Giovedì 14 aprile

Settimana autentica – giovedì santo

La Parola di Dio per questo giorno

LETTURA VIGILIARE Gio 1,1-3,5.10
Lettura del profeta Giona

In quei giorni. Fu rivolta a Giona, figlio di Amittài, questa parola del Signore: «Àlzati, va’ a Ninive, la grande città, e in essa proclama che la loro malvagità è salita fino a me». Giona invece si mise in cammino per fuggire a Tarsis, lontano dal Signore. Scese a Giaffa, dove trovò una nave diretta a Tarsis. Pagato il prezzo del trasporto, s’imbarcò con loro per Tarsis, lontano dal Signore.
Ma il Signore scatenò sul mare un forte vento e vi fu in mare una tempesta così grande che la nave stava per sfasciarsi. I marinai, impauriti, invocarono ciascuno il proprio dio e gettarono in mare quanto avevano sulla nave per alleggerirla. Intanto Giona, sceso nel luogo più in basso della nave, si era coricato e dormiva profondamente. Gli si avvicinò il capo dell’equipaggio e gli disse: «Che cosa fai così addormentato? Àlzati, invoca il tuo Dio! Forse Dio si darà pensiero di noi e non periremo».
Quindi dissero fra di loro: «Venite, tiriamo a sorte per sapere chi ci abbia causato questa sciagura». Tirarono a sorte e la sorte cadde su Giona. Gli domandarono: «Spiegaci dunque chi sia la causa di questa sciagura. Qual è il tuo mestiere? Da dove vieni? Qual è il tuo paese? A quale popolo appartieni?». Egli rispose: «Sono Ebreo e venero il Signore, Dio del cielo, che ha fatto il mare e la terra». Quegli uomini furono presi da grande timore e gli domandarono: «Che cosa hai fatto?». Infatti erano venuti a sapere che egli fuggiva lontano dal Signore, perché lo aveva loro raccontato.
Essi gli dissero: «Che cosa dobbiamo fare di te perché si calmi il mare, che è contro di noi?». Infatti il mare infuriava sempre più. Egli disse loro: «Prendetemi e gettatemi in mare e si calmerà il mare che ora è contro di voi, perché io so che questa grande tempesta vi ha colto per causa mia».
Quegli uomini cercavano a forza di remi di raggiungere la spiaggia, ma non ci riuscivano, perché il mare andava sempre più infuriandosi contro di loro. Allora implorarono il Signore e dissero: «Signore, fa’ che noi non periamo a causa della vita di quest’uomo e non imputarci il sangue innocente, poiché tu, Signore, agisci secondo il tuo volere». Presero Giona e lo gettarono in mare e il mare placò la sua furia. Quegli uomini ebbero un grande timore del Signore, offrirono sacrifici al Signore e gli fecero promesse.
Ma il Signore dispose che un grosso pesce inghiottisse Giona; Giona restò nel ventre del pesce tre giorni e tre notti. Dal ventre del pesce Giona pregò il Signore, suo Dio, e disse: / «Nella mia angoscia ho invocato il Signore / ed egli mi ha risposto; / dal profondo degli inferi ho gridato / e tu hai ascoltato la mia voce. / Mi hai gettato nell’abisso, nel cuore del mare, / e le correnti mi hanno circondato; / tutti i tuoi flutti e le tue onde / sopra di me sono passati. / Io dicevo: “Sono scacciato / lontano dai tuoi occhi; / eppure tornerò a guardare il tuo santo tempio”. / Le acque mi hanno sommerso fino alla gola, / l’abisso mi ha avvolto, / l’alga si è avvinta al mio capo. / Sono sceso alle radici dei monti, / la terra ha chiuso le sue spranghe / dietro a me per sempre. / Ma tu hai fatto risalire dalla fossa la mia vita, / Signore, mio Dio. / Quando in me sentivo venir meno la vita, / ho ricordato il Signore. / La mia preghiera è giunta fino a te, / fino al tuo santo tempio. / Quelli che servono idoli falsi / abbandonano il loro amore. / Ma io con voce di lode / offrirò a te un sacrificio / e adempirò il voto che ho fatto; / la salvezza viene dal Signore».
E il Signore parlò al pesce ed esso rigettò Giona sulla spiaggia.
Fu rivolta a Giona una seconda volta questa parola del Signore: «Àlzati, va’ a Ninive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico». Giona si alzò e andò a Ninive secondo la parola del Signore.
Ninive era una città molto grande, larga tre giornate di cammino. Giona cominciò a percorrere la città per un giorno di cammino e predicava: «Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta».
I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli.
Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece.

