Venerdì 15 maggio

Settimana della quinta domenica di Pasqua – Venerdì

Vangelo

Gv 12, 44-50
✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo. Il Signore Gesù esclamò: «Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me».

Nel Vangelo di oggi ascoltiamo ancora una parola non facile di Gesù. Parola tutta volta a sottolineare la grande unione di Gesù con il Padre e la perfetta adesione di Gesù al volere di Dio Padre. Dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, nasce questa unica volontà di salvezza che Gesù porta a compimento. La rivelazione del volto di Dio che Gesù opera è perché tutti trovino la salvezza e, trovando la salvezza in Cristo, operino per la verità. Ecco perché Gesù dice chiaramente che chiunque accoglierà lui e la sua rivelazione di amore, avrà già accolto e visto il Padre, che, per la potenza dello Spirito Santo, entrerà nel cuore del credente che lo invoca e che lo attende con cuore sincero. È il fuoco di questo amore per Dio acceso nel cuore del credente che rende vera e bella la sua vita.

Atti

At 25, 13-14a. 23; 26, 1. 9-18. 22-32
Lettura degli Atti degli Apostoli

Erano trascorsi alcuni giorni, quando arrivarono a Cesarèa il re Agrippa e Berenice e vennero a salutare Festo. E poiché si trattennero parecchi giorni, Festo espose al re le accuse contro Paolo. Il giorno dopo Agrippa e Berenice vennero con grande sfarzo ed entrarono nella sala dell’udienza, accompagnati dai comandanti e dai cittadini più in vista; per ordine di Festo fu fatto entrare Paolo. Agrippa disse a Paolo: «Ti è concesso di parlare a tua difesa». Allora Paolo, fatto cenno con la mano, si difese così: «Anche io ritenni mio dovere compiere molte cose ostili contro il nome di Gesù il Nazareno. Così ho fatto a Gerusalemme: molti dei fedeli li rinchiusi in prigione con il potere avuto dai capi dei sacerdoti e, quando venivano messi a morte, anche io ho dato il mio voto. In tutte le sinagoghe cercavo spesso di costringerli con le torture a bestemmiare e, nel colmo del mio furore contro di loro, davo loro la caccia perfino nelle città straniere. In tali circostanze, mentre stavo andando a Damasco con il potere e l’autorizzazione dei capi dei sacerdoti, verso mezzogiorno vidi sulla strada, o re, una luce dal cielo, più splendente del sole, che avvolse me e i miei compagni di viaggio. Tutti cademmo a terra e io udii una voce che mi diceva in lingua ebraica: “Saulo, Saulo, perché mi perséguiti? È duro per te rivoltarti contro il pungolo”. E io dissi: “Chi sei, o Signore?”. E il Signore rispose: “Io sono Gesù, che tu perséguiti. Ma ora àlzati e sta’ in piedi; io ti sono apparso infatti per costituirti ministro e testimone di quelle cose che hai visto di me e di quelle per cui ti apparirò. Ti libererò dal popolo e dalle nazioni, a cui ti mando per aprire i loro occhi, perché si convertano dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio, e ottengano il perdono dei peccati e l’eredità, in mezzo a coloro che sono stati santificati per la fede in me”. Ma, con l’aiuto di Dio, fino a questo giorno, sto qui a testimoniare agli umili e ai grandi, null’altro affermando se non quello che i Profeti e Mosè dichiararono che doveva accadere, che cioè il Cristo avrebbe dovuto soffrire e che, primo tra i risorti da morte, avrebbe annunciato la luce al popolo e alle genti». Mentre egli parlava così in sua difesa, Festo a gran voce disse: «Sei pazzo, Paolo; la troppa scienza ti ha dato al cervello!». E Paolo: «Non sono pazzo – disse – eccellentissimo Festo, ma sto dicendo parole vere e sagge. Il re è al corrente di queste cose e davanti a lui parlo con franchezza. Penso infatti che niente di questo gli sia sconosciuto, perché non sono fatti accaduti in segreto. Credi, o re Agrippa, ai profeti? Io so che tu credi». E Agrippa rispose a Paolo: «Ancora un poco e mi convinci a farmi cristiano!». E Paolo replicò: «Per poco o per molto, io vorrei supplicare Dio che, non soltanto tu, ma tutti quelli che oggi mi ascoltano, diventino come sono anche io, eccetto queste catene!». Allora il re si alzò e con lui il governatore, Berenìce e quelli che avevano preso parte alla seduta. Andandosene, conversavano tra loro e dicevano: «Quest’uomo non ha fatto nulla che meriti la morte o le catene». E Agrippa disse a Festo: «Quest’uomo poteva essere rimesso in libertà, se non si fosse appellato a Cesare».

