Settimana della settima domenica dopo Pentecoste – Lunedì
La settimana che iniziamo ha alcune memorie e feste di santi particolarmente importanti: S. Maria Maddalena, S. Brigida, patrona di Europa e San Giacomo il maggiore. Anche aiutati da questi santi percorreremo il nostro cammino spirituale rileggendo nel Vangelo il viaggio di Gesù verso Gerusalemme, luogo della sua ultima donazione.
Vangelo
Lc 9, 37-45
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca
In quel tempo. Quando furono discesi dal monte, una grande folla venne incontro al Signore Gesù. A un tratto, dalla folla un uomo si mise a gridare: «Maestro, ti prego, volgi lo sguardo a mio figlio, perché è l’unico che ho! Ecco, uno spirito lo afferra e improvvisamente si mette a gridare, lo scuote, provocandogli bava alla bocca, se ne allontana a stento e lo lascia sfinito. Ho pregato i tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti». Gesù rispose: «O generazione incredula e perversa, fino a quando sarò con voi e vi sopporterò? Conduci qui tuo figlio». Mentre questi si avvicinava, il demonio lo gettò a terra scuotendolo con convulsioni. Gesù minacciò lo spirito impuro, guarì il fanciullo e lo consegnò a suo padre. E tutti restavano stupiti di fronte alla grandezza di Dio. Mentre tutti erano ammirati di tutte le cose che faceva, disse ai suoi discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini». Essi però non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento.
Che cosa è capace di fare l’uomo? Quale grande opera può intraprendere? Oggi potremmo radunare attorno a questa domanda le due scritture che abbiamo letto. Il Vangelo ci mette di fronte al fallimento degli uomini.
Abbiamo il fallimento di un papà disperato che non sa più cosa fare per salvare suo figlio, dal momento che vede bene quanto sta male e quanto la sua vita stia andando in rovina. Un papà che si mette di fronte al fallimento, all’esperienza di scacco più grande che un uomo possa fare: il non saper come aiutare il proprio figlio.
Abbiamo registrato, però, anche il fallimento dei discepoli. Essi non hanno potuto aiutare quest’uomo per il caso del suo ragazzo e hanno registrato il fallimento della loro missione.
Il Vangelo ci mette poi in mostra anche la potenza di Gesù, che libera quel ragazzo dalla potenza di male che lo attanagliava e ridona la pienezza della vita ad un ragazzo nel fiore dell’età, ma, al tempo stesso, egli parla della sua Croce, della sua morte, della sua Pasqua, quegli eventi che noi potremmo anche chiamare il fallimento della vita di Gesù, perché, apparentemente, la vita di Gesù finisce nel più ignominioso dei modi.
Varie esperienze di fallimento e di scacco con cui l’uomo ha a che fare. Esperienze che trovano la loro risoluzione solo in Dio. È Dio che dà la vita, è Dio che salva la vita rispetto al demonio che la attanaglia, è Dio che dà la vita oltre la morte.
Giosuè
Gs 6, 6-17. 20
Lettura del libro di Giosuè
In quei giorni. Giosuè, figlio di Nun, convocò i sacerdoti e disse loro: «Portate l’arca dell’alleanza; sette sacerdoti portino sette trombe di corno d’ariete davanti all’arca del Signore». E al popolo disse: «Mettetevi in marcia e girate intorno alla città e il gruppo armato passi davanti all’arca del Signore». Come Giosuè ebbe parlato al popolo, i sette sacerdoti, che portavano le sette trombe di corno d’ariete davanti al Signore, si mossero e suonarono le trombe, mentre l’arca dell’alleanza del Signore li seguiva. Il gruppo armato marciava davanti ai sacerdoti che suonavano le trombe e la retroguardia seguiva l’arca; si procedeva al suono delle trombe. Giosuè aveva dato quest’ordine al popolo: «Non lanciate il grido di guerra, non alzate la voce e non esca parola dalla vostra bocca fino al giorno in cui vi dirò di gridare. Allora griderete». L’arca del Signore girò intorno alla città, percorrendone il perimetro una volta. Poi tornarono nell’accampamento e passarono la notte nell’accampamento. Di buon mattino Giosuè si alzò e i sacerdoti portarono l’arca del Signore; i sette sacerdoti, che portavano le sette trombe di corno d’ariete davanti all’arca del Signore, procedevano suonando le trombe. Il gruppo armato marciava davanti a loro e la retroguardia seguiva l’arca del Signore; si procedeva al suono delle trombe. Il secondo giorno girarono intorno alla città una volta e tornarono poi all’accampamento. Così fecero per sei giorni. Il settimo giorno si alzarono allo spuntare dell’alba e girarono intorno alla città sette volte, secondo questo cerimoniale; soltanto in quel giorno fecero sette volte il giro intorno alla città. Alla settima volta i sacerdoti diedero fiato alle trombe e Giosuè disse al popolo: «Lanciate il grido di guerra, perché il Signore vi consegna la città. Questa città, con quanto vi è in essa, sarà votata allo sterminio per il Signore. Rimarrà in vita soltanto la prostituta Raab e chiunque è in casa con lei, perché ha nascosto i messaggeri inviati da noi». Il popolo lanciò il grido di guerra e suonarono le trombe. Come il popolo udì il suono della tromba e lanciò un grande grido di guerra, le mura della città crollarono su se stesse; il popolo salì verso la città, ciascuno diritto davanti a sé, e si impadronirono della città.
Così come anche il libro di Giosuè mette bene in mostra che la conquista di Gerico, la conquista della prima città della terra della promessa, non avvenne per la bravura, per l’organizzazione, per l’intraprendenza degli uomini di Israele e del loro esercito, ma per la potenza di Dio. Il rituale che gli ebrei sono stati chiamati a compiere prima della conquista di questa città dice esattamente questo: fu Dio a mettere nelle loro mani questa città, che essi ricevettero come dono dal Signore, non furono né le armi, né l’ingegno militare, ma solo la volontà di Dio, che onora la promessa fatta al suo popolo. Le mura di Gerico, come sappiamo, si sgretolarono dopo un rituale di 7 giorni in nome di Dio. Un modo con cui la scrittura ci sta dicendo che Dio protegge il suo popolo e dona quei benefici di salvezza che sono necessari alla storia.
Riassumendo le due scritture potremmo dire che Dio agisce dove ci sono uomini che, facendo esperienza della loro debolezza, lasciano spazio a Dio.
Per noi.
Credo che noi siamo sempre in una posizione opposta a quella della scrittura. Noi mettiamo davanti a Dio i nostri meriti, quello che sappiamo fare, i nostri successi, quello che sappiamo compiere in ogni stagione della vita, dell’esistenza. Forse è proprio per questo che sperimentiamo poco l’azione di Dio. Se noi mettiamo sempre davanti ad ogni cosa il nostro pensiero, il nostro modo di operare, le nostre risorse, i nostri mezzi, le nostre capacità, che spazio lasciamo a Dio per operare nella storia? Se ci crediamo artefici di ogni cosa e se operiamo in modo da mettere sempre noi stessi al centro di tutto, che spazio rimane per l’intervento di Dio? Le scritture di oggi ci insegnino a consegnarci con umiltà nelle mani di Dio. Questo rende grande la nostra vita e rende preziosa la nostra opera nel mondo.
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- Che spazio lascio all’opera di Dio?
- Che “consegna” nelle sue mani posso compiere di me?