Domenica 13 febbraio

6 domenica dopo l’Epifania

Per introdurci

La salute e la salvezza sono due cose diverse, anche se noi, normalmente, le utilizziamo come realtà sinonime se non identiche.

  • Cos’è la salute?
  • Cos’è la salvezza?

Entriamo nella dinamica del Vangelo per scoprirlo.

Isaia

Is 56, 1-8
Lettura del profeta Isaia

In quei giorni. Così dice il Signore: «Osservate il diritto e praticate la giustizia, perché la mia salvezza sta per venire, la mia giustizia sta per rivelarsi». Beato l’uomo che così agisce e il figlio dell’uomo che a questo si attiene, che osserva il sabato senza profanarlo, che preserva la sua mano da ogni male. Non dica lo straniero che ha aderito al Signore: «Certo, mi escluderà il Signore dal suo popolo!». Non dica l’eunuco: «Ecco, io sono un albero secco!». Poiché così dice il Signore: «Agli eunuchi che osservano i miei sabati, preferiscono quello che a me piace e restano fermi nella mia alleanza, io concederò nella mia casa e dentro le mie mura un monumento e un nome più prezioso che figli e figlie; darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato. Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore, e per essere suoi servi, quanti si guardano dal profanare il sabato e restano fermi nella mia alleanza, li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. I loro olocausti e i loro sacrifici saranno graditi sul mio altare, perché la mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli». Oracolo del Signore Dio, che raduna i dispersi d’Israele: «Io ne radunerò ancora altri, oltre quelli già radunati».

Romani

Rm 7, 14-25a
Lettera di san Paolo apostolo ai Romani

Fratelli, sappiamo che la Legge è spirituale, mentre io sono carnale, venduto come schiavo del peccato. Non riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto. Ora, se faccio quello che non voglio, riconosco che la Legge è buona; quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Dunque io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra. Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!

Vangelo

Lc 17, 11-19
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca

In quel tempo. Lungo il cammino verso Gerusalemme, il Signore Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

Vangelo

“Entrando in un villaggio, gli vennero incontro 10 lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: Gesù, maestro, abbi pietà di noi”.

Una situazione difficile e curiosa. Siamo all’esterno di un villaggio, perché i lebbrosi non potevano vivere in comunione con i sani.

I 10 lebbrosi sembrano anche essere molto rispettosi, perché si fermano a distanza. Sanno bene che, come malati di lebbra, non devono nemmeno permettersi di avvicinare un sano.

I 10 lebbrosi non chiedono la guarigione, di per sé, ma solo un gesto di pietà. Pietà per la malattia infamante, pietà per il loro essere esclusi da qualsiasi società, pietà per essere emarginati da tutti.

Curioso anche il modo di fare di Gesù: “Andate a presentarvi ai sacerdoti”, è il primo ammonimento. Così prevedeva al legge di Mosè in caso di guarigione dalla lebbra. Guarigione che avviene nel percorso verso i sacerdoti: “E mentre andavano furono purificati”. Curioso che non ci sia prima il miracolo e poi la richiesta di andare dai sacerdoti, ma che il miracolo avvenga lungo il tragitto. Curioso, poi, che non si dice che vennero sanati, che vennero guariti, ma che furono “purificati”. La purificazione è qualcosa che riguarda il cuore, la coscienza, i sentimenti dell’uomo, il suo “interno” non il suo “esterno”, il suo aspetto, il suo corpo. Il miracolo del Signore è segno non solo della “salute” ridonata, a livello fisico e rispetto al contagio che infestava le società antiche, ma anche della “salvezza” dell’anima che Gesù ha donato per quell’incontro di grazia e di misericordia con lui. Nessuna delle due realtà erano state esplicitamente richieste: solo la pietà. Alla pietà umana, Gesù fa seguire due azioni di salvezza. Attenzione, salute, salvezza; tre doni in un solo incontro.