Portiamo a termine la lettura di questo lungo episodio della vita degli apostoli che riguarda San Paolo e che abbiamo solamente interrotto ieri per la festa di San Mattia. Ancora direi: “i casi della vita”. Abbiamo sentito infatti, sul finire della lettura, che Festo ed Agrippa sono assolutamente persuasi che San Paolo non abbia fatto nulla per meritare le catene e la prigionia. Sarebbero anche disposti a rilasciarlo e così sarebbe stato se Paolo non avesse appellato all’imperatore, come era sua possibilità fare. Certo sarebbe tornato in libertà, avrebbe potuto continuare la sua predicazione, i suoi viaggi apostolici e, chissà, magari anche arrivare in Spagna, come era suo desiderio. Invece giungerà prigioniero a Roma dove troverà la morte, nel suo martirio. Se giudicassimo da un punto di vista umano potremmo dire che Paolo avrebbe potuto essere più prudente, meno precipitoso, più attento…

Ovviamente non è questo il pensiero degli Atti degli Apostoli, che ci fanno capire che non sono i “casi della vita” ciò a cui noi dobbiamo pensare, quanto piuttosto dovremmo mettere ogni nostra attenzione e ogni nostra preoccupazione nel cercare di essere trasparenza di Dio. Paolo fa questo, non si preoccupa del futuro e sa che le scelte che compie sono già sotto la protezione di Dio. Sa che in quel suo arrivare a Roma, sebbene da prigioniero e non da libero come avrebbe desiderato, si compirà la volontà del Padre. Paolo, che ha capito che dovrà morire di morte violenta, sa che anche la sua morte, come quella del Signore, sarà a lode e gloria di Dio e, per questo, non si oppone a quello che sarà. Sicuro di Dio e del suo aiuto, continua il viaggio della vita, sempre certo della protezione a lui accordata.

Ad Jesum per Mariam:

Come sempre in questi giorni voglio concludere riferendomi a qualche litania lauretana:

  • Speculum iustitiae: così diciamo di Maria che è lo specchio della giustizia. Questa è, però, una definizione che possiamo applicare anche a Paolo. Anche lui è stato specchio della giustizia nel cercare sempre la volontà del Signore e nel compierla senza spaventarsi di nulla, certo, invece, della protezione che lo accompagnava.
  • Mater Christi: il senso di questa litania è assolutamente ovvio: Maria è la Madre di Cristo. Però potremmo dire la stessa cosa di San Paolo: egli ha permesso che Cristo fosse generato anche dentro di sé ed ha trattenuto nella sua anima la preziosità di quella presenza, tanto da non temere più nulla e nessuno, nemmeno di fronte alla morte.

Credo che anche noi dovremmo lasciare che, man mano che passa il tempo e man mano progredisce il nostro cammino di fede, Cristo possa prendere sempre più possesso della nostra anima, così che anche noi possiamo pensare come Cristo, volere ciò che Cristo volle, amare come Cristo ha amato. È questo ciò che ha fatto San Paolo, San Mattia ed ogni altro discepolo del regno che, nel corso della storia, ha dato buona prova della propria fede. Uniamoci al numero di costoro e testimoniamo Cristo presente nell’oggi della storia.

2020-05-08T16:52:45+02:00