Settimana autentica – venerdì santo
La Parola di Dio per questo giorno
I LETTURA Is 49,24-50,10
Lettura del profeta Isaia
Si può forse strappare la preda al forte? / Oppure può un prigioniero sfuggire al tiranno? / Eppure, dice il Signore: / «Anche il prigioniero sarà strappato al forte, / la preda sfuggirà al tiranno. / Io avverserò i tuoi avversari, / io salverò i tuoi figli. / Farò mangiare le loro stesse carni ai tuoi oppressori, / si ubriacheranno del proprio sangue come di mosto. / Allora ogni uomo saprà / che io sono il Signore, il tuo salvatore / e il tuo redentore, il Potente di Giacobbe». / Dice il Signore: / «Dov’è il documento di ripudio di vostra madre, / con cui l’ho scacciata? / Oppure a quale dei miei creditori io vi ho venduti? / Ecco, per le vostre iniquità siete stati venduti, / per le vostre colpe è stata scacciata vostra madre. / Per quale motivo non c’è nessuno, ora che sono venuto? / Perché, ora che chiamo, nessuno risponde? / È forse la mia mano troppo corta per riscattare / oppure io non ho la forza per liberare? / Ecco, con una minaccia prosciugo il mare, / faccio dei fiumi un deserto. / I loro pesci, per mancanza d’acqua, restano all’asciutto, / muoiono di sete. / Rivesto i cieli di oscurità, / do loro un sacco per mantello». / Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, / perché io sappia indirizzare / una parola allo sfiduciato. / Ogni mattina fa attento il mio orecchio / perché io ascolti come i discepoli. / Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio / e io non ho opposto resistenza, / non mi sono tirato indietro. / Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, / le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; / non ho sottratto la faccia / agli insulti e agli sputi. / Il Signore Dio mi assiste, / per questo non resto svergognato, / per questo rendo la mia faccia dura come pietra, / sapendo di non restare confuso. / È vicino chi mi rende giustizia: / chi oserà venire a contesa con me? Affrontiamoci. / Chi mi accusa? Si avvicini a me. / Ecco, il Signore Dio mi assiste: / chi mi dichiarerà colpevole? / Ecco, come una veste si logorano tutti, / la tignola li divora. / Chi tra voi teme il Signore, / ascolti la voce del suo servo! / Colui che cammina nelle tenebre, / senza avere luce, / confidi nel nome del Signore, / si affidi al suo Dio.
SALMELLO Cfr. Sal 21 (22), 17c-20. 23-24b
Hanno forato le mie mani e i miei piedi, *
posso contare tutte le mie ossa.
Essi mi guardano, mi osservano:
si dividono le mie vesti,
sul mio vestito gettano la sorte.
Ma tu, Signore, non stare lontano,
mia forza, accorri in mio aiuto.
Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli,
ti loderò in mezzo all’assemblea.
Lodate il Signore, voi che lo temete,
gli dia gloria la stirpe di Giacobbe.
II LETTURA Is 52,13-53,12
Lettura del profeta Isaia
Così dice il Signore Dio: / «Ecco, il mio servo avrà successo, / sarà onorato, esaltato e innalzato grandemente. / Come molti si stupirono di lui / – tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto / e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo –, / così si meraviglieranno di lui molte nazioni; / i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, / poiché vedranno un fatto mai a essi raccontato / e comprenderanno ciò che mai avevano udito. / Chi avrebbe creduto al nostro annuncio? / A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore? / È cresciuto come un virgulto davanti a lui / e come una radice in terra arida. / Non ha apparenza né bellezza / per attirare i nostri sguardi, / non splendore per poterci piacere. / Disprezzato e reietto dagli uomini, / uomo dei dolori che ben conosce il patire, / come uno davanti al quale ci si copre la faccia; / era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. / Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, / si è addossato i nostri dolori; / e noi lo giudicavamo castigato, / percosso da Dio e umiliato. / Egli è stato trafitto per le nostre colpe, / schiacciato per le nostre iniquità. / Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; / per le sue piaghe noi siamo stati guariti. / Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, / ognuno di noi seguiva la sua strada; / il Signore fece ricadere su di lui / l’iniquità di noi tutti. / Maltrattato, si lasciò umiliare / e non aprì la sua bocca; / era come agnello condotto al macello, / come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, / e non aprì la sua bocca. / Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; / chi si affligge per la sua posterità? / Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, / per la colpa del mio popolo fu percosso a morte. / Gli si diede sepoltura con gli empi, / con il ricco fu il suo tumulo, / sebbene non avesse commesso violenza / né vi fosse inganno nella sua bocca. / Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. / Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, / vedrà una discendenza, vivrà a lungo, / si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. / Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce / e si sazierà della sua conoscenza; / il giusto mio servo giustificherà molti, / egli si addosserà le loro iniquità. / Perciò io gli darò in premio le moltitudini, / dei potenti egli farà bottino, / perché ha spogliato se stesso fino alla morte / ed è stato annoverato fra gli empi, / mentre egli portava il peccato di molti / e intercedeva per i colpevoli».
