dice questa Parola di Dio?
Per poi passare a chiederci: ma cosa vuole dire il Signore con questa parabola?
Deuteronomio
Dt 6, 1-9
Lettura del libro del Deuteronomio
In quei giorni. Mosè disse: «Questi sono i comandi, le leggi e le norme che il Signore, vostro Dio, ha ordinato di insegnarvi, perché li mettiate in pratica nella terra in cui state per entrare per prenderne possesso; perché tu tema il Signore, tuo Dio, osservando per tutti i giorni della tua vita, tu, il tuo figlio e il figlio del tuo figlio, tutte le sue leggi e tutti i suoi comandi che io ti do e così si prolunghino i tuoi giorni. Ascolta, o Israele, e bada di metterli in pratica, perché tu sia felice e diventiate molto numerosi nella terra dove scorrono latte e miele, come il Signore, Dio dei tuoi padri, ti ha detto. Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte».
Romani
Rm 13, 8-14a
Lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge. Infatti: «Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai», e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: «Amerai il tuo prossimo come te stesso». La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità. E questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie. Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo.
Vangelo
Lc 10, 25-37
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca
In quel tempo. Un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova il Signore Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».
Vangelo
“Maestro, che cosa devo fare per avere la vita eterna?”. La domanda sembra buona. Altri, nel corso del ministero di Gesù gli si erano accostati proprio con questa domanda che aveva aperto la porta a profondi discorsi e ad intense catechesi. In realtà non lo è. Lo abbiamo sentito proprio nell’introduzione: colui che pone questa domanda vuole mettere alla prova il Signore Gesù. È un uomo di fede, quello che pone la domanda, è un uomo che conosce e rispetta la legge di Mosè, come si capisce dal testo. È un uomo che vive, non solo che conosce, quello “shemà israel”, quella preghiera che noi, tra l’altro, abbiamo ascoltato nella prima lettura: “Ascolta, Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutta la mente, con tutta l’anima, con tutto il cuore…”.Parole che il pio ebreo ripeteva più volte al giorno, anche grazie ai segni che il popolo ebraico ha introdotto nella sua vita di fede: i piccoli rotoli della scrittura posti all’ingresso di tutte le abitazioni come pure quelli che si indossano nel momento della preghiera, sono lì a ricordarlo. Quest’uomo non si aspettava questa risposta dal Signore. Pensava che avrebbe detto qualcosa di diverso. Avendo citati appropriatamente la scrittura, quest’uomo non può più criticare il Signore, non può più accusarlo, rimane spiazzato. Non sa come uscirne, perché capisce che Gesù, conscendo la sua provenienza, sa che tutte queste cose fanno parte del suo patrimonio di fede. È così che “volendosi giustificare”, cioè non volendo sfigurare davanti a Gesù, quest’uomo pone una domanda banale: “chi è il mio prossimo” che dà occasione a Gesù per introdurre una visione assolutamente diversa della prossimità. Una visione del tutto innovativa. Il pio ebreo sapeva che il suo prossimo erano anzitutto quelli della sua famiglia, verso i quali aveva precisi obblighi e doveri. Poi erano quelli che professavano la medesima fede, verso i quali si doveva nutrire un sentimento di rispetto, di mutuo aiuto, di vicinanza effettiva proveniente dalla fede. Poi basta. Il mondo finiva qui. Gli altri non avevano nessuna dimensione: semplicemente non esistevano.
Gesù spazia in modo molto diverso sul tema. Ed è qui la vera frattura, quella che quel tale non si aspettava. Gesù professa di avere un altro sguardo sugli uomini, sul mondo, sulle cose. Non lo sguardo ristretto di chi vede solo quelli della famiglia o quelli del proprio popolo, ma lo sguardo di chi vede tutta l’umanità come prossimo. Di più. La parabola non è un insegnamento sull’altruismo, ma una descrizione precisa di quello che fa Dio per gli uomini. Dio vede l’umanità ferita, l’umanità che è come mezza morta. Non solo per le diverse occasioni che l’uomo utilizza per sfruttare qualcun altro, ma per via della fede incerta. Senza la fede, un uomo non conosce i grandi valori che Dio insegna ai suoi figli, e l’uomo risulta come mezzo morto. È di fronte a questa umanità che Dio sente compassione e manda il Figlio. Colui che entra nel tempo e, come il samaritano “perde tempo” con gli uomini. Si fa loro vicino, medica le loro ferite, sostiene il loro cammino ma, soprattutto, si preoccupa della loro fede. La locanda dove il malcapitato della parabola viene alloggiato è, di per sé, la comunità dei credenti. Diremmo noi oggi, la Chiesa. È la dimensione della fraternità che si dilata ciò che permette di comprendere davvero cosa è la prossimità. Non solo. Il samaritano consegna due talenti all’albergatore. Sono il simbolo dei sacramenti: il battesimo, grazie al quale si entra nella fraternità cristiana e l’Eucarestia, grazie alla quale si rimane nella fraternità cristiana, come abbiamo detto domenica scorsa e grazie alla cui forza si trova il coraggio di vivere ogni dimensione della vita in maniera fruttuosa e profonda.
L’esito di tutto questo è quella fraternità universale che è la vita eterna, dove si incontreranno tutti coloro che, avendo agito nel nome di Dio, con lui rimangono per l’eternità.
