Settimana Autentica – Venerdì Santo – Deposizione del Signore
La celebrazione della deposizione del Signore ci immette nel tempo della notte, nel tempo del grande silenzio. È il secondo giorno del triduo, quello più lungo, quello più angosciante. Il Corpo del Signore viene calato dalla Croce e chiuso nel sepolcro. Da qui in avanti c’è solo il grande silenzio. Ma anche in questa “Pasqua minore” della deposizione, c’è uno di quei personaggi minori che aiutano la preghiera.
Vangelo
Mt 27,1-56
Venuto il mattino, tutti i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. Poi lo misero in catene, lo condussero via e lo consegnarono al governatore Pilato.
Allora Giuda – colui che lo tradì –, vedendo che Gesù era stato condannato, preso dal rimorso, riportò le trenta monete d’argento ai capi dei sacerdoti e agli anziani, dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente». Ma quelli dissero: «A noi che importa? Pensaci tu!». Egli allora, gettate le monete d’argento nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi. I capi dei sacerdoti, raccolte le monete, dissero: «Non è lecito metterle nel tesoro, perché sono prezzo di sangue». Tenuto consiglio, comprarono con esse il «Campo del vasaio» per la sepoltura degli stranieri. Perciò quel campo fu chiamato «Campo di sangue» fino al giorno d’oggi. Allora si compì quanto era stato detto per mezzo del profeta Geremia: «E presero trenta monete d’argento, il prezzo di colui che a tal prezzo fu valutato dai figli d’Israele, e le diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore».
Gesù intanto comparve davanti al governatore, e il governatore lo interrogò dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Tu lo dici». E mentre i capi dei sacerdoti e gli anziani lo accusavano, non rispose nulla. Allora Pilato gli disse: «Non senti quante testimonianze portano contro di te?». Ma non gli rispose neanche una parola, tanto che il governatore rimase assai stupito.
A ogni festa, il governatore era solito rimettere in libertà per la folla un carcerato, a loro scelta. In quel momento avevano un carcerato famoso, di nome Barabba. Perciò, alla gente che si era radunata, Pilato disse: «Chi volete che io rimetta in libertà per voi: Barabba o Gesù, chiamato Cristo?». Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.
Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua».
Ma i capi dei sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a chiedere Barabba e a far morire Gesù. Allora il governatore domandò loro: «Di questi due, chi volete che io rimetta in libertà per voi?». Quelli risposero: «Barabba!». Chiese loro Pilato: «Ma allora, che farò di Gesù, chiamato Cristo?». Tutti risposero: «Sia crocifisso!». Ed egli disse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora gridavano più forte: «Sia crocifisso!».
Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumentava, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: «Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!». E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». Allora rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.
Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la truppa. Lo spogliarono, gli fecero indossare un mantello scarlatto, intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra. Poi, inginocchiandosi davanti a lui, lo deridevano: «Salve, re dei Giudei!». Sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo deriso, lo spogliarono del mantello e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero via per crocifiggerlo.
Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la sua croce.
Giunti al luogo detto Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», gli diedero da bere vino mescolato con fiele. Egli lo assaggiò, ma non ne volle bere. Dopo averlo crocifisso, «si divisero le sue vesti, tirandole a sorte». Poi, seduti, gli facevano la guardia. Al di sopra del suo capo posero il motivo scritto della sua condanna: «Costui è Gesù, il re dei Giudei». Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.
Quelli che passavano di lì lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Tu, che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio”!». Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo.
A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. Gli altri dicevano: «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!». Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito.
Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti.
Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!».
Vi erano là anche molte donne, che osservavano da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. Tra queste c’erano Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo.
Giuseppe di Arimatea…
Anche di lui sappiamo poco, se non che era di Arimatea. Arimatea, non lontano da Gerusalemme ma per lui, che era ricco mercante, un posto decisamente troppo in periferia. Per questo, avendo costituito una notevole ricchezza, si era trasferito a Gerusalemme, la grande città. Nuovi contatti, nuove possibilità e poi essere a Gerusalemme significa essere sempre sulla scena del mondo intero di quel tempo. Per un mercante era un’occasione da non perdere, specie se i suoi affari dovevano crescere.
Giuseppe di Arimatea non è solo un mercante ricco e pronto a stare sulla scena che conta. È anche un uomo di fede. Alcune tradizioni lo vogliono anche membro del Sinedrio, insieme a Nicodemo, di cui era amico e confidente. Un uomo che studia, un uomo che si interroga sulle vicende della fede, un uomo che è in ricerca, come Nicodemo. Un uomo che crede in Gesù, anzi, specificava il vangelo, un uomo che “era diventato suo discepolo”.
Non sfugge a nessuno il nome: Giuseppe. Come all’inizio della vita di Gesù c’è un Giuseppe che lo accoglie e che opera per il suo bene e per la sua custodia, così, alla fine della sua vita, c’è un altro Giuseppe, che vive il senso della medesima custodia: prendere il corpo, dare onesta sepoltura. Si era già comprato la tomba, Giuseppe. Uomo previdente, o, forse, voleva assicurarsi di avere uno di quei mausolei che devono narrare ai posteri le gesta di una vita e ostentare ricchezza. Eppure, di fronte a quella morte, Giuseppe non esita a mettere a disposizione quella tomba. Era nuova, incorrotta, nobile, scavata nella roccia e non in terra, come una sepoltura comune. Certo anche Giuseppe aveva sentito la predicazione di Gesù sulle ricchezze e su quel “procurarsi amici con la disonesta ricchezza” di cui anche lui era detentore. Ecco perché non esita. Compera un lenzuolo, anch’esso pregiato, di puro lino, un “syndon” o come diciamo noi una sindone, uno di quei lini pregiatissimi perché dovevano stare a contatto con il corpo nudo. Un pensiero di squisita delicatezza. E poi aromi, per quel che si può nella vigilia della festa. Tutto ciò che può a disposizione degli altri.
Sotto la croce c’è, dunque, uno di quei ricchi di cui Gesù aveva detto che “difficilmente entreranno nel regno dei cieli” che ha capito il senso di quell’insegnamento e, con gioia, dona tutto ciò che può per colui che aveva dato tutto se stesso. “Cose preziose” per un “corpo prezioso”. Così Giuseppe l’uomo giusto di Arimatea
In preghiera…
San Giuseppe di Arimatea,
tu che sei un personaggio minore di questa “Pasqua minore”,
aiutaci a custodire nel nostro cuore
la presenza spirituale del Signore.
Tu che hai messo a sua disposizione le cose che avevi,
aiuta anche noi,
pur presi dalla strategia dell’accumulo,
a condividere con gli altri quello che abbiamo.
Tu che hai accolto il corpo morto del Signore
E sei stato tra i testimoni della sua Risurrezione,
aiuta anche a noi a risorgere a quella vita di grazia
che è la vita di fede.
San Giuseppe di Arimatea,
aiutaci a non temere e a ricordare che
chi dona con gioia è amico di Dio.
San Giuseppe di Arimatea, rendi anche noi piccoli protagonisti
di quella Pasqua minore che è la vita di ogni uomo
che si apre ad accogliere la grande Pasqua,
la Pasqua di Cristo
Amen.