Settimana della 5 domenica di Pasqua – Venerdì
Vangelo
Gv 12, 44-50
✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo. Il Signore Gesù esclamò: «Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me».
Anche oggi le due Scritture possono illuminarci poiché vanno nella stessa direzione.
Da un lato abbiamo la predicazione di Gesù. Gesù, come sempre nel Vangelo, dice apertamente che tutto ciò che fa e dice non viene da Lui, ma è rivelazione del Padre. La Parola che proclama è la Parola del Padre, gli atti che egli compie sono la rivelazione della bontà di Dio che agisce nel mondo per attirare a sé tutte le anime.
Gesù comprende anche che ci sono molti che lo rifiutano, molti che non sanno accogliere la sua Parola, molti che rimangono freddi di fronte alla fede. Costoro non sono condannati da Dio, ma compresi. È la grande umanità di Gesù che comprende il debole, non trascura l’affranto, sostiene il povero. Gesù dice anche: “costoro hanno già chi li condanna: la Parola che ho detto li condannerà nell’ultimo giorno”. Cosa significa questa parola di Gesù che sembra piuttosto dura? Gesù ha sempre identificato la sua Parola con la Verità. Nella sua Parola appare la verità di Dio che, alla fine dei tempi, sarà il giudice di tutti. Giudice misericordioso e comprensivo, ma la Parola, che, appunto, è Verità, rimarrà in eterno e smaschererà le trame degli iniqui, le incomprensioni dei deboli, le reticenze dei dubbiosi.
Dire che la Parola si ergerà come principio di verità perché sia da tutti riconosciuta non mette però in crisi l’affermazione della bontà e misericordia di Dio, che, sempre, vuole la salvezza dell’uomo. Tutto, alla fine, sarà nelle mani della sua grande misericordia.
Atti
At 17, 16-34
Lettura degli Atti degli Apostoli
In quei giorni. Paolo, mentre attendeva Sila e Timòteo ad Atene, fremeva dentro di sé al vedere la città piena di idoli. Frattanto, nella sinagoga, discuteva con i Giudei e con i pagani credenti in Dio e ogni giorno, sulla piazza principale, con quelli che incontrava. Anche certi filosofi epicurei e stoici discutevano con lui, e alcuni dicevano: «Che cosa mai vorrà dire questo ciarlatano?». E altri: «Sembra essere uno che annuncia divinità straniere», poiché annunciava Gesù e la risurrezione. Lo presero allora con sé, lo condussero all’Areòpago e dissero: «Possiamo sapere qual è questa nuova dottrina che tu annunci? Cose strane, infatti, tu ci metti negli orecchi; desideriamo perciò sapere di che cosa si tratta». Tutti gli Ateniesi, infatti, e gli stranieri là residenti non avevano passatempo più gradito che parlare o ascoltare le ultime novità. Allora Paolo, in piedi in mezzo all’Areòpago, disse: «Ateniesi, vedo che, in tutto, siete molto religiosi. Passando infatti e osservando i vostri monumenti sacri, ho trovato anche un altare con l’iscrizione: “A un dio ignoto”. Ebbene, colui che, senza conoscerlo, voi adorate, io ve lo annuncio. Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è Signore del cielo e della terra, non abita in templi costruiti da mani d’uomo né dalle mani dell’uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa: è lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa. Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del loro spazio perché cerchino Dio, se mai, tastando qua e là come ciechi, arrivino a trovarlo, benché non sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come hanno detto anche alcuni dei vostri poeti: “Perché di lui anche noi siamo stirpe”. Poiché dunque siamo stirpe di Dio, non dobbiamo pensare che la divinità sia simile all’oro, all’argento e alla pietra, che porti l’impronta dell’arte e dell’ingegno umano. Ora Dio, passando sopra ai tempi dell’ignoranza, ordina agli uomini che tutti e dappertutto si convertano, perché egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare il mondo con giustizia, per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti». Quando sentirono parlare di risurrezione dei morti, alcuni lo deridevano, altri dicevano: «Su questo ti sentiremo un’altra volta». Così Paolo si allontanò da loro. Ma alcuni si unirono a lui e divennero credenti: fra questi anche Dionigi, membro dell’Areòpago, una donna di nome Dàmaris e altri con loro.
Così è anche nella predicazione di Paolo. Ci sono alcuni che ascoltano la sua parola nell’areopago e ci sono altri che non la ascoltano. Ci sono alcuni che si convertono e credono, ci sono altri che, addirittura, snobbano San Paolo e la sua predicazione. Mentre Paolo si sforza, in ogni modo, di predicare in modo tale che la sua predicazione sia comprensibile per i suoi uditori – ecco la sua attenzione nel parlare del “dio ignoto” – altri, per lo più i grandi “filosofi” dell’areopago, cercano di mettere in crisi la sua parola. Parola che non viene più ascoltata quando Paolo parla di risurrezione della carne. È questa la Verità di fede sulla quale Paolo centra tutta la sua predicazione, perché è il cuore dell’esperienza cristiana. Concetto impensabile per la cultura greca. Ecco perché Paolo non ha grande successo ad Atene. Non manca chi lo ascolta, anime che consolano il cuore dell’Apostolo, ma nel complesso la sua predicazione non ottiene l’effetto sperato. Come diceva il Vangelo, vi sono alcuni che non possono comprendere la predicazione di coloro che parlano a nome di Dio. Paolo se ne andrà da Atene, certamente deluso per lo scarso “risultato” ottenuto, ma non dimentico di rimettere nelle mani della misericordia di Dio gli abitanti della città, lui che si considerava il primo ad avere sempre bisogno della misericordia del Padre.
Per noi
Credo che questa duplice predicazione debba darci molta pace. Anche noi siamo sempre molto attenti a cercare di capire qual è l’effetto delle nostre iniziative pastorali, anche noi cerchiamo, in qualche maniera, di misurare, di quantificare quanta rispondenza c’è per la missione della Chiesa di cui, anche come laici, siamo partecipi. La Parola di Dio ci ricorda che, se da un lato è umano fare così, dall’altro occorre avere fiducia nella Provvidenza di Dio e, soprattutto, occorre lasciare alla sua misericordia di Padre il giudizio finale. Il credente continua ad operare nel mondo, certo che il suo è un servizio alla Verità di Dio, ma non affretta i tempi. Egli sa che ognuno è chiamato a prendere una posizione personale, ad esprimere, in modo personale, il proprio assenso, la propria adesione alla fede, oppure la propria lontananza. Ogni testimone autentico della fede non pretende nulla. Egli si pone come testimone della Verità di Dio e affida tutti alla Sua misericordia. È di questo genere di credenti e di testimoni che abbiamo più che mai bisogno!