Domenica 19luglio

Settimana della settima domenica dopo Pentecoste – Domenica

Ma, , alla fine sono pochi o sono tanti quelli che si salvano? Perché tutti torniamo alla domanda impropria posta a Gesù! Come anche nell’antico testamento, dal momento che stiamo rileggendo lo svolgimento cronologico della storia della salvezza, si capisce bene che il tema è chi entra nella terra di Dio, chi si salva, oltre, naturalmente al ricordo del passaggio del Giordano.

Vangelo

Lc 13, 22-30
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca

In quel tempo. Il Signore Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

Giosuè

Gs 4, 1-9
Lettura del libro di Giosuè

In quei giorni. Quando tutta la gente ebbe finito di attraversare il Giordano, il Signore disse a Giosuè: «Sceglietevi tra il popolo dodici uomini, un uomo per ciascuna tribù, e comandate loro di prendere dodici pietre da qui, in mezzo al Giordano, dal luogo dove stanno immobili i piedi dei sacerdoti, di trasportarle e di deporle dove questa notte pernotterete». Giosuè convocò i dodici uomini che aveva designato tra gli Israeliti, un uomo per ciascuna tribù, e disse loro: «Passate davanti all’arca del Signore, vostro Dio, in mezzo al Giordano, e caricatevi sulle spalle ciascuno una pietra, secondo il numero delle tribù degli Israeliti, perché siano un segno in mezzo a voi. Quando un domani i vostri figli vi chiederanno che cosa significhino per voi queste pietre, risponderete loro: “Le acque del Giordano si divisero dinanzi all’arca dell’alleanza del Signore. Quando essa attraversò il Giordano, le acque del Giordano si divisero. Queste pietre dovranno essere un memoriale per gli Israeliti, per sempre”». Gli Israeliti fecero quanto aveva comandato Giosuè, presero dodici pietre in mezzo al Giordano, come aveva detto il Signore a Giosuè, secondo il numero delle tribù degli Israeliti, le trasportarono verso il luogo di pernottamento e le deposero là. Giosuè poi eresse dodici pietre in mezzo al Giordano, nel luogo dove poggiavano i piedi dei sacerdoti che portavano l’arca dell’alleanza: esse si trovano là fino ad oggi.

Romani

Rm 3, 29-31
Lettera di san Paolo apostolo ai Romani

Fratelli, forse Dio è Dio soltanto dei Giudei? Non lo è anche delle genti? Certo, anche delle genti! Poiché unico è il Dio che giustificherà i circoncisi in virtù della fede e gli incirconcisi per mezzo della fede. Togliamo dunque ogni valore alla Legge mediante la fede? Nient’affatto, anzi confermiamo la Legge.

Vangelo

Partiamo dalla domanda impropria del Vangelo: “sono tanti o sono pochi quelli che si salvano?”. La domanda è impropria perchè giudicare chi sarà degno della salvezza o meno è solo compito di Dio. Eppure c’è, in tutte le generazioni, una curiosità morbosa a questo proposito: chi si salva? Gesù apparentemente non risponde a questa questione, non vuole soddisfare la curiosità, come accade sempre nel Vangelo.

Piuttosto Gesù sposta l’accento: “sforzatevi di entrare per la porta stretta”. È un paragone molto presente nella letteratura del nuovo testamento che ricorda come la fede, la salvezza, il desiderio di Dio di cui abbiamo parlato domenica scorsa, richiede impegno. Occorre l’impegno della libertà per salvarsi, non c’è salvezza automatica, è richiesto tutto l’uso dell’intelligenza e della libertà per salvarsi.

Luca, che scrive ormai per una comunità cristiana formatasi, vuole lasciar intendere bene a chi lo ascolta. “Quando il padrone di casa si alzerà a chiudere la porta, incomincerete a bussare alla porta, dicendo: Signore aprici!”. È una frase presa dal contesto in cui vive quella comunità: molti vivono senza l’attesa della fine, senza l’attesa dell’incontro con Dio, oppure vivono pensando che basti l’invocazione del nome del Signore fatta nella liturgia, per avere la salvezza. Luca obietta a tutti costoro: vivere senza speranza, non produce alcuna salvezza. Vivere pensando che solo l’invocazione liturgica del nome del Signore sia sufficiente per la salvezza, non basta!

Occorre impegno: l’impegno dell’intelligenza e della libertà. L’impegno dell’intelligenza, per conoscere il mistero di Dio che si rivela attraverso Cristo; l’impegno della libertà, per aderire a Cristo Signore e per fare in modo che il proprio agire, il proprio operare, i propri atti, siano conformi a quella rivelazione di amore che il Signore ha portato a termine. Dove c’è un’intelligenza che si interroga con Dio e dove c’è una libertà che, per lo meno, tenta di vivere secondo il criterio morale della fede, lì nasce la salvezza. Dove non c’è speranza cristiana, dove non c’è attesa della vita futura, dove non c’è gusto per le cose di Dio, dove non c’è spazio per Dio, non ci può essere nemmeno alcuna salvezza eterna. E non basterà dire, un giorno, che si è partecipato alla preghiera comunitaria: la liturgia non produce automaticamente la salvezza! Occorre l’impegno per passare attraverso la porta stretta. La fede, che è gioia di un incontro, è anche impegno, attesa del futuro, cammino infaticabile verso la vita eterna. Tutte queste cose insieme costruiscono quell’avvicinarsi alla vita eterna che dovrebbe essere sempre la vita di ogni uomo.

