Settimana della prima domenica dopo Pentecoste – Venerdì
Vangelo
Lc 4, 42-44
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca
In quel tempo. Sul far del giorno il Signore Gesù uscì e si recò in un luogo deserto. Ma le folle lo cercavano, lo raggiunsero e tentarono di trattenerlo perché non se ne andasse via. Egli però disse loro: «È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato». E andava predicando nelle sinagoghe della Giudea.
Del Vangelo di oggi vorrei sottolineare due specifiche caratteristiche.
La prima: ci sono persone che tentano di “trattenere” il Signore Gesù. Lo fanno con benevolenza. Avendo riconosciuto la forza che “esce” da Lui e che sana i malati e avendo ascoltato la parola di salvezza che Egli pronuncia, vorrebbero “trattenere” la sua presenza per non sentirsi soli.
La seconda: Gesù non si lascia trattenere non per non voler stare con le persone: è venuto per questo, per essere vicino ad ogni uomo, ma perché sa che il suo ministero non può essere limitato. Ecco allora riprendere la strada della presenza in sinagoga, luogo di annuncio della sua venuta e luogo privilegiato per la sua prima predicazione. Sembra quasi che Gesù, dopo l’insuccesso della sinagoga di Nazareth, e rinvigorito dall’esperienza di Cafarnao e del deserto, quasi si riprenda e decida di nuovo di far passare l’annuncio del regno attraverso l’esperienza della sinagoga. Si direbbe che nel vangelo c’è una costante dialettica tra l’attenzione ad Israele e alle sue istituzioni di fede e la novità che Egli è venuto a portare e che potremmo dire, con le parole care a Papa Francesco, la sua costante attenzione all’uomo della periferia. Periferia esistenziale della malattia, della solitudine, del dolore. Il Vangelo è in perenne dialettica di amore tra questi cardini.
Il tema della permanente presenza del Signore, per noi cristiani, si sviluppa nella riflessione eucaristica. Dio, che non si lascia trattenere da nessuno, decide di stare con tutti in quella presenza fondamentale per il credente che è la S. Eucarestia.
Esodo
Es 12, 29-36
Lettura del libro dell’Esodo
In quei giorni. A mezzanotte il Signore colpì ogni primogenito nella terra d’Egitto, dal primogenito del faraone che siede sul trono fino al primogenito del prigioniero in carcere, e tutti i primogeniti del bestiame. Si alzò il faraone nella notte e con lui i suoi ministri e tutti gli Egiziani; un grande grido scoppiò in Egitto, perché non c’era casa dove non ci fosse un morto! Il faraone convocò Mosè e Aronne nella notte e disse: «Alzatevi e abbandonate il mio popolo, voi e gli Israeliti! Andate, rendete culto al Signore come avete detto. Prendete anche il vostro bestiame e le vostre greggi, come avete detto, e partite! Benedite anche me!». Gli Egiziani fecero pressione sul popolo, affrettandosi a mandarli via dal paese, perché dicevano: «Stiamo per morire tutti!». Il popolo portò con sé la pasta prima che fosse lievitata, recando sulle spalle le madie avvolte nei mantelli. Gli Israeliti eseguirono l’ordine di Mosè e si fecero dare dagli Egiziani oggetti d’argento e d’oro e vesti. Il Signore fece sì che il popolo trovasse favore agli occhi degli Egiziani, i quali accolsero le loro richieste. Così essi spogliarono gli Egiziani.
Così come ci viene suggerito anche da una possibile lettura della pagina dell’Esodo. Siamo nel contesto tragico della decima piaga di Egitto, come abbiamo già sentito anche fin dall’altro giorno. Si sente, dalle parole che ci sono state rivolte, che ci sono morti da tutte le parti: uomini, animali, figli di re e governatori come anche figli e figlie di schiavi e che nemmeno il gregge è risparmiato. Israele, finalmente, ottiene il permesso di partire. Ritenuto la causa prima di tutta quella sventura, finalmente se ne può andare. Possiamo capire anche lo sgomento di Israele, i cui figli non sono stati toccati da quella tragedia e che deve passare in mezzo ad un popolo che è stato il suo padrone per uscire e andare verso l’ignoto. Si sa, prima di partire per un viaggio, una delle preoccupazioni fondamentali è il cibo. Ecco, sul finire della scrittura, quella nota apparentemente insignificante sul pane azzimo, il pane non ancora lievitato che viene preso per il viaggio, anche se non è ancora pronto! Quel pane diventerà il sostegno del popolo che si incammina verso l’Esodo. Un chiaro simbolo di ciò che sarà l’Eucarestia: non più il pane creato dall’uomo per il suo sostentamento ma il pane voluto da Dio, quella permanente presenza che parla della condivisione di Cristo con il suo popolo e della sua permanente presenza in ogni momento della storia, accanto ad ogni uomo.
Nella rivelazione di Dio c’è un posto di accoglienza per ciascuno. Ecco cosa ci dicono le scritture di oggi, soprattutto quella del Vangelo.
Per noi
La riflessione di oggi arricchisce quella che già abbiamo fatto ieri, nella festa del Corpus Domini, riflessione che possiamo ancor meglio capire se ripensiamo a ciò che abbiamo vissuto quest’anno e che, in molti, hanno patito. In tantissimi, nei mesi in cui ci è stato chiesto di non partecipare alle celebrazioni eucaristiche per prudenza sanitaria, hanno avvertito la difficoltà del non cibarsi del corpo di Cristo, perdendo un sostegno di primaria importanza per la propria vita di fede. L’Eucarestia ci dice esattamente questo: chi si ciba di questo corpo e di questo sangue, ottiene quella permanente presenza di Dio che sostiene qualsiasi momento dell’esistenza: la gioia come il dolore, la salute come la malattia, la gioia come la tristezza… Cristo, nell’Eucarestia, sostiene ogni uomo sempre, in qualsiasi condizione si trovi. Anche per quegli uomini che sono in qualche periferia esistenziale, vale questo principio: Dio si rende prossimo di tutti coloro che lo ricercano con generosità. È per questo che l’Eucarestia è sempre lì, nel tabernacolo, pronta ad accoglierci, ascoltarci, consolarci, sostenerci…
Impariamo a visitare il Santissimo Sacramento anche al di là della celebrazione eucaristica: non ce ne andremo mai delusi.