Venerdì 15 aprile

Settimana autentica – venerdì santo – deposizione del Signore

La Parola di Dio per questo giorno

I LETTURA Dn 3,1-24
Lettura del profeta Daniele

In quei giorni. Il re Nabucodònosor aveva fatto costruire una statua d’oro, alta sessanta cubiti e larga sei, e l’aveva fatta erigere nella pianura di Dura, nella provincia di Babilonia. Quindi il re Nabucodònosor aveva convocato i sàtrapi, i governatori, i prefetti, i consiglieri, i tesorieri, i giudici, i questori e tutte le alte autorità delle province, perché presenziassero all’inaugurazione della statua che il re Nabucodònosor aveva fatto erigere.
I sàtrapi, i governatori, i prefetti, i consiglieri, i tesorieri, i giudici, i questori e tutte le alte autorità delle province vennero all’inaugurazione della statua che aveva fatto erigere il re Nabucodònosor. Essi si disposero davanti alla statua fatta erigere da Nabucodònosor. Un banditore gridò ad alta voce: «Popoli, nazioni e lingue, a voi è rivolto questo proclama: Quando voi udrete il suono del corno, del flauto, della cetra, dell’arpa, del salterio, della zampogna e di ogni specie di strumenti musicali, vi prostrerete e adorerete la statua d’oro che il re Nabucodònosor ha fatto erigere. Chiunque non si prostrerà e non adorerà, in quel medesimo istante sarà gettato in mezzo a una fornace di fuoco ardente».
Perciò tutti i popoli, nazioni e lingue, non appena ebbero udito il suono del corno, del flauto, della cetra, dell’arpa, del salterio e di ogni specie di strumenti musicali, si prostrarono e adorarono la statua d’oro che il re Nabucodònosor aveva fatto erigere.
Però in quel momento alcuni Caldei si fecero avanti per accusare i Giudei e andarono a dire al re Nabucodònosor: «O re, vivi per sempre! Tu hai decretato, o re, che chiunque avrà udito il suono del corno, del flauto, della cetra, dell’arpa, del salterio, della zampogna e di ogni specie di strumenti musicali, deve prostrarsi e adorare la statua d’oro: chiunque non si prostrerà e non l’adorerà, sia gettato in mezzo a una fornace di fuoco ardente. Ora, ci sono alcuni Giudei, che hai fatto amministratori della provincia di Babilonia, cioè Sadrac, Mesac e Abdènego, che non ti obbediscono, o re: non servono i tuoi dèi e non adorano la statua d’oro che tu hai fatto erigere».
Allora Nabucodònosor, sdegnato e adirato, comandò che gli si conducessero Sadrac, Mesac e Abdènego, e questi comparvero alla presenza del re. Nabucodònosor disse loro: «È vero, Sadrac, Mesac e Abdènego, che voi non servite i miei dèi e non adorate la statua d’oro che io ho fatto erigere? Ora se voi, quando udrete il suono del corno, del flauto, della cetra, dell’arpa, del salterio, della zampogna e di ogni specie di strumenti musicali, sarete pronti a prostrarvi e adorare la statua che io ho fatto, bene; altrimenti, in quel medesimo istante, sarete gettati in mezzo a una fornace di fuoco ardente. Quale dio vi potrà liberare dalla mia mano?».
Ma Sadrac, Mesac e Abdènego risposero al re Nabucodònosor: «Noi non abbiamo bisogno di darti alcuna risposta in proposito; sappi però che il nostro Dio, che serviamo, può liberarci dalla fornace di fuoco ardente e dalla tua mano, o re. Ma anche se non ci liberasse, sappi, o re, che noi non serviremo mai i tuoi dèi e non adoreremo la statua d’oro che tu hai eretto».
Allora Nabucodònosor fu pieno d’ira e il suo aspetto si alterò nei confronti di Sadrac, Mesac e Abdènego, e ordinò che si aumentasse il fuoco della fornace sette volte più del solito. Poi, ad alcuni uomini fra i più forti del suo esercito, comandò di legare Sadrac, Mesac e Abdènego e gettarli nella fornace di fuoco ardente. Furono infatti legati, vestiti come erano, con i mantelli, i calzari, i copricapi e tutti i loro abiti, e gettati in mezzo alla fornace di fuoco ardente. Poiché l’ordine del re urgeva e la fornace era ben accesa, la fiamma del fuoco uccise coloro che vi avevano gettato Sadrac, Mesac e Abdènego. E questi tre, Sadrac, Mesac e Abdènego, caddero legati nella fornace di fuoco ardente. Essi passeggiavano in mezzo alle fiamme, lodavano Dio e benedicevano il Signore.