L’insegnamento, quindi, è innovativo e assolutamente nuovo per l’interlocutore senza nome del Signore. Quest’uomo rimane senza parole perché Gesù, partendo da un insegnamento da lui molto conosciuto, trova spunto per una visione del tutto innovativa della vita e della fede.
Romani
La cosa ha sconvolto San Paolo che, come l’interlocutore di Gesù, conosceva bene l’insegnamento di Mosè e dava una connotazione rituale a quell’insegnamento. Solo quando scopre il suo valore universale e innovativo, anche Paolo muta il proprio modo di pensare e comprende che gli uomini, tra loro, non devono avere che il debito della carità. Debito di carità che, per il cristiano, nasce dalla propria fede. È dalla professione di fede nel Dio di Gesù Cristo che il cristiano trova la forza per amare tutti, per avvicinarsi a tutti illuminato dalla forza del Vangelo. Per questo il credente non compie le opere che compiono tutti, ma si “comporta onestamente come in pieno giorno: non in mezzo ad orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non tra litigi e gelosie”. Paolo sintetizza così il rapporto con gli altri, che non deve mai essere rapporto di sfruttamento, di uso a proprio piacimento, di mancanza di rispetto della dignità ma, al contrario, deve sempre essere pieno rispetto di tutto e di tutti. “Rivestitevi del Signore Gesù Cristo”, diceva l’apostolo, per dire che chi chiede il battesimo si deve impegnare per questa visione di vita, rinnovando completamente il proprio modo di pensare e di vivere. Ecco il cuore di questo insegnamento nuovo, conseguente a quello del Vangelo.
Per noi
Noi ci mettiamo di fronte a questo testo. A noi vengono dette queste cose. A noi viene raccomandato non già di praticare una indistinta accoglienza umana, che pure è cosa buona, ma non sufficiente per il credente. Il credente si riveste di Cristo e per questo si astiene da tutta quella serie di comportamenti che ci sono da sempre, che spesso creano scandalo, ma che non dovrebbero essere messi in atto dai battezzati. Già qui noi dobbiamo fermarci, perché siamo nella stessa posizione dell’interlocutore di Gesù. Noi sappiamo bene queste cose e sappiamo bene cosa non dovremmo mai fare. Eppure sempre più spesso emerge che i cristiani non hanno nessuna novità di vita da esprimere, ma fanno esattamente quello che fanno gli altri. Si perde così la novità battesimale alla quale tutti siamo chiamati.
Il recupero della propria identità di fede, il recupero della propria grazia battesimale non viene da un’indistinta presunta comunione umana, da un indeterminato sentire umano, ma da un recupero della fede e dei suoi valori. Proprio perché pieni di Dio si può guardare agli altri con quell’occhio nuovo di Cristo. Proprio perché rivestiti di Cristo si spende tempo per gli altri, ci si ferma, si spende del proprio, si dona quella fraternità e quella comunione che, quando sono autentiche, non possono fare altro che essere attraenti. Ecco cosa dice la parabola.
Non un’indistinta unione umana è innovativa, ma una visione di fede che si propone come alternativa e, quindi, illuminante.
- Siamo pronti a giocarci per questo?
Noi iniziamo la settimana della Madonna del rosario. Questa festa è una delle feste che hanno cambiato nome nel corso della storia. Prima si chiamava “Vergine della vittoria” e si riferiva alla gloriosa battaglia di Lepanto, anno 1571 e, dunque, esattamente 450 anni fa. La vittoria della coalizione cristiana, fortemente voluta da San Pio V, fu attribuita dal Santo Padre alla preghiera del rosario con cui i marinai erano stai esortati a pregare. Di qui il cambio del nome alla festa aliturgica. Al di là del significato storico della battaglia e delle sue conseguenze, è chiaro che a trionfare fu una visione di libertà, di uomo, di fede che è quella dalla quale noi discendiamo e grazie alla quale possiamo comprendere ciò che la parabola insegna. Forse anche questo fatto dovrebbe istruirci a ricordare che le conquiste alle quali si riferiscono questi fatti, furono prodotte proprio da quella mentalità cristiana che oggi tanto poco apprezziamo e difendiamo.
- Cosa stiamo facendo per vivere bene la nostra fede e per trasmetterla agli altri?
- Come stiamo vivendo quel radicarci nel Vangelo che libera le coscienze?
La settimana che inizia ha un cuore. Noi preghiamo per la famiglia. Per la visione cristiana di famiglia. Visione così spesso attaccata, non compresa, non difesa. Io vorrei che nel venerare la Madonna del Rosario con il titolo di Regina della famiglia, ci unissimo tutti attorno a Lei. È per questo che ci rivolgiamo anche ad alcune particolari categorie di famiglia perché vengano ad ascoltare quella parola buona che la Chiesa ha da dire perché diventi benedizione.
Raccomando a tutti la preghiera del rosario, nei prossimi giorni. Raccomando che venga recitata in semplicità nelle famiglie, che si venga in chiesa, nelle diverse celebrazioni, per pregare con maggior solennità e comune partecipazione. Così anche noi, istruiti nella fede come l’uomo della parabola, impareremo da Dio a coltivare quella fraternità universale che, senza fede, diventa solo vicinanza o, al massimo condivisione di spazi, risorse, problemi. Noi guardiamo ad altri tesori. È coi tesori della fede che illuminiamo l’uomo, la vita, la concezione di libertà, l’idea di famiglia. Radichiamoci in Cristo, troveremo il tesoro da esporre e da donare a tutti.