SALMELLO
Vegliate e pregate,
per non entrare nella tentazione,
perché il Figlio dell’uomo
sta per essere consegnato
nelle mani dei peccatori!
V. Alzatevi, andiamo:
è qui colui che mi consegnerà
nelle mani dei peccatori!

EPISTOLA 1Cor 11,20-34
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Fratelli, quando vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente? Che devo dirvi? Lodarvi? In questo non vi lodo!
Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga. Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti. Se però ci esaminassimo attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati; quando poi siamo giudicati dal Signore, siamo da lui ammoniti per non essere condannati insieme con il mondo.
Perciò, fratelli miei, quando vi radunate per la cena, aspettatevi gli uni gli altri. E se qualcuno ha fame, mangi a casa, perché non vi raduniate a vostra condanna. Quanto alle altre cose, le sistemerò alla mia venuta.

PASSIONE DEL NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO SECONDO MATTEO Mt 26,17-75

Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.
Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».
Ora, mentre mangiavano, Gesù prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e, mentre lo dava ai discepoli, disse: «Prendete, mangiate: questo è il mio corpo». Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati. Io vi dico che d’ora in poi non berrò di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi, nel regno del Padre mio».
Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. Allora Gesù disse loro: «Questa notte per tutti voi sarò motivo di scandalo. Sta scritto infatti: / “Percuoterò il pastore / e saranno disperse le pecore del gregge”. Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea». Pietro gli disse: «Se tutti si scandalizzeranno di te, io non mi scandalizzerò mai». Gli disse Gesù: «In verità io ti dico: questa notte, prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte». Pietro gli rispose: «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò». Lo stesso dissero tutti i discepoli.
Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: «Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare». E, presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a provare tristezza e angoscia. E disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me». Andò un poco più avanti, cadde faccia a terra e pregava, dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!». Poi venne dai discepoli e li trovò addormentati. E disse a Pietro: «Così, non siete stati capaci di vegliare con me una sola ora? Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». Si allontanò una seconda volta e pregò dicendo: «Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà».
Poi venne e li trovò di nuovo addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti. Li lasciò, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: «Dormite pure e riposatevi! Ecco, l’ora è vicina e il Figlio dell’uomo viene consegnato in mano ai peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino».
Mentre ancora egli parlava, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una grande folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti e dagli anziani del popolo. Il traditore aveva dato loro un segno, dicendo: «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!». Subito si avvicinò a Gesù e disse: «Salve, Rabbì!». E lo baciò. E Gesù gli disse: «Amico, per questo sei qui!». Allora si fecero avanti, misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono. Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù impugnò la spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote, staccandogli un orecchio. Allora Gesù gli disse: «Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno. O credi che io non possa pregare il Padre mio, che metterebbe subito a mia disposizione più di dodici legioni di angeli? Ma allora come si compirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?». In quello stesso momento Gesù disse alla folla: «Come se fossi un ladro siete venuti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno sedevo nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Ma tutto questo è avvenuto perché si compissero le Scritture dei profeti». Allora tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono.
Quelli che avevano arrestato Gesù lo condussero dal sommo sacerdote Caifa, presso il quale si erano riuniti gli scribi e gli anziani. Pietro intanto lo aveva seguito, da lontano, fino al palazzo del sommo sacerdote; entrò e stava seduto fra i servi, per vedere come sarebbe andata a finire.
I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una falsa testimonianza contro Gesù, per metterlo a morte; ma non la trovarono, sebbene si fossero presentati molti falsi testimoni. Finalmente se ne presentarono due, che affermarono: «Costui ha dichiarato: “Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni”». Il sommo sacerdote si alzò e gli disse: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». Ma Gesù taceva. Allora il sommo sacerdote gli disse: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se sei tu il Cristo, il Figlio di Dio». «Tu l’hai detto – gli rispose Gesù –; anzi io vi dico: / d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo / seduto alla destra della Potenza / e venire sulle nubi del cielo».
Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: «Ha bestemmiato! Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». E quelli risposero: «È reo di morte!».
Allora gli sputarono in faccia e lo percossero; altri lo schiaffeggiarono, dicendo: «Fa’ il profeta per noi, Cristo! Chi è che ti ha colpito?».
Pietro intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una giovane serva gli si avvicinò e disse: «Anche tu eri con Gesù, il Galileo!». Ma egli negò davanti a tutti dicendo: «Non capisco che cosa dici». Mentre usciva verso l’atrio, lo vide un’altra serva e disse ai presenti: «Costui era con Gesù, il Nazareno». Ma egli negò di nuovo, giurando: «Non conosco quell’uomo!». Dopo un poco, i presenti si avvicinarono e dissero a Pietro: «È vero, anche tu sei uno di loro: infatti il tuo accento ti tradisce!». Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quell’uomo!». E subito un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola di Gesù, che aveva detto: «Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte». E, uscito fuori, pianse amaramente.