II LETTURA Dn 3,91-100
Continuazione del profeta Daniele 

Allora il re Nabucodònosor rimase stupito e alzatosi in fretta si rivolse ai suoi ministri: «Non abbiamo noi gettato tre uomini legati in mezzo al fuoco?». «Certo, o re», risposero. Egli soggiunse: «Ecco, io vedo quattro uomini sciolti, i quali camminano in mezzo al fuoco, senza subirne alcun danno; anzi il quarto è simile nell’aspetto a un figlio di dèi». Allora Nabucodònosor si accostò alla bocca della fornace di fuoco ardente e prese a dire: «Sadrac, Mesac, Abdènego, servi del Dio altissimo, uscite, venite fuori». Allora Sadrac, Mesac e Abdènego uscirono dal fuoco. Quindi i sàtrapi, i governatori, i prefetti e i ministri del re si radunarono e, guardando quegli uomini, videro che sopra i loro corpi il fuoco non aveva avuto nessun potere, che neppure un capello del loro capo era stato bruciato e i loro mantelli non erano stati toccati e neppure l’odore del fuoco era penetrato in essi.
Nabucodònosor prese a dire: «Benedetto il Dio di Sadrac, Mesac e Abdènego, il quale ha mandato il suo angelo e ha liberato i servi che hanno confidato in lui; hanno trasgredito il comando del re e hanno esposto i loro corpi per non servire e per non adorare alcun altro dio all’infuori del loro Dio. Perciò io decreto che chiunque, a qualsiasi popolo, nazione o lingua appartenga, proferirà offesa contro il Dio di Sadrac, Mesac e Abdènego, sia fatto a pezzi e la sua casa sia ridotta a letamaio, poiché non c’è nessun altro dio che possa liberare allo stesso modo».
Da allora il re diede autorità a Sadrac, Mesac e Abdènego nella provincia di Babilonia.
Il re Nabucodònosor a tutti i popoli, nazioni e lingue, che abitano in tutta la terra: «Abbondi la vostra pace! Mi è parso opportuno rendervi noti i prodigi e le meraviglie che il Dio altissimo ha fatto per me. / Quanto sono grandi i suoi prodigi / e quanto potenti le sue meraviglie! / Il suo regno è un regno eterno / e il suo dominio di generazione in generazione».

PASSIONE DEL SIGNORE NOSTRO GESÙ CRISTO SECONDO MATTEO Mt 27,57-61
Continuazione del Vangelo secondo Matteo

Venuta la sera, giunse un uomo ricco, di Arimatea, chiamato Giuseppe; anche lui era diventato discepolo di Gesù. Questi si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Pilato allora ordinò che gli fosse consegnato. Giuseppe prese il corpo, lo avvolse in un lenzuolo pulito e lo depose nel suo sepolcro nuovo, che si era fatto scavare nella roccia; rotolata poi una grande pietra all’entrata del sepolcro, se ne andò. Lì, sedute di fronte alla tomba, c’erano Maria di Màgdala e l’altra Maria.

Al Sepolcro

Come si sta davanti ad un sepolcro? Come si sta davanti alla tomba di Colui che abbiamo visto soffrire, che abbiamo celebrato nel suo dolore, che abbiamo visto pendere dalla Croce? In silenzio, verrebbe da dire subito a tutti noi. Ma la giornata del silenzio, per la chiesa, è domani, è il sabato Santo, il Sabato del silenzio. Nella liturgia anche questa sera leggiamo un canto, il cantico dei tre giovani, una lode e una benedizione. Ed è probabile che le donne, quelle donne che abbiamo già presentato lo scorso anno, abbiano intonato canti, perché così è nella prassi mediorientale e di Israele: si intona il canto del lamento, si intona il canto del lutto in onore di chi non c’è più.

Il cantico dei tre giovani

Tre giovani, Sadrach, Mesach, Abdenego. Abbiamo letto e riletto i loro nomi nelle due parti della lettura che abbiano ascoltato in questa celebrazione. Tre giovani coraggiosi: non hanno accettato l’editto di un imperatore dispotico, non hanno accettato che venisse annebbiata la loro coscienza, non hanno permesso che venisse cancellata la loro fede, non hanno voluto stare in vita senza Dio. È questa la professione di fede dei tre giovani. Meglio morire nel nome del Signore, meglio rinunciare a onori e privilegi ma non perdere l’anima. È il canto del martire, è la professione di fede di chi non vuole barattare la propria coscienza con cose, è il canto di chi si consegna a Dio, è il canto di chi ama la vita ma ancor più la vita eterna. È il canto di chi spera nella comunione con Dio per l’eternità.

