Domenica all’inizio della Quaresima
E’ un modo molto strano di essere comunità eucaristica quello che viviamo oggi. Siamo comunità non radunata nella nostra chiesa, come al solito, ma comunità che prova a sentirsi unita stando nelle case. Dispersa. Fa impressione questa chiesa solitaria in domenica. Eppure se noi siamo qui perché Dio non ci abbandona, e noi lo sappiamo. Se siamo qui noi sacerdoti a celebrare per voi questa Messa è perché tutti sappiamo che il Signore non ci abbandona mai. Questo segno della chiesa silente, che, per la prima volta nella storia, ci tocca di vivere – la Messa non si è mai sospesa anche nel tempo di guerra – è segno che ci impressiona, ci lascia senza parole, ma non ci toglie né la speranza né la certezza della presenza di Cristo risorto dai morti che è sostegno e guida per la vita dell’uomo.
Così, in questo clima difficile, vogliamo iniziare, seguendo il suggerimento del Vescovo, a vivere un itinerario che, partendo dai Vangeli che la liturgia ci propone, ci aiuti a scoprire la bellezza della preghiera del Credo che anche noi, tra poco, reciteremo.
Vangelo
Mt 4, 1-11
✠ Lettura del vangelo secondo Matteo
In quel tempo. Il Signore Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”». Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.
“Sta scritto: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a Lui solo renderai culto”. È questa parola del Vangelo che ci fa da guida, che vuole essere quella luce che splende anche in mezzo alle tenebre più nere, per utilizzare l’immagine voluta dal profeta nella prima lettura. Siamo di fronte ad uno dei misteri più forti della vita di Cristo: anche Lui, il Figlio di Dio, il Figlio amato, il Figlio che redime il peccato del mondo, ha dovuto sperimentare la tentazione. Triplice tentazione. Quella che parte dalle cose: dopo il prolungato digiuno del Signore, si legge, “alla fine ebbe fame”. Ecco la tentazione più banale, la tentazione del possesso e delle cose: “dì che queste pietre diventino pane”. Un modo molto subdolo per provocare l’onnipotenza di Dio. Per poi passare ad una tentazione più subdola: ammessa l’esistenza di Dio, si insinua che Dio non si curi dell’uomo. Mettendo quasi in ridicolo l’azione di Dio, il tentatore, partendo dai salmi, dice: “gettati giù, poiché sta scritto: Egli darà ordine ai suoi angeli a tuo riguardo, ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”. È la tentazione di chi vuole vedere l’opera di Dio in concreto, la tentazione che insinua che Dio debba mettere sempre al riparo i suoi rispetto a tutti i problemi della vita. Per poi giungere a quell’ultima tentazione: “tutte queste cose io ti darò se, prostrandoti, mi adorerai”. Tentazione del potere, tentazione del successo, tentazione dell’apparire, per avere un riscontro immediato della propria potenza. Tutte tentazioni alle quali il Signore risponde con quella citazione della scrittura che ricorda il primato di Dio. “A Lui solo rendi culto”. Parola di Dio che è parola per l’uomo. Parola di Dio che intende sostenere l’atto di fede, l’atto per il quale noi diciamo “io credo”.
Atto libero, che nasce da chi riconosce l’esistenza di Dio e la onora con la propria vita. Atto di chi non si riconosce solo, atto di chi sa che la vita è un dono, atto di chi si mette sempre nella prospettiva del dialogo con quel mistero da cui abbiamo l’esistenza e che è all’origine di ogni cosa. Non per altro il credo ci fa dire che Dio è “creatore del cielo e della terra”. Modo di argomentare secondo la mentalità ebraica, per dire “tutto”. Dio è il Creatore di tutto. Avrebbero poi aggiunto i padri della chiesa, nei primi concili, seguendo le filosofie occidentali: “e di tutte le cose visibili e invisibili”. L’atto di fede è l’atto della libertà che riconosce Dio come origine di ogni cosa e fine ultimo dell’esistenza.