Curiosissima la finale. Uno solo di questo 10 beneficati torna a ringraziare il Signore. Evento che provoca una nuova reazione di Gesù: “non sono stati purificati tutti e dieci? E gli altri nove, dove sono?”. Interrogativo che, intanto, dice la mancanza di riconoscenza di chi pure chiede al Signore. Mancanza di riconoscenza che nasce dalla mancanza di meraviglia. I 9 lebbrosi sanati e che non tornano al Signore, non si sanno stupire per quello che è accaduto, mentre il samaritano sì! Inoltre denota una chiara mancanza di fede: nessuno di loro si è disposto a fare un itinerario di fede per domandarsi chi fosse colui che li aveva guariti. Solo il samaritano è in grado di fare questo. Solo il samaritano è in grado di esprimere tutta la sua riconoscenza al Signore per i benefici della salvezza ricevuti.

Così il Signore insegna che l’uomo, in generale, spesso chiede cose materiali e non guarda ai beni dell’anima ma non è spesso riconoscente e per i doni ricevuti e per la fede che produce la salvezza dell’anima. L’uomo che, spesso, si ferma alla superficialità delle cose e non è in grado di arrivare a quella profondità del rapporto al quale Dio vorrebbe elevarlo o, per lo meno, condurlo. Attestando così di essere succube di una legge di peccato che, comunque, lo allontana da Dio. Anche quando viene perdonato, anche quando il suo peccato viene rimesso, egli permane comunque distante dal Signore, al quale fa fatica ad affidarsi per la verità dei suoi giorni.

Insegnamento che viene spiegato ancor più esplicitamente da San Paolo nell’epistola.

Romani

San Paolo diceva appunto: “io sono carnale, venduto come schiavo al peccato”. Non è questione di fattispecie, non è questione di materialità. Al di là della materialità che ogni peccato necessariamente assume, ogni coscienza è succube del peccato.

Per poi aggiungere: “io so che nella mia carne non abita il bene: in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo. Dovunque io trovo questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me”. Parole fortissime che sentiamo amiche, che sentiamo vicine. Credo che tutti possiamo proprio dire di avere fatto l’esperienza di desiderare il bene, ma di non essere in grado di farlo al sommo grado. Anzi, magari qualche volta ci siamo disposti a fare il bene e poi, per molti motivi, abbiamo, di fatto, compiuto il male. Così l’apostolo poi poteva aggiungere: “me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore”. Paolo capisce che non c’è nulla che possa indirizzarci al bene. Non la nostra volontà, sempre fragile. Non la nostra riconoscenza verso Dio, che dura per poco tempo. Solo Dio ci può liberare da questa legge di peccato che ci destina ad essere lontani da lui. È il mistero della Pasqua nel quale il Signore assume su di sé il peccato dell’uomo per toglierlo di mezzo nella sua morte e risurrezione. Solo questo è fonte di salvezza.

Isaia

Conclude la riflessione il profeta che ci ricorda che la “salvezza” è opera di Dio e per questo opera perfetta, destinata a chiunque, universale. La salvezza che viene da Dio chiede all’uomo il riconoscimento nella fede. Per questo tutti possono avere accesso alla salvezza. La salvezza non è appannaggio di nessuno. È dono gratuito di Dio aperto a tutti: “io radunerò ancora tutti, oltre a quelli già radunati”. Espressione bellissima che ci lascia intendere l’intento di Dio in ordine alla salvezza universale.

Per noi

Vorrei che notassimo, anzitutto, l’attualità di questa parola di Dio. Noi conosciamo la distinzione tra la salute e la salvezza?

Pare che il tempo presente sia tutto e solo concentrato sulla salute. Da sempre, credo, tutti siamo attenti alla nostra salute, ma nell’epoca della pandemia, ancora di più. Noi veniamo da due anni che abbiamo dedicato tutti alla ricerca della salute. Ogni giorno siamo stati raggiunti da bollettini, riflessioni di medici, commenti dei cronisti e degli opinionisti su questo argomento. Abbiamo messo la salute al centro di tutto. Atteggiamento che ci ha portato, indubbiamente, molti vantaggi. Lo vediamo proprio in questi giorni nei quali, timidamente, iniziamo a parlare di notizie più felici in proposito per un graduale “ritorno alla normalità”, come lo chiamiamo.

