Settimana della 2 domenica di quaresima – venerdì
Il vespero
Come ho spiegato settimana scorsa, quest’anno non rileggo una per una le Scritture sante che leggiamo nei venerdì di Quaresima, ma le riprendo in modo sintetico, così che possiamo continuare insieme il nostro itinerario sul tema della paura. Mi pare che le Scritture di oggi ci parlino della paura di soffrire, che possiamo desumere dal tema della celebrazione della Pasqua ebraica a cui le letture fanno riferimento.
La Parola di Dio per questo giorno
Ecco le letture che si leggono oggi nella liturgia del Vespero con i loro salmelli e orazioni: (è consigliabile la celebrazione comunitaria alle ore 18.00 nella Chiesa di San Giulio)
La sofferenza dell Pasqua nella prima alleanza
Le prime tre Scritture ci ricordano un dato storico molto significativo: le grandi celebrazioni della Pasqua, che furono dopo la liberazione dall’Egitto e dopo il ritorno dall’esilio, furono segnate da un evento di sofferenza grande per il popolo di Israele. Prima della celebrazione della Pasqua mosaica la sofferenza fu quella della dura schiavitù in Egitto. Secoli di oppressione che sfociarono, da ultimo, nella grande oppressione del tempo di Mosè. Oppressione fisica, psicologica, religiosa. Mosè intervenne in questo tempo e condusse il popolo di Israele fuori dalla terra dell’oppressione non senza sofferenza. Iniziando, poi, un altro tempo difficile: il tempo della purificazione nel deserto che, come sappiamo, durò 40 anni.
L’altra grande celebrazione della Pasqua, che viene sempre ricordata nelle letture del venerdì sera, è quella del post esilio, quando, dopo il ritorno in Gerusalemme, si ricostruì l’identità stessa del popolo di Israele proprio a partire dalla ricostruzione stessa della città, delle mura e della celebrazione che riprese nel tempio di Gerusalemme riedificato. Giosia è il grande regista ed interprete di questo momento di fervore e di ritorno alla vita santa dei padri. Fu così che si tentò di superare un altro periodo storico difficilissimo per tutto il popolo ebraico: il tempo della deportazione, dell’esilio diremmo, in una parola, della caduta. Il tema presente nelle Scritture è, quindi, il tema della sofferenza. Ripreso poi, in sintesi, nella lettura del profeta. Parole forti quelle espresse da Geremia: “ecco io, come agnello mansueto che viene portato al macello, non sapevo che tramavano contro di me e che dicevano: abbattiamo l’albero nel suo pieno vigore…”. Parole con le quali noi rileggiamo la passione del Signore e che sono una guida per rileggere da vicino tutto quello che accadrà nelle celebrazioni del Triduo Pasquale.
La paura di soffrire
Il tema che ci viene proposto è quindi legato alla paura di soffrire. Paura che tutti noi viviamo, tutti noi condividiamo. Probabilmente, a dire il vero, è la paura delle paure. Credo che possiamo affermare che abbiamo anche meno paura della morte, l’altra grande paura del nostro tempo. Perché ci fa tanta paura il soffrire? Perché la sofferenza è la condizione di vita che non vorremmo mai incontrare. L’uomo sofferente ci provoca, ci disturba, ci inquieta. Non riusciamo a sopportare la sofferenza dei lontani, la sofferenza che vediamo alla televisione, la sofferenza che leggiamo in qualche articolo, libro, rivista. Men che meno possiamo sopportare la sofferenza di chi ci è vicino, tanto che non sono più così rari gli interventi di coloro che preferirebbero poter accedere a soluzioni radicali pur di alleviare la sofferenza propria o dei propri cari. Quando abbiamo nelle nostre case un sofferente si crea subito un clima difficile, talvolta di tensione, altre volte di rassegnazione, sempre di tristezza. Noi abbiamo paura di soffrire perché abbiamo smesso di pensare che la sofferenza è la compagna dell’uomo. Ci siamo illusi che, migliorando le condizioni di vita in moltissimi campi, potessimo anche eliminare la sofferenza. Se è vero che in molti campi si è fatto tantissimo, è altrettanto vero che la sofferenza in quanto tale non potrà essere mai eliminata. Credo proprio che, per un verso o per un altro, l’uomo non si libererà mai di questa “compagna” che talvolta diventa nemica.
Uscire dalla paura di soffrire
Come si esce da questa paura? Credo che, nonostante si possano benedire tutti i tentativi dell’uomo di rendere il meno pungente possibile la sofferenza, è altrettanto vero che non sarà il progresso, non sarà la tecnica, non saranno le conquiste dell’uomo a eliminare la sofferenza. L’unica vera risorsa è quella della fede. La contemplazione di Cristo sofferente, che noi facciamo in ogni venerdì di Quaresima, potrà aiutarci. Il sapere che nelle nostre sofferenze non siamo soli, il sapere che Cristo ha scelto, per sé, la via della sofferenza, il sapere che Maria è stata associata a questa via e a questo dolore, è ciò che ci potrà aiutare non già ad eliminare le sofferenze, che è impossibile, ma a dare un senso al nostro soffrire, che è ciò che serve. Nelle sofferenze di Cristo sono comprese anche le mie sofferenze. Nelle sofferenze di Maria è presente anche il mio dolore. Questo può essere l’oggetto della nostra riflessione e della nostra preghiera. Se noi sapremo questo ci sentiremo meno soli nelle nostre sofferenze. Ecco la prima verità che la fede ci chiede di contemplare.
In secondo luogo credo che possiamo riflettere sulla “necessità” della sofferenza. Cristo non avrebbe potuto redimere l’uomo se non assumendo su di sé il soffrire di tutti. Quel soffrire che era già ben rappresentato nella vittima della Pasqua, che Cristo sceglie per sé. È la lettera agli Ebrei che tira le fila di questi discorsi abbozzati dal Primo Testamento e che noi abbiamo riletto questa sera. Solo la sofferenza di Cristo è il mistero che rende ragione delle nostre sofferenze e che ci fa partecipare di quel mistero che è il mistero della redenzione. San Giovanni Paolo II ha riflettuto personalmente nei molti momenti di sofferenza della sua vita, sulla necessità del soffrire dell’uomo per vivere questa partecipazione. Anche lui ha concluso che è necessaria questa partecipazione dell’uomo alle sofferenze di Dio.
In terzo luogo credo che il sapere che la mia sofferenza ha un senso, ci aiuterà anche a vivere le sofferenze che ci capitano. Se è bene che l’uomo si impegni per limitare la sofferenza, se è doveroso che l’uomo metta a disposizione di tutti le conquiste che progressivamente riesce a fare perché sia limitato il soffrire degli uomini, è altrettanto vero che la sofferenza non verrà mai eliminata del tutto. Per questo c’è bisogno della fede!
Affidiamo la nostra paura di soffrire a Dio. Lui che è l’uomo dei dolori darà senso e significato al soffrire dell’uomo.