RESPONSORIO Cfr. Mt 27, 45-46. 51; Gv 19, 30. 34
R Dense tenebre coprirono tutta la terra,
mentre i Giudei crocifiggevano Gesù.
Verso le tre del pomeriggio,
Gesù gridò a gran voce:
«Mio Dio, mio Dio,
perché mi hai abbandonato?».
Uno dei soldati
gli trafisse il fianco con una lancia,
dopo che egli, chinata la testa,
emise lo spirito.
V Ecco sùbito un gran terremoto,
il velo del tempio si strappò
e la terra si scosse,
dopo che egli, chinata la testa,
emise lo spirito.
PASSIONE DEL SIGNORE NOSTRO GESÙ CRISTO SECONDO MATTEO Mt 27,1-56
Venuto il mattino, tutti i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. Poi lo misero in catene, lo condussero via e lo consegnarono al governatore Pilato.
Allora Giuda – colui che lo tradì –, vedendo che Gesù era stato condannato, preso dal rimorso, riportò le trenta monete d’argento ai capi dei sacerdoti e agli anziani, dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente». Ma quelli dissero: «A noi che importa? Pensaci tu!». Egli allora, gettate le monete d’argento nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi. I capi dei sacerdoti, raccolte le monete, dissero: «Non è lecito metterle nel tesoro, perché sono prezzo di sangue». Tenuto consiglio, comprarono con esse il «Campo del vasaio» per la sepoltura degli stranieri. Perciò quel campo fu chiamato «Campo di sangue» fino al giorno d’oggi. Allora si compì quanto era stato detto per mezzo del profeta Geremia: «E presero trenta monete d’argento, il prezzo di colui che a tal prezzo fu valutato dai figli d’Israele, e le diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore».
Gesù intanto comparve davanti al governatore, e il governatore lo interrogò dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Tu lo dici». E mentre i capi dei sacerdoti e gli anziani lo accusavano, non rispose nulla. Allora Pilato gli disse: «Non senti quante testimonianze portano contro di te?». Ma non gli rispose neanche una parola, tanto che il governatore rimase assai stupito.
A ogni festa, il governatore era solito rimettere in libertà per la folla un carcerato, a loro scelta. In quel momento avevano un carcerato famoso, di nome Barabba. Perciò, alla gente che si era radunata, Pilato disse: «Chi volete che io rimetta in libertà per voi: Barabba o Gesù, chiamato Cristo?». Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.
Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua».
Ma i capi dei sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a chiedere Barabba e a far morire Gesù. Allora il governatore domandò loro: «Di questi due, chi volete che io rimetta in libertà per voi?». Quelli risposero: «Barabba!». Chiese loro Pilato: «Ma allora, che farò di Gesù, chiamato Cristo?». Tutti risposero: «Sia crocifisso!». Ed egli disse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora gridavano più forte: «Sia crocifisso!».
Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumentava, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: «Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!». E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». Allora rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.
Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la truppa. Lo spogliarono, gli fecero indossare un mantello scarlatto, intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra. Poi, inginocchiandosi davanti a lui, lo deridevano: «Salve, re dei Giudei!». Sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo deriso, lo spogliarono del mantello e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero via per crocifiggerlo.
Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la sua croce.
Giunti al luogo detto Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», gli diedero da bere vino mescolato con fiele. Egli lo assaggiò, ma non ne volle bere. Dopo averlo crocifisso, «si divisero le sue vesti, tirandole a sorte». Poi, seduti, gli facevano la guardia. Al di sopra del suo capo posero il motivo scritto della sua condanna: «Costui è Gesù, il re dei Giudei». Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.
Quelli che passavano di lì lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Tu, che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio”!». Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo.
A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. Gli altri dicevano: «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!». Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito.
Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti.
Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!».
Vi erano là anche molte donne, che osservavano da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. Tra queste c’erano Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo.
Al Calvario
Nel cenacolo, ieri, siamo rimasti forse stupiti del canto del Signore, di quel suo intonare gli inni, i grandi salmi dell’Hallel. Il venerdì santo non si addice al canto. Anche la liturgia ce lo fa percepire, con questo tono cupo, con le dissonanze del “Tenebrae factae sunt” che abbiamo ascoltato prima del Vangelo. Eppure sulla Croce si consuma l’ultimo canto del Signore. Se è vero, come abbiamo detto ieri, che i salmi sono l’espressione della fede di Israele, ma anche del canto del popolo di Dio, ecco che tutta la passione è ritmata dalle parole del salmo 22 che pregheremo anche in questa liturgia nell’adorazione della Croce, tra pochi minuti.