  • Siamo sicuri di questo percorso? Siamo sicuri della sua bontà?
  • Anche ammesso che sia così, siamo stati e siamo ora riconoscenti a Dio per il dono della salute?

Non credo che siamo molto riconoscenti a Dio per il dono della salute, altrimenti avremmo ben altre manifestazioni di fede. Fede che non solo non è aumentata in questi due anni, ma che ha anche allontanato dalla pratica della fede, soprattutto dall’Eucarestia, coloro che erano già incerti.

Vorrei però anche introdurre una seconda riflessione:

  • Per noi cos’è la salvezza?
  • Che salvezza chiediamo a Dio?

Qui è il cuore del Vangelo e dell’epistola. La salvezza che noi chiediamo a Dio è la salvezza eterna, per la quale tutti dovremmo cambiare il cuore. La salvezza eterna inizia quando non siamo più chiusi in noi stessi, quando non pensiamo ai nostri problemi, quando non siamo egoisti, quando non siamo ripiegati sul nostro star bene, sul nostro personale arricchimento. Il Papa ce lo ricorda molto spesso che tutti noi occidentali siamo ripiegati troppo su di noi, guardiamo alle nostre piccole cose senza avvederci di quello che ci vuole dire  Dio. Per dirla con San Paolo credo che tutti vediamo il richiamo del bene presente in noi ma l’impossibilità di compierlo; sentiamo, come un peso, questa legge del peccato che ci richiama alla carnalità, alla fisicità, alla concretezza di ogni cosa. Credo che la domanda  da porci, allora, sia un’altra: cosa facciamo noi per collaborare alla salvezza eterna? Cosa facciamo per dirigerci verso un’altra preoccupazione di vita, quella, appunto, della salvezza dell’anima. Ecco il cuore del Vangelo, che, per noi, si traduce in una domanda:

  • Come rendo grazie a Dio e come chiedo a Dio di liberarmi dalle piccole preoccupazioni che mi distolgono dal vero interesse per l’eternità?

Infine una terza provocazione:

  • Noi che riconoscenza siamo in grado di esprimere?
  • Verso Dio, verso gli uomini, che riconoscenza abbiamo?

Anche a questo proposito credo che tutti facciamo la constatazione basilare e perfino ovvia di dire che nessuno vive, davvero e fino in fondo, la riconoscenza. Anche tra gli uomini. Diventa sempre più difficile sentire un “grazie” generoso, libero, gratuito. Occorre sempre richiamare, specie i più giovani, a una vera forma di riconoscenza.

La cosa è vera, soprattutto, nei termini della fede. Tutti noi siamo poco riconoscenti con Dio. Lo sappiamo tutti! Quando poi siamo riconoscenti con Dio sembra quasi che dobbiamo “pagare” qualcosa. Per un beneficio ricevuto diamo una sorta di “tassa”. È la logica dello scambio che mortifica e falsifica la logica della gratuità alla quale tutti dovremmo, invece, essere molto affezionati e attenti. Il Vangelo e le letture di oggi ci stanno dicendo che si deve andare oltre questa logica, si deve superare questo principio per cui occorre “pagare Dio”. La fede ci insegna che la gratuità non va in questo senso. Piuttosto dovremmo imparare ad aumentare la nostra fede in Dio, che, nel tempo, ci aiuta anche in modo molto pratico e concreto.

Chiediamo oggi questi doni, per essere all’altezza di quella vita di fede che tutti abbiamo e che condividiamo. Entriamo nella logica della gratuità, della ricerca del bene, della riconoscenza. Sarà un tratto di strada in più verso la santità, vera liberazione da quella logica di morte che grava sulle nostre coscienze, atrofizzandole.

2022-02-10T16:05:13+01:00