Nel cenacolo

Noi non sappiamo. Il più delle cose non le sappiamo nei minimi dettagli. Non sappiamo di chi fosse il cenacolo, quel luogo santo e benedetto nel quale anche noi, questa sera, vogliamo immaginare di essere. Non solo con l’immaginazione, ma con la forza della comunione, perché ogni celebrazione della Cena del Signore, è partecipazione effettiva a quel rito dal quale discende direttamente la nostra Eucarestia e il Sacerdozio della Chiesa Cattolica. Noi non sappiamo, eppure una linea di esegesi crede di poter ravvisare nel cenacolo la casa dell’Evangelista Marco. Bambino all’epoca, quello che “fugge via nudo” al momento dell’arresto del Signore. La santa cena si svolge necessariamente in famiglia. In una casa. In un luogo dove abitualmente si mangia! Non solo. Nel cenacolo c’è la famiglia di Gesù. Quella famiglia strana, originale, composta anzitutto dai suoi discepoli. Ci sono tutti, ed è l’ultima volta. Forse insistiamo poco nel dire che quella fu proprio “l’ultima” cena, l’ultima festa, l’ultimo momento di comunione. Il più importante ma l’ultimo. Segnato dalla presenza del traditore, eppure, ancora nella comunione. Famiglia strana, che poi comprende anche le donne. Sicuramente Maria, le sorelle di lei, la Maddalena… non sono citate ma dovevano esserci. Un luogo di famiglia per essere famiglia.  La famiglia, dunque, protagonista di questo anno pastorale, irrompe anche nel cenacolo! E noi siamo qui, come “famiglia dei figli di Dio”, oltre che come famiglie di uomini, di donne che trovano nella famiglia la loro origine, il luogo abituale degli affetti, il senso della propria esistenza.

Un inno

È in questo luogo, è in questa casa, è in questa “famiglia”, che accade ciò che, per noi, è perfino strano. Si dice esplicitamente, nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato, che “cantarono l’inno”. Come è possibile che anche Gesù abbia cantato? Come è possibile che, nell’”ora”, come la chiama Giovanni, Gesù abbia cantato? Sembra quasi stridere moltissimo con ciò che annotava il Vangelo poco dopo: “incominciò a provare tristezza e angoscia”. Eppure in quella sera, il Signore ha certamente cantato. Lo prevedeva la cena stessa, lo prevedeva il rituale del “seder” di “pesah”, quella cena in famiglia che era il cuore della Pasqua, con tutti i ricordi del tempo della schiavitù e dell’epopea della liberazione. Che cosa ha dunque cantato Gesù? Gesù ha cantato i salmi. I salmi, quelle 150 preghiere del primo testamento che sono il cuore della religiosità ebraica e che il grande re Davide aveva iniziato a far cantare, sono il cuore del canto e, al tempo stesso, della preghiera di ogni pio ebreo e, quindi, di tutta la famiglia di Gesù. Gesù ha cantato i grandi salmi, i salmi dell’ “Hallel” cioè i salmi dal 113 al 118. Lui e tutta la sua famiglia.

