Martedì 23 giugno

Settimana della terza domenica dopo Pentecoste – Martedì

Vangelo

Lc 6, 6-11
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca

Un altro sabato il Signore Gesù entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. C’era là un uomo che aveva la mano destra paralizzata. Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato, per trovare di che accusarlo. Ma Gesù conosceva i loro pensieri e disse all’uomo che aveva la mano paralizzata: «Àlzati e mettiti qui in mezzo!». Si alzò e si mise in mezzo. Poi Gesù disse loro: «Domando a voi: in giorno di sabato, è lecito fare del bene o fare del male, salvare una vita o sopprimerla?». E guardandoli tutti intorno, disse all’uomo: «Tendi la tua mano! ». Egli lo fece e la sua mano fu guarita. Ma essi, fuori di sé dalla collera, si misero a discutere tra loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù.

Con il Vangelo di oggi possiamo continuare quella riflessione sulla “sacralità della vita” che abbiamo iniziato ieri con la prima diatriba sul sabato. Gesù pone una domanda che ha la sua risposta anche solo nel buon senso: “è giusto, in giorno di sabato, salvare una vita o perderla?”. La risposta è già chiara: è sempre il tempo per salvare una vita. Non è questione di giorno, non è questione di tempo, è questione di desiderio, di volontà, di passione. L’uomo deve avere sempre passione per la vita, perché la vita di ogni uomo è sacra! Quindi è sempre tempo di agire per il rispetto della vita e per la sua sacralità. Non esiste alcun scrupolo in merito! Gesù si confronta con chi affermava, invece, che il sabato erano proibiti anche tutti i gesti di premura e di cura per la vita di un uomo. Gesù non perde occasione per dire che, se si agisce in questo modo, si idolatra il Sabato, perdendone il suo vero contenuto spirituale e mettendosi seriamente a rischio per quello che ne deriverà. Quando si perde l’orientamento verso Dio, è chiaro che si perde il gusto per la sacralità della vita.

Numeri

Nm 6, 1-21
Lettura del libro dei Numeri

In quei giorni. Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla agli Israeliti dicendo loro: “Quando un uomo o una donna farà un voto speciale, il voto di nazireato, per consacrarsi al Signore, si asterrà dal vino e dalle bevande inebrianti, non berrà aceto di vino né aceto di bevanda inebriante, non berrà liquori tratti dall’uva e non mangerà uva, né fresca né secca. Per tutto il tempo del suo nazireato non mangerà alcun prodotto della vite, dai chicchi acerbi alle vinacce. Per tutto il tempo del suo voto di nazireato il rasoio non passerà sul suo capo; finché non siano compiuti i giorni per i quali si è votato al Signore, sarà sacro: lascerà crescere liberamente la capigliatura del suo capo. Per tutto il tempo in cui rimane votato al Signore, non si avvicinerà a un cadavere; si trattasse anche di suo padre, di sua madre, di suo fratello e di sua sorella, non si renderà impuro per loro alla loro morte, perché porta sul capo il segno della sua consacrazione a Dio. Per tutto il tempo del suo nazireato egli è sacro al Signore. [Se qualcuno gli muore accanto all’improvviso e rende impuro il suo capo consacrato, nel giorno della sua purificazione si raderà il capo: se lo raderà il settimo giorno; l’ottavo giorno porterà due tortore o due piccoli di colomba al sacerdote, all’ingresso della tenda del convegno. Il sacerdote ne offrirà uno in sacrificio per il peccato e l’altro in olocausto e compirà il rito espiatorio per lui, per il peccato in cui è incorso a causa di quel morto. In quel giorno stesso, il nazireo consacrerà così il suo capo. Consacrerà di nuovo al Signore i giorni del suo nazireato e offrirà un agnello dell’anno come sacrificio per il peccato; i giorni precedenti decadranno, perché il suo nazireato è stato reso impuro. Questa è la legge per il nazireo: quando i giorni del suo nazireato saranno compiuti, lo si farà venire all’ingresso della tenda del convegno; egli presenterà l’offerta al Signore: un agnello dell’anno, senza difetto, per l’olocausto; una pecora dell’anno, senza difetto, per il sacrificio per il peccato; un ariete senza difetto, come sacrificio di comunione; un canestro di pani azzimi di fior di farina, di focacce impastate con olio, di schiacciate senza lievito unte d’olio, insieme con la loro oblazione e le loro libagioni. Il sacerdote le offrirà davanti al Signore e compirà il suo sacrificio per il peccato e il suo olocausto; offrirà l’ariete come sacrificio di comunione al Signore, oltre al canestro degli azzimi. Il sacerdote offrirà anche l’oblazione e la sua libagione. Il nazireo raderà, all’ingresso della tenda del convegno, il suo capo consacrato, prenderà la capigliatura del suo capo consacrato e la metterà sul fuoco che è sotto il sacrificio di comunione. Il sacerdote prenderà la spalla dell’ariete, quando sarà cotta, una focaccia non lievitata dal canestro e una schiacciata azzima e le porrà nelle mani del nazireo, dopo che questi avrà rasato la capigliatura consacrata. Il sacerdote le presenterà con il rito di elevazione davanti al Signore; è cosa santa che appartiene al sacerdote, insieme con il petto della vittima offerta con il rito di elevazione e la coscia della vittima offerta come tributo. Dopo, il nazireo potrà bere vino. Questa è la legge per il nazireo che ha promesso la sua offerta al Signore per il suo nazireato, oltre quello che è in grado di fare in più, secondo il voto che avrà emesso. Così egli farà quanto alla legge del suo nazireato”».]