Giosuè

La preghiera liturgica, caso mai, può essere qualcosa che funge da richiamo, che funge da ricordo perché la libertà si giochi in questa direzione. Lo dice molto bene questo episodio. Israele sta entrando nella terra della promessa. Come l’uscita dall’Egitto fu segnata dal prodigio di Dio che divise il mar Rosso, anche l’ingresso nella terra è segnato da un prodigio di Dio che apre le acque, le acque del Giordano. È un chiaro invito a comprendere che quello che sta per accadere è dono di Dio. Israele non conquista la terra, non si prende la terra che abiterà con i suoi meriti, con i suoi sforzi. Israele abiterà la terra di Dio solo per l’amorevole dono che Dio farà di questa terra a ciascuno di loro. È un richiamo anche all’attenzione con cui occorrerà vivere nella terra: poiché essa è dono di Dio, occorrerà vivere con il rispetto di Dio e della fede. Ecco il richiamo, ecco il senso di questo altare dalle 12 stele che devono ricordare a ciascuna tribù – ecco il numero 12 – che Dio ha donato loro quella terra. Non solo: questo altare è fatto con le pietre del Giordano. Anche questo è un simbolo che indicherà che si vive di fede, si vive per far ritornare a Dio la propria vita dopo il cammino percorso sulla terra.

Ovviamente la lettura non è solo un ricordo storico di un fatto importante della vita di Israele, ma è anche il richiamo a ciò che deve avvenire alla fine della vita di ogni uomo. Ci sarà per tutti un “ingresso nella terra”, quella terra promessa che non sarà tanto un luogo, ma, piuttosto, una condizione, la condizione di risorti, la condizione di coloro che vivranno per sempre nel mistero di Dio, insieme ad Abramo, Isacco, Giacobbe: i patriarchi che considerarono la vita come un dono e la fede come il cuore della loro esistenza. Non solo Israele è chiamato a questa esperienza, ma tutti i popoli della terra: la fede è universale.

Romani

San Paolo, l’Apostolo delle genti, ha portato questa salvezza universale ed eterna a tutti i popoli, perché ha compreso che questo invito ad entrare per la porta stretta non è solo di Israele, non riguarda solo il popolo eletto, ma riguarda tutti gli uomini. Tutti i popoli sono chiamati alla conoscenza di Cristo e ad avere in Lui la salvezza. Non c’è privilegio, c’è invito all’impegno! Non c’è automatismo, a tutti è richiesto il cammino e l’adesione dell’intelligenza e della libertà. Tutti possono giungere alla salvezza in Cristo, a condizione che trovino nell’adesione dell’intelligenza e della libertà a Cristo, la ragione della loro esistenza.

Per noi

Alcune riflessioni per noi:

  1. Io penso alla vita eterna? Penso che, alla fine, c’è un “padrone che chiude la porta?”. Perché l’alternativa di vivere nella spensieratezza dei giorni, quasi che uno non abbia anche da rendere conto della propria esistenza, è un abbaglio. Eppure, lo vediamo molto bene nei giovani, molti vivono così, del tutto concentrati sul presente, del tutto concentrati solamente su quello che è adesso. Senza attesa dell’incontro con Dio, ha ancora senso vivere? Se non ci fosse quell’istante eterno che attende ciascuno di noi, avrebbe ancora senso fare tutto quello che facciamo?
  2. Una seconda dimensione di riflessione: mi sforzo di entrare per la porta stretta? O penso che la fede sia qualcosa che automaticamente salva? Credo che molti pensino di essere cristiani destinati alla salvezza solo perché hanno ricevuto il Battesimo, solo perché vanno in Chiesa nelle occasioni solenni della vita, solo perché qualche preghiera liturgica li coinvolge… Dimenticano, tutti costoro, che la fede è impegno, ricerca, sforzo, attenzione… Certo la salvezza è dono gratuito di Dio in Cristo, ma occorre l’impegno dell’intelligenza e della libertà per aderirvi. Cosa dice la mia intelligenza del mio modo di aderire a Dio? Cosa dice l’impegno della mia libertà?
  3. Una terza dimensione di riflessione: che cosa mi aiuta a fare memoria di questo impegno? Qual’è, per dirla con le metafore della Parola di Dio, il mio “altare dalle 12 stele” che mi aiuta a pensare che anche io sono chiamato alla salvezza, mettendo a disposizione di Dio la mia intelligenza e la mia libertà? Questo “altare dalle 12 stele” dovrebbe essere la liturgia. Liturgia che non è l’invocazione sterile: “Signore, Signore”, ma il continuo rimando alla Parola di Dio e alla presenza eucaristica di Cristo che sprona il cammino. La liturgia è questo per me?

Prendiamo parte al cammino estivo che la liturgia ci propone. Prendiamo parte a quell’invito a leggere la scrittura che è sempre rivolto a tutti. Prendiamo parte a quell’invito a fare della Messa il cuore, il centro della nostra esistenza. Senza questo cammino, infatti, non salveremo la nostra anima.

2020-07-17T07:54:37+02:00