Maggid, ovvero la narrazione

Il primo salmo, quello di Maggid, ovvero della narrazione. La narrazione dei fatti del tempo di Egitto, la narrazione dell’epopea di Mosè, la narrazione che veniva trasmessa ai bambini, ripetuta dagli adulti, ricordata a memoria dagli anziani, perché non si perdesse il significato del rito.

 

Lodate, servi del Signore
lodate il nome del Signore.

Sia benedetto il nome del Signore
ora e sempre.

Dal sorgere del sole al suo tramonto
sia lodato il nome del Signore.

Su tutti i popoli eccelso è il Signore
più alta dei cieli è la sua gloria.

Chi è pari al Signore nostro Dio
che siede nell’alto
e si china a guardare
nei cieli e sulla terra?

Solleva l’indigente della polvere
dall’immondizia rialza il povero,
per farlo sedere tra i principi,
tra i principi del suo popolo.

Fa abitare la sterile nella sua casa
quale madre gioiosa di figli.

 

 

Maggid, per ricordare.

Hallel, ovvero la lode

Così dopo aver benedetto la quarta coppa, quella di Elia, quella che non si doveva bere, perché in onore di Elia, quel profeta che doveva tornare e per rispetto al quale, in questo momento, veniva anche lasciata aperta la porta della casa, cantarono:

 

Lodate il Signore perché è buono;
perché eterna è la sua misericordia.

Lodate il Dio degli dei;
perché eterna è la sua misericordia.

Lodate il Signore dei signori;
perché eterna è la sua misericordia.

Egli solo ha compiuto meraviglie;
perché eterna è la sua misericordia.

Ha creato i cieli con sapienza;
perché eterna è la sua misericordia.

Ha stabilito la terra sulle acque;
perché eterna è la sua misericordia.

Ha fatto i grandi luminari;
perché eterna è la sua misericordia.

Il sole per regolare il giorno;
perché eterna è la sua misericordia.

La luna e le stelle per regolare la notte;
perché eterna è la sua misericordia.

Percosse l’Egitto nei suoi primogeniti;
perché eterna è la sua misericordia.

Da loro liberò Israele;
perché eterna è la sua misericordia.

Con mano potente e braccio teso;
perché eterna è la sua misericordia.

Divise il mar rosso in due parti;
perché eterna è la sua misericordia.

In mezzo fece passare Israele;
perché eterna è la sua misericordia.

Travolse il faraone e il suo esercito nel mar rosso;
perché eterna è la sua misericordia.

Guidò il suo popolo nel deserto;
perché eterna è la sua misericordia.

Percosse grandi sovrani;
perché eterna è la sua misericordia.

Uccise re potenti;
perché eterna è la sua misericordia.

Seon, re degli Amorrei;
perché eterna è la sua misericordia.

Og, re di Basan;
perché eterna è la sua misericordia.

Diede in eredità il loro paese;
perché eterna è la sua misericordia.

In eredità a Israele suo servo;
perché eterna è la sua misericordia.

Nella nostra umiliazione si è ricordato di noi;
perché eterna è la sua misericordia.

Ci ha liberati dai nostri nemici;
perché eterna è la sua misericordia.

Egli dà il cibo ad ogni vivente;
perché eterna è la sua misericordia.

Lodate il Dio del cielo;
perché eterna è la sua misericordia

Un inno nel quale doveva essere quasi un ripetersi costante del ritornello: “eterna è la sua misericordia”, perché fosse chiaro a tutti, in quel momento, che la misericordia di Dio era la grande protagonista della liberazione dall’Egitto, del tempo dell’Esodo e, in verità, di ogni giorno della vita dell’uomo. Un ricordo che si fa lode. Ecco il grande “hallel”.

