Domenica che precede il martirio
Per introdurci
L’esercizio più utile che io posso suggerirvi in questa domenica è quello che ho fatto durante la settimana. Rileggete la prima lettura, più e più volte. Lasciate che la bellezza del testo vi affascini, lasciate che la narrazione vi conquisti. Lasciate che le parole si depositino dentro di voi. Vediamo di aiutare a capire i testi sacri per poi lasciare a ciascuno di compiere questo esercizio.
La Parola di questa domenica
LETTURA 2Mac 6, 1-2. 18-28
Lettura del secondo libro dei Maccabei
In quei giorni. Il re inviò un vecchio ateniese per costringere i Giudei ad allontanarsi dalle leggi dei padri e a non governarsi più secondo le leggi di Dio, e inoltre per profanare il tempio di Gerusalemme e dedicare questo a Giove Olimpio e quello sul Garizìm a Giove Ospitale, come si confaceva agli abitanti del luogo. Un tale Eleàzaro, uno degli scribi più stimati, uomo già avanti negli anni e molto dignitoso nell’aspetto della persona, veniva costretto ad aprire la bocca e a ingoiare carne suina. Ma egli, preferendo una morte gloriosa a una vita ignominiosa, s’incamminò volontariamente al supplizio, sputando il boccone e comportandosi come conviene a coloro che sono pronti ad allontanarsi da quanto non è lecito gustare per attaccamento alla vita. Quelli che erano incaricati dell’illecito banchetto sacrificale, in nome della familiarità di antica data che avevano con quest’uomo, lo tirarono in disparte e lo pregarono di prendere la carne di cui era lecito cibarsi, preparata da lui stesso, e fingere di mangiare le carni sacrificate imposte dal re, perché, agendo a questo modo, sarebbe sfuggito alla morte e avrebbe trovato umanità in nome dell’antica amicizia che aveva con loro. Ma egli, facendo un nobile ragionamento, degno della sua età e del prestigio della vecchiaia, della raggiunta veneranda canizie e della condotta irreprensibile tenuta fin da fanciullo, ma specialmente delle sante leggi stabilite da Dio, rispose subito dicendo che lo mandassero pure alla morte. «Poiché – egli diceva – non è affatto degno della nostra età fingere, con il pericolo che molti giovani, pensando che a novant’anni Eleàzaro sia passato alle usanze straniere, a loro volta, per colpa della mia finzione, per appena un po’ più di vita si perdano per causa mia e io procuri così disonore e macchia alla mia vecchiaia. Infatti, anche se ora mi sottraessi al castigo degli uomini, non potrei sfuggire, né da vivo né da morto, alle mani dell’Onnipotente. Perciò, abbandonando ora da forte questa vita, mi mostrerò degno della mia età e lascerò ai giovani un nobile esempio, perché sappiano affrontare la morte prontamente e nobilmente per le sante e venerande leggi». Dette queste parole, si avviò prontamente al supplizio.
SALMO Sal 140 (141)
Nella tua legge, Signore, è tutta la mia gioia.
Signore, a te grido, accorri in mio aiuto;
porgi l’orecchio alla mia voce quando t’invoco.
La mia preghiera stia davanti a te come incenso,
le mie mani alzate come sacrificio della sera. R
Poni, Signore, una guardia alla mia bocca,
sorveglia la porta delle mie labbra.
Non piegare il mio cuore al male,
a compiere azioni criminose con i malfattori:
che io non gusti i loro cibi deliziosi. R
A te, Signore Dio, sono rivolti i miei occhi;
in te mi rifugio, non lasciarmi indifeso.
Proteggimi dal laccio che mi tendono,
dalle trappole dei malfattori. R
EPISTOLA 2Cor 4, 17 – 5, 10
Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria: noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne. Sappiamo infatti che, quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda, riceveremo da Dio un’abitazione, una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli. Perciò, in questa condizione, noi gemiamo e desideriamo rivestirci della nostra abitazione celeste purché siamo trovati vestiti, non nudi. In realtà quanti siamo in questa tenda sospiriamo come sotto un peso, perché non vogliamo essere spogliati ma rivestiti, affinché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita. E chi ci ha fatti proprio per questo è Dio, che ci ha dato la caparra dello Spirito. Dunque, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo – camminiamo infatti nella fede e non nella visione –, siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore. Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi. Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male.