È il canto di chi loda Dio:           benedetto sei tu, Signore Dio dei nostri padri,

benedetto il tuo nome glorioso e santo,

benedetto sei tu sul trono del tuo regno.

È il canto di chi loda le opere di Dio:

benedite opere tutte del Signore, il Signore,

benedite cieli il Signore.

È il canto delle persone che amano Dio:

benedite angeli il Signore,

benedite potenze il Signore,

benedite sacerdoti il Signore,

benedite servi del Signore il Signore,

benedite spiriti e anime dei giusti il Signore,

benedite santi ed umili di cuore il Signore.

È il canto dei tre giovani, chiamati a benedire Dio.

Davanti alla tomba sigillata, si sta anche così, cantando al Dio della vita, al Dio che ha liberato Sadrach, Mesach, Abdenego dalla morte per il loro coraggio, per la sfida che hanno lanciato all’imperatore, per il bene che hanno voluto mettere nella propria esistenza. Chissà, forse anche le pie donne hanno intonato questo canto già parte della liturgia di Israele. Un canto intonato nella speranza, prima che il silenzio della notte cancellasse tutto.

Un altro canto

Ma c’è anche un altro canto che possiamo fare nostro questa sera, nella deposizione del Signore. È uno degli inni sacri di Manzoni, quello sulla passione, il più lungo, il più complesso. Parole che possiamo utilizzare anche noi:

 

O tementi dell’ira ventura,
Cheti e gravi oggi al tempio moviamo,
Come gente che pensi a sventura,
Che improvviso s’intese annunziar.
Non s’aspetti di squilla il richiamo;
Nol concede il mestissimo rito;
Qual di donna che piange il marito,
È la veste del vedovo altar.

O gran Padre! per Lui che s’immola,
Cessi alfine quell’ira tremenda;
E de’ ciechi l’insana parola
Volgi in meglio, pietoso Signor.
Sì, quel Sangue sovr’essi discenda;
Ma sia pioggia di mite lavacro:
Tutti errammo; di tutti quel sacro-
santo Sangue cancelli l’error.

E tu, Madre, che immota vedesti
Un tal Figlio morir sulla croce,
Per noi prega, o regina de’ mesti,
Che il possiamo in sua gloria veder:
Che i dolori, onde il secolo atroce
Fa de’ boni più tristo l’esiglio,
Misti al santo patir del tuo Figlio,
Ci sian pegno d’eterno goder.

 

Siamo qui. Non sono suonate le campane. Non c’è richiamo liturgico. Anche noi siamo venuti mesti, come pensando alla sventura del Signore. Siamo qui, di fronte all’altare vedovo, senza il suo sposo, senza i sacri lini.

Ma siamo qui per cantare anche noi: cessi, Padre, la tua lontananza, volgi la nostra vita in meglio, pietoso Signore, scenda il tuo Spirito rinnovatore della vita e delle cose. Anche noi vogliamo cantare a Maria, vogliamo pregare Maria, che ci renda più buoni, che renda più attento questo “esilio”, perché la “patria” è quella dei cieli, è quella eterna. Anche noi, che prendiamo parte al patimento del figlio, “Misti al santo patir del tuo Figlio”, guardiamo con speranza alla vita eterna, “Ci sian pegno d’eterno goder”. È questa la preghiera, è questo il canto che vogliamo fare, insieme, questa sera.

Berakah

Così iniziamo questa Berakah:

benedetto sei tu, o Dio, perché hai mandato il tuo Figlio a nascere per noi;

benedetto sei tu, o Dio, perché nella passione del Figlio tuo ci dai il pegno di tutto il tuo amore;

benedetto sei tu, o Dio, perché ci hai salvato attraverso la sua passione;

benedetto sei tu, o Dio, perché ci chiami al canto della vita eterna;

benedetto sei tu, o Dio, perché ci dai la gioia di cantare le gioie della vita;

benedetto sei tu, o Dio, perché ci dai la gioia di celebrare questa Pasqua;

benedetto sei tu, o Dio, perché ci dai la gioia di capire che il canto è un modo per vivere la Pasqua;

benedetto sei tu, o Dio, perché ci hai dato la gioia di celebrare la famiglia in tutte le sue dimensioni e componenti;

benedetto sei tu, o Dio, perché non ti stanchi mai di noi;

benedetto sei tu, o Dio, perché la tua Croce rimane punto fermo nella storia.

Benediciamo il Padre e il Figlio con lo Spirito Santo, lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.

2022-04-14T08:16:41+02:00