Nirtaz, ovvero l’accettazione

Infine l’ultimo inno, l’inno di Nirtaz, ovvero l’accettazione.

Yaase shalom, yaase shalom
shalom aléinu ve al col Israel

(traduzione: Dio mandi la pace su di noi e su tutto Israele).

Hinne ma tov umanaym
Shevet ahim gam yahad

(traduzione: Ecco quanto è buono e bello il sedersi dei fratelli l’uno con l’altro;).

Solo possiamo immaginare il senso di quella parola “accettazione” nella mente e nel cuore di Gesù in quel momento. Da quell’istante, da quell’ultimo inno, sarebbe iniziata “la notte”. Sarebbero usciti proprio per quella porta, la porta lasciata aperta per rispetto ad Elia, per andare nell’orto degli ulivi, dove Gesù sarebbe stato arrestato e portato alla crocifissione.

Il nostro Maggid

Carissimi, vorrei che tutti insieme, questa sera, avessimo il nostro Maggid da offrire al Signore, la nostra narrazione di famiglia. Vorrei che tutti noi qui presenti, come famiglia o come singoli, rappresentassimo proprio tutti, anche quelli che non ci sono, e dicessimo al Signore le parole del salmo: Signore, il tuo nome è santo, Signore il tuo nome è benedetto. Signore, tu che fai abitare la sterile quale madre gioiosa di figli, accogli la nostra preghiera, il nostro ringraziamento, la nostra lode. Ciascuno potrà dire il suo motivo, il suo concreto sentirsi come una sterile che partorisce. Io, comunitariamente, ringrazio il Signore per il bene che abbiamo visto in questa nostra famiglia che è la comunità dei credenti. Quel bene che occorre vivere insieme, quel bene che occorre condividere, come in famiglia. Abbiamo fatto e detto tante cose per la famiglia, abbiamo vissuto una quaresima che ha cercato di farci liberare dalle paure, abbiamo insistito sulla ricerca del bene comune per la nostra città. Offriamo al Signore la narrazione del nostro cammino spirituale comunitario, ringraziando perché abbiamo potuto viverlo qui, nelle nostre chiese, nei nostri cenacoli quotidiani, in presenza, come pure in molte famiglie che pregano, sperano, lottano, soffrono, gioiscono, sempre nel nome del Signore.

Il nostro Hallel

Così come vorrei che salisse alto al Signore il nostro Hallel il nostro ringraziamento, il nostro concreto ripeterci e ripetere agli altri che “eterna è la misericordia del Signore”. Noi non ricordiamo i fatti di Israele, non ci appartengono, non ricordiamo l’Egitto, la schiavitù, le battaglie fatte per entrare nella terra promessa ai padri. Abbiamo altre cose, per dire che la misericordia del Signore è eterna e si estende su tutto. L’esercizio deve essere personale. Ciascuno deve dire a sé stesso e a Dio per quale motivo dice che la sua misericordia è senza fine, per quale motivo dice che la sua misericordia è il cuore di tutta la nostra fede. Comunitariamente dico che eterna è la misericordia del Signore per le nostre lentezze, per le nostre pigrizie, per le cose che ancora ci dividono, per il campanilismo che non muore mai, per il confronto che anima le nostre comunità cristiane, per la mentalità che ancora ci divide, come nel passato e che fa sempre fatica ad aprirsi ad un futuro di comunione e di sviluppo nell’amore.

Il nostro Nirtaz

Così come vorrei che elevassimo da qui, dal nostro cenacolo, il nostro Nirtaz.

