3 di Avvento
Per introdurci
Le sorprese di Dio non finiscono mai! Così vogliamo continuare a vivere questo avvento che abbiamo appena iniziato. La sorpresa di Dio di cui ci parla la liturgia di oggi è quella che riguarda chi cerca il Signore. Cosa che dovrebbe riguardare tutti e che, invece, non è sempre alla portata di tutti. Come diceva il beato J.H.Newman: “È ovvio che essere coscienzioso nella ricerca della verità è un requisito indispensabile per trovarla”. È proprio questo che ci stanno dicendo le scritture di oggi, ma non sempre noi lo capiamo né siamo disposti a capirlo
Isaia
Is 45, 1-8
Lettura del profeta Isaia
Dice il Signore del suo eletto, di Ciro: «Io l’ho preso per la destra, per abbattere davanti a lui le nazioni, per sciogliere le cinture ai fianchi dei re, per aprire davanti a lui i battenti delle porte e nessun portone rimarrà chiuso. Io marcerò davanti a te; spianerò le asperità del terreno, spezzerò le porte di bronzo, romperò le spranghe di ferro. Ti consegnerò tesori nascosti e ricchezze ben celate, perché tu sappia che io sono il Signore, Dio d’Israele, che ti chiamo per nome. Per amore di Giacobbe, mio servo, e d’Israele, mio eletto, io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo, sebbene tu non mi conosca. Io sono il Signore e non c’è alcun altro, fuori di me non c’è dio; ti renderò pronto all’azione, anche se tu non mi conosci, perché sappiano dall’oriente e dall’occidente che non c’è nulla fuori di me. Io sono il Signore, non ce n’è altri. Io formo la luce e creo le tenebre, faccio il bene e provoco la sciagura; io, il Signore, compio tutto questo. Stillate, cieli, dall’alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza e germogli insieme la giustizia. Io, il Signore, ho creato tutto questo».
Romani
Rm 9, 1-5
Lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, dico la verità in Cristo, non mento, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen.
Vangelo
Lc 7, 18-28
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca
In quel tempo. Giovanni fu informato dai suoi discepoli di tutte queste cose. Chiamati quindi due di loro, Giovanni li mandò a dire al Signore: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Venuti da lui, quegli uomini dissero: «Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”». In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. Poi diede loro questa risposta: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Quando gli inviati di Giovanni furono partiti, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che portano vesti sontuose e vivono nel lusso stanno nei palazzi dei re. Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”. Io vi dico: fra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui».
Giovanni il Battista
Anche in questa domenica è centrale la figura di Giovanni il Battista. Perché il precursore è così importante in questo cammino di avvento e, in generale, nel cammino di fede della liturgia ambrosiana? Esattamente per questo motivo: egli è stato coscienzioso nella ricerca della verità e ci viene proposto come modello di uomo che non si ferma mai nella propria ricerca di fede. Giovanni è un uomo che parla di Dio, un uomo che parla del suo mistero, un uomo che ha parlato del Messia. La sua predicazione, sostanzialmente, consisteva in un invito a cercare la presenza di Dio nelle proprie anime, nel proprio vissuto, nella storia. Giovanni, che come abbiamo detto la scorsa settimana aveva rifiutato un posto di rilievo nel tempio di Gerusalemme, sa distinguere tra la religione e la fede. Dove per religione dobbiamo intendere le cose esteriori, le manifestazioni visibili della fede. Per fede, invece, si intende l’atteggiamento dell’intelletto e del cuore, che pone ogni credente in uno stato di perenne ricerca. Il Vangelo di oggi ci sta dicendo che Giovanni ha vissuto fino all’ultimo questo stato di ricerca, di approfondimento della fede, di passi sempre oltre da compiere. Fino alla fine. Con una ricerca profonda, che ha anche attraversato la stagione del dubbio, della solitudine, dell’incomprensione. Giovanni non si è mai