Venerdì 04 giugno

Settimana della 1 domenica dopo Pentecoste – Giovedì

Esodo

Es 4, 10-17
Lettura del libro dell’Esodo

In quei giorni. Mosè disse al Signore: «Perdona, Signore, io non sono un buon parlatore; non lo sono stato né ieri né ieri l’altro e neppure da quando tu hai cominciato a parlare al tuo servo, ma sono impacciato di bocca e di lingua». Il Signore replicò: «Chi ha dato una bocca all’uomo o chi lo rende muto o sordo, veggente o cieco? Non sono forse io, il Signore? Ora va’! Io sarò con la tua bocca e ti insegnerò quello che dovrai dire». Mosè disse: «Perdona, Signore, manda chi vuoi mandare!». Allora la collera del Signore si accese contro Mosè e gli disse: «Non vi è forse tuo fratello Aronne, il levita? Io so che lui sa parlare bene. Anzi, sta venendoti incontro. Ti vedrà e gioirà in cuor suo. Tu gli parlerai e porrai le parole sulla sua bocca e io sarò con la tua e la sua bocca e vi insegnerò quello che dovrete fare. Parlerà lui al popolo per te: egli sarà la tua bocca e tu farai per lui le veci di Dio. Terrai in mano questo bastone: con esso tu compirai i segni».

I grandi progetti vengono sempre suscitati dalla forza di Dio e vengono portati avanti da uomini che hanno il coraggio di fidarsi di Dio. Talora, poi, alcuni di essi, non ne sono nemmeno consapevoli!

Prendete Mosè. È un ebreo, figlio di ebrei, accolto dal faraone. Uno che, alla fine, non sa nemmeno bene chi sia religiosamente. Conosce la storia degli ebrei ma non pratica la fede degli ebrei. Conosce gli dei degli egiziani, ma non è più a corte, non partecipa più ai riti elaborati da quella religione. È, ora, al servizio di un beduino del deserto, che ha una religione semplice che prevede il culto degli antenati. Ma chi è Mosè, a questo punto della vita, religiosamente parlando? Incertezza su tutto.

E chi è umanamente Mosè? È un ebreo che non partecipa alla sofferenza del suo popolo: è stato accolto nella casa di Faraone. Ha, però, ucciso un ebreo, quindi è inviso agli egiziani, lui che egiziano non è. È un fuggitivo che si è fermato nel deserto e che si è sposato con una donna, Zipporà, figlia dell’uomo che lo ha accolto. Ma non è membro di niente. Non è partecipe di nulla.

Eppure è a quest’uomo che parla Dio dal roveto. È quest’uomo che avrà una vocazione unica, incredibile, bellissima, una vocazione sostenuta da Dio e come non ve ne sarebbero mai più state. In effetti altre ce ne furono. Uomini che sono diventati eterni perché hanno creduto ed amato: Samuele, Sansone, Davide, Giovanni il Battista…

Uomini che hanno inserito il tempo in cui hanno vissuto nell’eternità, perché hanno amato, creduto, lottato, sperato.

Vangelo

Lc 4, 42-44
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca

In quel tempo. Sul far del giorno il Signore Gesù uscì e si recò in un luogo deserto. Ma le folle lo cercavano, lo raggiunsero e tentarono di trattenerlo perché non se ne andasse via. Egli però disse loro: «È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato». E andava predicando nelle sinagoghe della Giudea.

Così come fa il Signore, che non si limita a predicare a Cafarnao, non si limita a condividere la vita con la gente di quel lago, con i credenti di quella sinagoga. Ma va, gira, diventa come uno che non ha dove posare il capo, perché vuole che tutti gli altri uomini che lo incontreranno giungano a fissare il proprio istante di vita dentro l’eternità e facciano della loro esperienza di vita un tramite verso la vita eterna. Perché questo è il progetto di fede con il quale Gesù vuole entusiasmare tutti coloro che lo incontreranno. Allora e nei secoli. A tutti verrà proposto di entrare nella vita eterna partendo dal presente, partendo da quello che già c’è e che già si vive, offrendo quello che è possibile offrire a Dio: il proprio amore nelle giornate normali.

Per noi

Compiti che dovrebbero essere un po’ nostri. Entrambi.

Ciò che spesso diciamo e ripetiamo, e cioè che siamo unici nelle mani di Dio e preziosi ai suoi occhi, dovrebbe poi trasformarsi in impegno di testimonianza perché altri scoprano questa verità. Anche in noi dovrebbe esserci quel desiderio di dire a tutti che la fede è la realtà che salva la vita e che la rende bella. Senza fede come si può vivere? È questo quello che dovremmo dire a tutti!

  • Siamo capaci di farlo?
  • Oppure, in nome di un finto rispetto, non riusciamo a soffermarci su cose così importanti?

Il secondo compito che tutti dovremmo vivere è proprio quello di saper vedere le sofferenze dell’uomo che non permettono all’uomo di alzare il campo. È proprio questo il compito che dovremmo prenderci. Noi sappiamo che ci sono uomini e donne oppressi in tutto e per tutto, tanto da non poter alzare lo sguardo verso Dio. Non sono solo i poveri della terra, gli oppressi e gli sfruttati di oggi, che pure ci sono. Sono anche quei nostri concittadini che vivono difficoltà serie o povertà umane profonde e che non hanno la forza per alzare lo sguardo a Dio. L’azione consolante della Chiesa, che si esprime attraverso le nostre opere, dovrebbe essere in grado di fare questo: dovrebbe essere cioè in grado di arrivare, attraverso noi, a questi “poveri uomini e povere donne” per accendere in loro il senso della speranza. A questo si arriva con un sorriso, con una condivisione, con una parola.

  • Siamo pronti a fare questo?

Pensiamoci, anche questo potrebbe essere, per noi, il modo per arrivare a collocare la nostra vita, istante per istante, nella vita eterna.

2021-05-27T17:58:55+02:00