Venerdì 19 marzo

San Giuseppe, Sposo della Beata Vergine Maria, nel 150° della proclamazione come “Patrono della Chiesa universale”

È come se la Quaresima si fermasse per un giorno. Questo venerdì sono tolti tutti i segni della penitenza, del magro, del digiuno. Oggi è un giorno solenne, perché la devozione a San Giuseppe è sempre stata sentita da tutti nella Chiesa. Quest’anno voglio rileggere con voi i testi sacri partendo dalla lettera “Patris Corde”, un piccolo ed agile testo del quale consiglio a tutti la lettura, con il quale il Santo Padre apre questo anno della famiglia che culminerà il prossimo giugno con il raduno mondiale delle famiglie a Roma.

Dal testo, nello spazio di questa omelia, raccolgo solo una domanda, rimandando ad esso per le altre cose. Il Santo Padre si chiede, fa chiedere a noi e domanda alla Chiesa: “a quali condizioni è possibile vivere la paternità?”. Domanda che rivolge non solo a chi è fisicamente padre, ma a tutti coloro che vogliono fare un’esperienza di accompagnamento paterno delle persone a cui vogliono bene.

Siracide

Sir 44, 23g – 45, 2a. 3d-5d
Lettura del libro del Siracide

Il Signore Dio da Giacobbe fece sorgere un uomo mite, che incontrò favore agli occhi di tutti, amato da Dio e dagli uomini, il cui ricordo è in benedizione. Gli diede gloria pari a quella dei santi e gli mostrò parte della sua gloria. Lo santificò nella fedeltà e nella mitezza, lo scelse fra tutti gli uomini. Gli fece udire la sua voce, lo fece entrare nella nube oscura e gli diede faccia a faccia i comandamenti, legge di vita e d’intelligenza.

Ebrei

Eb 11, 1-2. 7-9. 13a-c. 39 – 12, 2b
Lettera agli Ebrei

Fratelli, la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio. Per fede, Noè, avvertito di cose che ancora non si vedevano, preso da sacro timore, costruì un’arca per la salvezza della sua famiglia; e per questa fede condannò il mondo e ricevette in eredità la giustizia secondo la fede. Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano. Tutti costoro, pur essendo stati approvati a causa della loro fede, non ottennero ciò che era stato loro promesso: Dio infatti per noi aveva predisposto qualcosa di meglio, affinché essi non ottenessero la perfezione senza di noi. Anche noi dunque, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento.

Vangelo

Mt 2, 19-23
✠ Lettura del Vangelo secondo Matteo

In quel tempo. Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».

1° condizione: il dono di sè

La felicità di Giuseppe non è nella logica del sacrificio ma del dono di sé”. Una certa devozione a San Giuseppe ci ha fatto vedere il Santo come un uomo che rinuncia a tutto. Rinuncia ad avere una sposa “sua”. Rinuncia ad avere un figlio “suo”, rinuncia, alla fine, anche ad avere una vita “sua”, per dare retta a quella degli altri e per vivere quel compito di custodia e di accompagnamento che lo contraddistinguono. Questo “quadro” non raccoglie fino in fondo la verità su San Giuseppe. La logica del Santo, infatti, non fu quella della rinuncia, dell’abnegazione, della donazione contro voglia. La logica di Giuseppe fu quella del dono di sé.

È per questo che egli divenne padre. È nella logica del dono di sé che egli divenne padre! Il dono di sé nei confronti di Maria e di Gesù non sa di obbligo, ma dice una scelta. La scelta di un uomo che decide di donarsi completamente a chi ama. La scelta di un uomo che, forte della sua fede, decide di donarsi completamente senza tenere nulla per sé. Non stava facendo forse la stessa cosa anche la Vergine Maria? Ecco perché San Giuseppe decide di fare la stessa cosa ed ecco perché anche lui realizza pienamente la sua vita. La sua felicità sta nel dono di sé, quindi non c’è obbligo, non c’è peso, non c’è rinuncia. O meglio queste cose ci sono anche, ma poiché sono inquadrate in tutt’altro genere di storia, prendono anch’esse luce nuova e non diventano opposizione alla logica del dono di sé.