VANGELO M18, 1-10
✠ Lettura del Vangelo secondo Matteo
In quel tempo. I discepoli si avvicinarono al Signore Gesù dicendo: «Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?». Allora chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me. Chi invece scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, gli conviene che gli venga appesa al collo una macina da mulino e sia gettato nel profondo del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che vengano scandali, ma guai all’uomo a causa del quale viene lo scandalo! Se la tua mano o il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo e gettalo via da te. È meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, anziché con due mani o due piedi essere gettato nel fuoco eterno. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te. È meglio per te entrare nella vita con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna del fuoco. Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli».
Maccabei
Una vita nobile. Se guardate, uno dei termini che ricorre frequentemente nel testo è proprio nobile. Che cosa è una vita nobile? I Maccabei ci rispondono con l’esempio di Eleazaro. Vita nobile è quella di chi rimane fedele a Dio, come questo scriba che ora rimasto fedele al Signore per tutta la vita e, ora, si trovava in una età molto veneranda. Nobile vita è la capacità di guardare al proprio futuro non cercando vantaggi, scorciatoie, ma mirando unicamente ad avere quella fedeltà che ha accompagnato tutta la vita. Forse, con superficialità, qualcuno di noi mentre leggevamo il testo ha pensato: perché mai Eleazaro non si è prestato alla dissimulazione che pure gli avevano proposto? Cosa gli costava far finta di mangiare carni per lui sacrileghe e avere in cambio la vita? Perché non ha cercato di vivere più a lungo? Il testo rispondeva all’obiezione dei superficiali: cosa conta di più? Una vita integra o una vita nella quale ci si adatta come si può a quello che avviene? Cosa conta di più: essere o apparire? Cosa conta di più: avvicinarsi alla vita eterna o conservare ad ogni costo la vita terrena? Eleazaro risponde: il suo comportamento è nobile perché non dissimula. Il suo comportamento è nobile perché va, fiero, al supplizio. Il suo comportamento è nobile perché insegna che obbedire agli uomini vale molto meno che obbedire a Dio. Ecco la nobiltà della vita di Eleazaro. La lettura è tutta un monumento a quest’uomo, ad un uomo che non ha accettato una vita facile e ha sopportato un martirio che lo ha introdotto nella vita eterna, nella comunione con Dio. La nobiltà della vita nasce da chi mira a queste cose, nasce in chi cerca di vivere i grandi valori che possono sostenere un’esistenza. La nobiltà della vita è quella di chi si affida a Dio, non cercando onore, prestigio o altro di simile, ma solo di piacere al Signore.
Corinti
“Fratelli, il momentaneo peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata di eterna gloria”. San Paolo fa eco alla prima lettura, non perché voglia commentare questo testo, ma perché la sua vita, il suo esempio sono il commento migliore a questo testo. San Paolo è cosciente che le sue tribolazioni, le sue difficoltà stanno procurandogli una quantità smisurata di gloria. San Paolo ha ben presente dentro di sé il richiamo alla vita eterna. Sa benissimo che le sue difficoltà sono parte di una serie di difficoltà, di tormenti, di persecuzioni che gli uomini di fede hanno sempre subito e che sempre, nel corso del tempo, nel corso della storia, subiranno. Ecco perché non si lamenta della propria situazione, non recrimina per la propria esperienza, ma, con orgoglio e fierezza, offre a Dio le proprie sofferenze e difficoltà purché la fede ne esca irrobustita. La nobiltà del pensiero di San Paolo consiste nel saper dire che non c’è paragone, non c’è correlazione tra le sofferenze che si patiscono e la “quantità di gloria” che spetta a tutti coloro che si fanno testimoni di Cristo.
“Siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore”. San Paolo prosegue, poi, con la sua riflessione. È meglio andare in esilio dal corpo, è meglio lasciare che le cose che interessano agli altri, passino, ma non bisogna assolutamente perdere il senso della vita. Senso della vita è abitare con Dio. Anche i salmi lo dicevano già nel primo testamento: ciò che conta è abitare con il Signore, per questo non contano le cose che capitano, non contano le cose che avvengono. Quello che deve capitare capita. Il credente non è al riparo da difficoltà, angustie, accuse di ogni genere e tipo. Il credente fa si che, in tutte queste cose, Dio lo accompagni e Dio sia la sua forza. Paolo ne è particolarmente convinto e, per questo, sopporta quello che c’è da sopportare in vista di quello che ci attende nella vita eterna. È la speranza che guida San Paolo. Così come Paolo si appella alla speranza che deve essere in ogni credente, perché la speranza apra nuovi orizzonti di riflessione, di vita, di testimonianza.
“Tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo”. San Paolo non vuole fare nessun terrorismo spirituale, ma sa bene che l’esito della vita è questo: presentarci davanti a Cristo. Il credente va avanti così, senza esitazioni, senza problemi. Si rimette nelle mani di Dio e basta.
Vangelo
Così si capisce perché è stato scelto questo brano di Vangelo in unione a questi testi biblici. Quando il Signore dice: “se non vi convertirete e non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli”. Quella del Signore non è una bella immagine, un richiamo romantico, un modo per esaltare i bambini. È piuttosto un richiamo nobile, per stare alla parola che lega insieme i tre testi biblici. La nobiltà di un bambino sta nel fidarsi delle figure di adulti che lo circondano e che gli vogliono bene. Come un bambino tende le mani verso le persone adulte che lo aiutano così un’anima deve tendere le mani verso Dio e sapersi sprofondare nelle sue mani, abbandonarsi completamente in lui, accettare quella volontà che, spesso, implica anche l’accettazione di percorsi di sofferenza, derisione, insulto, persecuzione. La nobiltà dell’anima sta proprio in questo: nel sapersi affidare a Dio, capiti quello che capiti.
In questo senso si deve interpretare anche la seconda parte del Vangelo, il detto sullo scandalo. Per chi dà scandalo, è meglio mettersi uan macina al collo e gettarsi nel profondo del mare. Una parola molto dura, forse la più dura pronunciata dal Signore. Una parola che dice che una vita che scandalizza non è una vita nobile, non è una vita degna di essere vissuta, non è una vita che vale la pena di imitare. Scandalo è una parola che dobbiamo rileggere alla luce dei Maccabei: una vita scandalosa è una vita che rinnega Dio con empietà, è una vita che non diventa testimonianza del suo amore e della sua misericordia, è una vita che dice di amare Dio ma preferisce altro. È questo che scandalizza: vedere un credente che non si rimette nelle mani di Dio e che si comporta come fanno tutti, o forse peggio.
Per noi
Credo che siano davvero molte le provocazioni possibili grazie a questa Parola di Dio.
- Domandiamoci tutti: la mia vita è nobile? Nobile per le virtù che professo, nobile per il disegno di vita che cerco di seguire, nobile per quello che faccio, dico, testimonio? Per questo vi ho detto che l’esercizio più bello sarebbe quello di leggere e rileggere questa pagina affascinante. Non rispondiamo a questa domanda. Cerchiamo di mettere dentro il nostro cuore più esempi possibili di uomini nobili.
- Cosa penso dello scandalo? Credo che la scrittura ci abbia insegnato bene che c’è differenza tra una vita immorale e una vita che dà scandalo. Il più delle volte noi siamo in presenza di vite immorali. Talvolta, però, siamo anche noi in presenza di vite che danno scandalo. Dio non voglia che la nostra vita sia scandalosa. In questo senso vale la pena che ci interroghiamo per imparare a distanziarci da comportamenti che ci rovinerebbero. Sullo scandalo dobbiamo anche poi riflettere come comunità cristiana, per prendere le distanze da tutti quei comportamenti che, effettivamente, rovinano il nostro stare insieme comunitario.
- Per la terza domenica consecutiva, le scritture ci rimandano al richiamo alla vita eterna. Senza questa luce, infatti, sarebbe impossibile pensare di avere quei comportamenti che la parola di Dio ci ha indicato come nobili. Vi invito ancora a verificare se, dentro di noi, siamo davvero pronti a subordinare tutto al giudizio eterno o se, invece, questa categoria ha perso la sua lucentezza.
Vi richiamo però davvero a rileggere questi testi e, soprattutto, quello dei Maccabei. Lasciamo che la nobiltà di questo testo ispiri e illumini la nostra mente e, soprattutto, il nostro cuore.