dato per vinto e non si è mai arreso. Ha capito che il suo compito era quello di essere un ricercatore del volto di Dio con un cammino sempre in atto. Giovanni non smette di cercare il suo Dio nemmeno dopo l’incontro con il Messia, nemmeno quando viene imprigionato, quando è ormai chiaro che la sua vita non sarà altro che un’attesa della morte. Morte che Giovanni attenderà con pazienza, pienamente consapevole che il suo itinerario interiore è la sua tranquillità, la sua calma, la sua salvezza. Egli sente e sa che tutto quanto ha fatto per Dio sarà ciò che gli permetterà di incontrare la sua presenza, di vedere la luce del suo volto, di gustare la sua parola. Ne è così certo che chiede a tutti coloro che si recano da lui e primi di tutti ai suoi discepoli, di essere sempre uomini in uno stato di perenne ricerca, uomini che non fanno della fede un esercizio dell’intelletto, ma, piuttosto, un esercizio del cuore. Giovanni insegna che arriva alla visione del volto di Dio non chi compie tante opere di religione, ma chi crede e spera nel profondo del suo cuore, pur in mezzo ai dubbi, alle difficoltà della vita. Così come Lui stesso è sempre stato colto da dubbi e sempre ha dovuto sopportare asperità della vita. È proprio per questo atteggiamento del cuore che Giovanni comprende come Dio sta rinnovando il suo popolo. È così che comprende la novità che Dio sta generando nella visita del Messia all’umanità. È così che comprende che senza un rinnovarsi continuo del cammino di fede si potrà anche avere una vita religiosa, ma non un cammino di fede. Tra le due cose, ovviamente, c’è una differenza abissale.
Rorate coeli desuper…
Il primo ad avere intuito tutto questo è stato però il profeta Isaia, uomo dalla grandezza impensabile, inimmaginabile. È lui che dice quelle parole che stiamo utilizzando anche nel canto, strumento imprescindibile dell’azione liturgica. “Rorate coeli desuper, ovvero “stillate celi dall’alto e le nubi facciano piovere la giustizia”. È solo una frase del canto – preghiera, quella che noi ripeteremo anche oggi, la preghiera di per sé è molto più estesa e riprende tutta la profezia di Isaia. Testo che ci ricorda che il credente, in questo tempo di avvento, prega per sé, per il suo peccato, perché comprende che il primo peccato è proprio quello di avere una vita che non è tensione a Dio, che non è illuminazione del cuore, che non è ricerca. Anche a questo proposito il profeta ci illumina: quando l’uomo dimentica la sua apertura a Dio e vive per sé stesso, egli rovina quel percorso di grazia che è chiamato a vivere. Quando l’uomo compie quell’itinerario del cuore che lo porta verso Dio, allora nasce la fede, allora sboccia la giustizia, come conseguenza immediata e logica del cammino che un uomo sta attuando. È tutta una questione del cuore. Dove c’è attenzione a questo, c’è benedizione e vita di fede attiva. Dove non c’è cuore, non c’è nulla, si perde il contatto con l’Invisibile e questo produce stanchezza, rassegnazione, mancanza di fede. Parole bellissime. Ogni volta che le cantiamo dovremmo ricordarci che la fede è appello al cuore perché si converta e lasci germogliare la giustizia.
Un grande dolore e una grande sofferenza
È questo anche l’itinerario di fede di Paolo. Un uomo che ha messo cuore nella sua fede e, per questo, ha saputo rinnovarsi, non limitandosi ad essere uno che ripete opere di fede, ma desiderando essere uno che segue Cristo e, per questo, sa vedere il Lui come si adempie ogni promessa antica e come Dio entra nel mondo per innovarlo. Ecco il dolore di Paolo. Egli soffre per tutti coloro che non fanno così, per coloro che rimangono ancorati sulle loro posizioni, per coloro che non credono ad una possibilità di rinnovamento del proprio cammino di fede, per coloro che sono solamente dei “ripetitori” di riti, di posizioni o di preghiere dette senza più anima. Non è questo solo il pericolo che hanno corso molti ebrei che non si sono lasciati convertire dalla presenza del Signore, ma di tutti gli uomini di fede. Quando una coscienza non si rinnova, prima o poi, si arriva inevitabilmente a questo punto.