Per essere padri felici occorre questo, occorre il dono di sé, gratuito, generoso, convinto, il dono gratuito di sé che non coglie la dimensione di rinuncia o di peso o di fatica come predominante o dominante, ma, piuttosto, fa anche di queste cose un’occasione per far vincere il bene che si ha nel cuore. Il dono di sé rende felici, perché un uomo mette tutto sé stesso nel donarsi agli altri, sapendo che questa è la logica della felicità terrena secondo il Vangelo. Solo chi vive questa logica è padre, e solo chi la vive pienamente è padre felice.

  • Vivo le mie esperienze di paternità come dono di me stesso?
  • Nasce qui la mia felicità?

2° condizione: aperti all’inedito

Scrive ancora il Papa: “ogni figlio porta con sé un inedito che può essere rivelato solo con l’aiuto di un padre che rispetta la sua libertà”. Sia chi è fisicamente padre, sia chi vive la paternità spirituale, sia chi cerca di vivere la propria paternità come amicizia generosa e disinteressata, comprende questa parola. Solo chi è capace di guardare al “figlio” come “inedito” e solo chi si pone come aiuto della libertà degli altri, diventa veramente padre. Forse dovremmo chiederci se noi abbiamo sperimentato, come figli, questo genere di paternità. Forse dovremmo chiederci se noi, come padri, abbiamo saputo fare questo. Il Papa ci aiuta a comprendere. Solo quando ci mettiamo di fronte agli altri come uomini che sanno rispettare il mistero della libertà altrui, facciamo un’esperienza autentica di paternità e permettiamo ai nostri figli di fare esperienza di figliolanza. Il mistero di ogni persona è già custodito da Dio; è per questo che è possibile vivere questa dimensione di rispetto che è anche di rischio. Sapendoci tutti nelle mani di Dio, riconoscendo in Lui il Padre di ogni uomo, possiamo “rischiare la paternità” che è sempre rispetto, accompagnamento, vigilanza, ma mai oppressione e tantomeno decisione al posto degli altri.

  • Ho fatto e faccio fare questa esperienza di paternità?

3° condizione: essere segno

Il Papa, infine, ricorda che la vera paternità è quella di chi, alla fine, comprende di essere “diventato inutile” e scompare. Come Giuseppe che è sulla “scena”. Giuseppe sa, alla fine, che il suo servizio è finito. Sa che, alla fine, il suo servizio è stato compiuto nel suo saper condurre Gesù, lasciandolo libero e donandosi senza nulla pretendere. Giuseppe può sperimentare la “morte del giusto” o, come dice Gesù nel Vangelo, l’”essere servo inutile”. Un vero padre arriva a comprendere questa verità e vive così la sua ultima fase della vita. Un vero padre che sa affidare il figlio a Dio, sa bene che il suo servizio è solo legato ad un tempo. Poi arriva il tempo in cui ci si deve ritirare e accompagnare, al più, solo da lontano i figli che si sono generati. Siano figli spirituali, o siano figli naturali, la verità è sempre questa. Arriva un momento in cui uno deve sperimentare di essere un “padre inutile”. Il vero padre sa “scomparire” per lasciare che la libertà di altri sia sempre protagonista.

  • Mi sento servo inutile secondo questa logica del Vangelo?

La devozione a San Giuseppe

Ecco, allora, perché tutti dovremmo cercare di essere devoti a San Giuseppe ed ecco perché dovremmo cercare la sua alleanza per vivere bene la dimensione di paternità che la nostra vita può assumere al di là della generatività fisica che può aver segnato o non segnato la nostra esistenza.

Chiediamo a San Giuseppe di saper fare nostre queste condizioni. Chiediamo a San Giuseppe di saper imparare da Lui, che ha vissuto, senza dire mai nulla, un ministero così profondo e così bello. Chiediamo a Lui, che è stato sempre vicino alla Vergine e al Signore Gesù, la capacità di pensare così alla nostra vita.

Diventando padri, recupereremo anche il nostro essere figli e tutto sarà a maggior lode e gloria di Dio.

2021-03-11T22:21:36+01:00