Il canto del salmo – l’abbandono
La prima voce del salmo è fortissima: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?” che noi abbiamo sentito riportare dal Vangelo anche nella lingua propria di Gesù, l’aramaico: “Elì, Elì, lemà sabactanì?”. Non occorre spiegare. Tutti capiamo. Tutti, guardando alla Croce del Signore dalla quale pende il suo corpo morto e intuiamo. Guardare ad un crocifisso è già intuire il mistero di abbandono a cui Cristo è esposto. Eppure giova capire. Eppure giova per pregare. “Lemà” significa certamente “perché”, ma con una particolare sottolineatura: “in vista di che cosa”, “per che cosa”, “per quale scopo”? Gesù, nel pieno del dolore, riprendendo le parole del salmo e facendole proprie, si rivolge al Padre non tanto o non solo con tutto il senso di solitudine che pure c’è stato per dubitare di Lui. Il Signore chiede, in un dialogo unico, inimmaginabile, insondabile e, per questo inspiegabile con il Padre: “in vista di che cosa sperimento questo abbandono? In vista di che cosa sperimento questo dolore? In vista di che cosa sperimento questa solitudine”? Capiamo ed intuiamo subito che Cristo in Croce, mentre si lascia guidare dal canto del salmo ed utilizza le sue parole per rivolgersi al Padre, domanda: c’è un senso, c’è una direzione all’abbandono?
Il canto del salmo – la supplica
La risposta viene dalle parole seguenti del salmo. L’orante che lo ha scritto, dopo aver ricordato che è stato dimenticato e deriso da tutti – e Cristo è nella medesima situazione, come abbiamo sentito nella narrazione evangelica – dice: “Ma tu, Signore, non stare lontano da me, perché l’angoscia è vicina e non c’è chi mi aiuti”. L’orante si sente abbandonato da tutti gli uomini e, per questo, si rivolge a Dio invocato come propria salvezza. La medesima situazione è vissuta, ora, da Cristo, abbandonato dagli uomini, anche da quelli che erano a lui più vicini, Gesù si rivolge al Padre con questa preghiera che dice tutta la sua certezza: il Padre non abbandona, il Padre non sta lontano, il Padre aiuta.
Il canto del salmo – le immagini di morte
La preghiera del salmista continua, poi, con immagini di dolore e di morte: “mi circondano tori numerosi, un leone che sbrana e ruggisce… il mio cuore è come cera che fonde, io sono come acqua versata… arido come un coccio è il mio vigore”. Non sappiamo chi e perché scrisse queste parole nel tempo antico. Certo sappiamo che Cristo le assume su di sé e domanda al Padre con quelle parole il senso del suo patire, la direzione di quell’abbandono che sta vivendo. Mentre tutte le sensazioni umane sono di fine, il Signore rimette nelle mani del Padre tutto sé stesso, mentre sente la morte sopravvenire
Il canto del salmo – la forza
Di nuovo il canto del salmo che Cristo cita ci porta verso una seconda supplica, la richiesta della forza in un momento di disfatta. “Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza accorri in mio aiuto”. Preludio, pur nell’ora della Croce, della forza pasquale: “annuncerò il tuo nome in mezzo ai tuoi fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea”. Parole che Cristo utilizza prima che la sua voce si spenga, prima che la sua parabola, la sua storia umana si chiuda, prima che tutto diventi buio, silenzio, segno di abbandono del tempio (il velo che si squarcia), perfino rivolta della terra (il terremoto che spezza le rocce). Eppure, tra tutti questi segni di morte, di desolazione, di distruzione, il canto della vita che è più forte: “i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono”, ci ha detto il Vangelo.
La famiglia
Lì, sotto la Croce, i “pezzi” rimasti della famiglia di Gesù.
La Madre, sola, nel suo dolore, quasi divenuta una statua: “stabat mater”. Altro canto, altra melodia che ci narra il dolore del tutto particolare di Maria. Non solo il dolore di una madre che perde un figlio, ma il dolore di quella Madre, Santa e Immacolata che perde quel Figlio, il Figlio di Dio. Dolore che la tradizione cristiana ha reso canto, quasi a cercare di capirne le sfumature, i toni, le particolarità.