Anche l’antico testamento oggi ci propone una pagina difficile nella sua lettura, ma molto comprensibile nella sua essenza. “Fare un voto a Dio” e, quindi, obbligarsi con un’azione, piuttosto che con una rinuncia, piuttosto che con un impegno, è tipico di tutte le religioni. I pagani conoscevano attestazioni di questo genere e anche Israele ne prevedeva. L’istituto del “nazireato” era tipico dell’Israele antico e prevedeva la consacrazione della vita a Dio simboleggiata dal non radersi e dal non bere alcuna bevanda inebriante. Queste due rinunce dicevano il rispetto per la vita e il desiderio di consacrare tutti sé stessi a Dio. È per questo che, come abbiamo sentito, quando accadevano cosa straordinarie, occorreva ricomporre il voto come pure, quando si poneva fine al voto, occorreva una cerimonia per attestare davanti a tutti che era giunto il tempo della vita per il quale ci si era legati a Dio in forma così stretta. I voti non sono attestazione di una religiosità elementare, ma un modo di dialogare con Dio per ciò che ci sta a cuore sopra ogni cosa. Il voto di Israele, questo istituto del nazireato, era un modo tipico della fede ebraica per dire che la vita è sacra e che nessuno ha il diritto di ostacolare il cammino di una coscienza verso Dio.

Per noi

  • Cosa penso dei voti fatti con fede per qualcosa di importante della vita?
  • Ho mai fatto un voto?

Forse non direttamente e, mi pare, in generale, si stia perdendo questa fede semplice ma ferma più che mai, per cui ci si lega a Dio con un voto, che esprima il nostro cuore, la nostra fede, la nostra preghiera. Ha ancora senso legarci con un voto a Dio, alla Madonna, al santuario di un Santo che ci è particolarmente caro. A patto che ci sia una vita di preghiera che ci lega a questo voto e che il voto stesso non venga fatto come ricorrendo ad un segno magico, come ricorrendo ad un gesto che saprà di idolatria, come talvolta accade.

Credo che le letture di oggi siano un invito a riscoprire la bellezza e la sacralità della vita e, per difenderla, anche il ricorso a quella preghiera del tutto particolare ed intensa che è un voto religioso.

Mettiamoci anche noi dalla parte di chi desidera difendere la vita, di chi fa di tutto per difendere la vita, propria e degli altri. Solo così riusciremo ad essere desti nel nostro personale cammino e solo così sapremo difendere il primo dono che Dio ha fatto a ciascuno di noi!

2020-06-19T10:29:02+02:00