Dio mandi la pace su di noi e su tutto Israele. La riscoperta che si può essere in un tempo di guerra, il vedere l’Europa trascinata in cose del passato che pensavamo e speravamo superate, le immagini di distruzione, morte, violenza che abbiamo visto negli ultimi mesi ci devono portare alla preghiera per la pace. Preghiera insistente, preghiera incessante, preghiera per la quale deve nascere una coscienza diversa: la coscienza di chi intende essere realmente promotore di pace. È vero, come abbiamo letto nelle bellissime storia della Genesi che abbiamo riletto in quaresima che l’uomo non sarà mai un uomo di pace. Sempre la guerra, la discordia, la divisione, invaderanno il suo cuore. Ma, in tutto questo, il credente non smette di essere promotore di pace, costruttore di dialogo, tessitore di trame di bene, sognatore incallito perché, alla fine trionfi la pace. Dio mandi la pace su di noi, su Israele, sull’Europa, sul mondo.

Ecco come è buono e bello il sedersi fratelli l’uno accanto all’altro. Vorrei però che il nostro Nirtaz partisse da noi, dal sedersi l’uno accanto all’altro, come siamo stasera, come siamo in ogni celebrazione, come siamo nelle nostre famiglie. Vorrei che si scoprisse e si riscoprisse la gioia della fraternità.

Fraternità che è un compito. Il compito di ogni famiglia, il compito di ogni casa. In ogni casa si deve costruire una trama di relazioni intensa, dove non si vive l’uno accanto all’altro, ma l’uno per l’altro. Se abbiamo compreso il senso della nostra cena pasquale, la famiglia deve diventare il primissimo luogo di donazione, comprensione, carità, servizio. È il mistero dell’accettazione. L’accettazione di una carità che non verrà ricambiata; l’accettazione di un servizio per il quale nessuno ci dirà grazie; l’accettazione di un modo di vedere le cose che sarà diverso dal nostro, in ogni casa, come tutti possiamo testimoniare, perché anche noi, famiglie cristiane, viviamo in contesti scristianizzati, o, meglio, pagani. La fraternità è un compito, un dovere.

Fraternità che è una grazia. È una grazia il sedersi fratelli l’uno accanto all’altro. Per conoscere. Per ascoltare. Per condividere. Per sostenere. Per raccontare. Per mangiare. La fraternità si costruisce attorno ad una cena. Non una cena qualsiasi, ma attorno all’Eucarestia che è al tempo stesso il nostro Maggid, il nostro racconto, il nostro Hallel, la nostra lode, il nostro Nirtaz, la nostra accettazione.

Vorrei, carissimi, che le nostre famiglie, per strane che siano, diventassero il centro propulsore di una fraternità rinnovata. Vorrei che avessimo il coraggio, specie nelle famiglie pagane, di dire il nostro “Maggid” il racconto della nostra fede. Perché è solo il raccontarsi, il dirsi della fede che genera altra fede, altra fiducia in Dio.

Vorrei, carissimi, che il nostro compito di comunità cristiana fosse, in questa Pasqua e a partire da questa Pasqua, un compito di responsabilità nell’opera della fraternità. Vorrei che anche noi potessimo dire: “come è buono, come è dolce, come è soave il sedersi da fratelli l’uno con l’altro”. Vorrei che Consiglio pastorale, Consigli per gli affari economici, oratori, gruppi, associazioni, movimenti, ciascuno per quanto gli compete e per quanto rappresenta ,fossero i primi a sentirsi responsabili di un cammino di fraternità vero, intenso, autentico per il quale occorre sfruttare ogni occasione. Ad ogni famiglia direi di lasciarsi coinvolgere in questo rinnovato stile di cura per le relazioni, unico vero centro di tutte le attività pastorali.

Allora, solo allora, solo quando avremo capito cosa significa sedere da fratelli attorno alla cena eucaristica, sarà la pace del cuore, delle coscienze, delle famiglie e, quindi, dei popoli.

Carissimi, il nostro Maggid, il nostro Hallel, il nostro Nirtaz siano il cuore della nostra preghiera dal cenacolo, ora, in questa notte, nelle ore di domani mattina. E mentre contempliamo l’accettazione del mistero pasquale del Signore Gesù, anche noi accettiamo la volontà di Dio sulle nostre vite. Solo allora capiremo cosa è la Pasqua!

2022-04-14T08:15:19+02:00