Giovanni, lì accanto a lei. Dolore inespresso il suo, dolore che non diventa canto, dolore che rimane nel cuore di un giovane che vede, che crede, che si domanda, che, come la Madre, trattiene nel cuore. Dolore che diventa accoglienza: “Donna, ecco tuo figlio, figlio ecco la tua Madre”. Quasi a dire che quel dolore, quel silenzio che rimase da quel giorno in avanti tra Maria e Giovanni, avrebbe potuto essere colmato solo dalla forza di un amore che diventa accoglienza, apertura, condivisione. È l’unico modo possibile per vivere il dolore che non si può dire.
Noi sotto la Croce
Carissimi, anche noi, oggi, siamo sotto la Croce. Anche noi, con il nostro desiderio, ma anche con la nostra presenza qui in Chiesa e, soprattutto con la nostra preghiera silenziosa, vogliamo essere sotto la Croce. Anche noi capiamo bene che tra gli “abbandonati” da Dio ci siamo anche noi. In vista di che cosa ci abbandona Dio?
- Allo scopo di farci comprendere la potenza vitale dello svuotarci di noi stessi per affidarci a Lui per essere liberi di amare gli altri. Sotto la Croce si sta così, si sta in silenzio pregando le parole del salmo, chiedendo a Dio di venire in nostro aiuto perché non possiamo salvarci da soli. Non possiamo salvarci da soli cioè solo con le nostre forze. Non possiamo salvarci da soli, cioè solo noi a scapito di altri. L’unica forza che ci fa capire la lezione dell’abbandono è la forza dell’amore.
A che cosa ci abbandona Dio?
- Di per sé ci abbandona alla vita, con le sue difficoltà, con le sue fatiche, con le sue durezze, con i nemici che incontriamo inevitabilmente. È nelle ore difficili della vita, nelle ore di morte e soprattutto nell’ora della nostra morte che noi siamo chiamati ad invocare Dio e ad affidarci a Lui, come il Cristo che sperimenta l’abbandono del Padre. È in queste ore che non dobbiamo avere la pretesa di “salvare la nostra vita”, ma di lasciare che sia Dio a salvarla, mentre anche davanti a noi ci saranno “tori”, o “leoni” a sfidarci, mentre “il nostro cuore sarà come cera”, o avremo l’impressione che la nostra vita sia come “acqua che viene versata”, cioè una cosa sprecata. È in quest’ora difficile che siamo invitati a pronunciare il nostro atto di affidamento, a cantare il nostro canto di speranza in Dio.
Da che cosa ci salva Cristo?
- Dalla voglia si salvare noi stessi, dal pensiero di poterlo fare, dal tentativo di fare tutto da soli senza di Lui. Sarebbe solo questo il vero “abbandono” che diventa tragedia. La tragedia dell’uomo che vive senza Dio. Dio non si allontana dalla nostra vita, Dio ha a cuore la nostra angoscia, Dio non ci abbandona, non si allontana, liberandoci dal confidare in noi stessi e donandoci una salvezza inedita e inattesa.
Il salmo – la preghiera di chi dice: so che mi risponderai
Così capiamo che il Cristo morente, nel suo ultimo canto, pronuncia una parola di ultimo affidamento, la parola di chi dice “so che mi risponderai”. Davvero Dio Padre risponde a chi veramente si affida a Lui. Come la risurrezione sarà la risposta del Padre a Cristo che si è affidato al Padre fino a percepire l’abisso dell’abbandono e della solitudine, in vista della redenzione di tutti gli uomini. Tra questi, oggi, anche noi.
Il nostro canto
Signore, anche in questo venerdì santo siamo qui.
Siamo qui sotto la tua Croce,
come i colpevoli sul luogo del delitto, come disse, un giorno, San Paolo VI.
Siamo qui sotto la tua Croce per capire
che non siamo mai abbandonati, anche quando tutto sembra dirci così.
Siamo qui per capire che non possiamo salvarci da soli, anche quando vorremmo proprio fare questo.
Siamo qui per capire che è solo nell’affidamento l’uno dell’altro in una vera famiglia, che sta la salvezza del mondo.
Siamo qui, Signore, per affidarti le nostre famiglie.
Siamo qui per affidarti la famiglia dei credenti, spesso così lontana da te, spesso quasi sul punto di non riconoscerti o di ignorarti.
Siamo qui per affidarti la famiglia umana, spesso così abbandonata a sé stessa, presa dai propri interessi, divisa dalle povertà e dalle guerre.
Siamo qui per riconoscere il misterioso rapporto tra i nostri peccati e la tua passione per capire che noi non siamo mai abbandonati, per capire che se abbiamo l’impressione di esserlo, è per riscoprire te, fonte della vita e dell’amore che consola.
Tu, solo Tu sei la nostra redenzione, la nostra speranza, il senso dei nostri giorni, la risposta ad ogni perché della vita.
Signore, non abbandonarci mai, perché senza di te siamo perduti!
Così sia.