Per noi
Se c’è un uomo che ha saputo dare ampio spazio a questo insegnamento, comprendendo per sé ed insegnando agli altri che la vita di fede esige e richiede un cambiamento continuo, è il cardinale J.H. Newman, una figura molto bella di anglicano convertito al cattolicesimo. Non è solo una figura di spicco del secolo scorso, ma un richiamo costante a fare della ricerca di fede la propria ragione di vita e il proprio strumento per credere. Indispettito dall’insegnamento della teologia delle grandi università, scriveva: “Nelle scuole del mondo, le vie verso la Verità sono considerate strade maestre aperte a tutti gli uomini di ogni tempo, quale che sia la loro disposizione. Ci si deve avvicinare alla Verità senza riverenza…”. Egli ritiene che in molti studi teologici si faccia questo, ci si avvicini a Dio con irriverenza, cioè solo con la luce dell’intelletto, ma senza cuore, senza coinvolgimento personale, senza cuore. Ecco perché, per sé, desiderava altro. Scriveva ancora: “Io sento di essere alla Sua presenza […] Egli mi dice, “fa’ questo; non fare quello”, […] è l’eco di una persona che mi parla […], un’eco implica una voce; una voce qualcuno che parla. Quel qualcuno è colui che amo e che temo». È lo stare alla sua presenza che rende certo il cammino, è la coscienza di dare spazio alla sua voce, nell’accoglienza della Parola che rende questo cammino certo, sicuro, spedito.
È questo senso di ricerca che rende vero il cammino di chi non si arrende mai, ma fa della sua vita uno strumento per cercare Dio nel tempo. “Vivere è cambiare, e diventare santi è aver cambiato spesso”. Rimane questa una delle citazioni più famose della sua spiritualità e della sua opera di pensatore e maestro della fede. Il riferimento è immediatamente alla sua vita, al suo cambiare professione religiosa. Ma, al di là del fatto personale, Newman ha capito più di altri la teologia profondissima di Giovanni il Battista, di Isaia, che ci hanno ricordato che una fede senza amore, un sapere le cose di Dio senza viverle, non porta da nessuna parte. Non la ripetizione di culti senza comprensione vale qualcosa, ma uno stato di perenne ricerca che rende vere le opzioni del cuore.
- Stiamo capendo questo?
- Avvento è per noi cammino di cambiamento?
- Stiamo solo ripetendo alcune cose?
Credo che sia d’obbligo chiedercelo, se non vogliamo avere una fede ripetitiva, che compie alcuni gesti solo perché si ripetono alcune feste. Potremmo anche chiederci:
- Cosa devo cambiare della mia vita di fede?
- Cosa devo cambiare in vista di questo Natale?
Se settimana scorsa riflettevamo in senso penitenziale, oggi dovremmo riflettere su questa domanda partendo da quel senso di fede che deve segnare la nostra vita e contraddistinguere il nostro cammino.
Per gli sposi e la famiglia
Anche questa settimana vogliamo continuare a riflettere sull’implicazione di queste scritture per la famiglia e la coppia. Credo che sia opportuno riflettere su due numeri dell’Amoris Laetitia:
“Spero che ognuno, attraverso la lettura, si senta chiamato a prendersi cura con amore della vita delle famiglie» (n. 7). Partire dall’appello personale che il Papa fa a tutti perché la vita in famiglia e la cura per la vocazione del matrimonio non siano qualcosa che occupa un tempo della vita, quello del discernimento, ma tutta la vita stessa. In altre parole anche la ricerca l’uno dell’altro che si vive nel matrimonio deve essere qualcosa di irrinunciabile, di progressivo e di continuo.
Il papa poi afferma: «È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano» (n. 304). Frase che ci ricorda che solo in un’ottica di cammino continuo e di discernimento continuo un uomo, una donna, una famiglia possono continuare quel cammino di progressiva conversione che è il cuore delle scritture di oggi e il passo che vogliamo compiere nella terza settimana di Avvento.
Ricordiamoci allora che solo una fede che si pone continue domande e che sa cambiare anche il proprio modo di manifestarsi è garanzia della bontà di un cammino che si sta compiendo. La ripetizione pura non basta per una vita di fede incisiva o per una vita matrimoniale che tenda alla piena realizzazione delle persone sotto ogni punto di vista. Cosa vogliamo fare? Ci limitiamo ad una ripetizione di riti o accediamo ad un approfondimento della Verità di Dio che si offre in Gesù Cristo?
quella novità di vita che Dio rende possibile in tutti noi attraverso il Sacramento. Ne risulterà fortificata non solo la nostra vita ma quella di tutta la famiglia.