Non solamente questo: l’atto di fede è l’atto di chi riconosce Dio come Padre, come Colui al quale non solo tutto appartiene, ma come Colui che si prende cura di ogni cosa. Come dirà Gesù nel corso della sua predicazione: del giglio del campo, del più piccolo tra gli uccelli del cielo… Predicazione che sottointende che Dio si prende cura, anzitutto, dell’uomo. Come Gesù ha insegnato in questa pagina delle tentazioni. Credere in Dio è credere nella sua paternità, nella sua benevolenza, nel suo amore. Amore che previene, amore che accompagna amore che sostiene.
Il primo articolo del credo, “Credo in Dio Padre”, ci fa dire queste cose: l’atto di fede è l’atto libero di chi si affida a Dio, da cui proviene ogni cosa e che è il padre di tutti.
Corinzi
2Cor 5, 18 – 6, 2
Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, tutto questo viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio. Poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti: «Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso». Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!
La seconda lettura, poi, specificava ancor meglio questa relazione del credente con il Padre. È una relazione che vive il suo massimo splendore nel perdono. Poiché ogni uomo è mancante nei confronti di Dio Padre, la grazia di questa relazione si esprime nel perdono di ogni colpa, di ogni peccato, di qualsivoglia mancanza che la libertà riconosca. Non esiste relazione con Dio Padre che non parta da qui. Non esiste relazione matura, profonda con Dio che non parta da questo intimo bisogno di redenzione, da questo desiderio di riconciliazione per le mancanze di una vita. Anzi, ci dice San Paolo, la relazione con il Padre diventa ancora più matura quando mette al centro proprio il perdono, apice di quell’azione di salvezza che Cristo ha realizzato nella sua Pasqua.
Isaia
Is 58, 4b-12b
Lettura del profeta Isaia
Così dice il Signore: «Non digiunate più come fate oggi, così da fare udire in alto il vostro chiasso. È forse come questo il digiuno che bramo, il giorno in cui l’uomo si mortifica? Piegare come un giunco il proprio capo, usare sacco e cenere per letto, forse questo vorresti chiamare digiuno e giorno gradito al Signore? Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora invocherai e il Signore ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”. Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio. Ti guiderà sempre il Signore, ti sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue ossa; sarai come un giardino irrigato e come una sorgente le cui acque non inaridiscono. La tua gente riedificherà le rovine antiche, ricostruirai le fondamenta di trascorse generazioni».
Relazione con Dio Padre che, se ha l’apice nel perdono offerto in Cristo, richiede anche una grandissima cura perché la libertà, dono massimo di Dio, esprima tutta la sua potenza. L’atto di fede di “onorare” Dio, non termina, ovviamente, nell’espressione liturgica, ma chiama in causa l’attenzione al povero, al misero, all’indigente. Lo diceva il profeta con la sua autorità e la chiarezza della sua argomentazione. Riconoscere Dio creatore di ogni cosa, riconoscere Dio Padre di ogni uomo, implica necessariamente il desiderio di mettere la propria libertà a servizio di Dio, perché l’opera della creazione venga continuamente soccorsa da quel “prendersi cura” di ogni cosa, ad imitazione di Dio. L’atto di fede non è mai rinchiuso in una pura dimensione intellettuale, ma si apre a tutti i possibili sbocchi di una libertà che si dona e si consuma nella ricerca del bene, del vero, del bello, del giusto.
Per Noi
Carissimi fedeli che, oggi, siete lontani: la quaresima è tutta qui. È tutta racchiusa in quest’atto di fede libero che noi tutti siamo chiamati ad emettere e sul quale siamo chiamati a riflettere per iniziare bene questo tempo santo.
Anche noi, vincendo le nostre tentazioni, siamo chiamati a dire che Dio è il solo, l’unico vero bene della nostra esistenza.
Anche noi siamo chiamati a sperimentare quella grazia della relazione che si esprime nella paternità di Dio e che trova il suo apice nel perdono. È per questo che la quaresima deve diventare impegno per la revisione di vita e per l’emendazione.
Anche noi siamo chiamati a fare della libertà quell’uso proprio che diventa occasione per cercare il bene, per creare condivisione, per esprimere sostegno, per dire quella vicinanza che va ben oltre quella visione intellettualistica della fede nella quale ci chiudiamo spesso anche noi.
Di qui l’impegno per questa prima settimana di quaresima: scrivi la tua regola di vita. Scrivi oggi quella regola che ti dai perché a partire dalla tua rinuncia, tu possa esprimere la tua libertà che si gioca per Dio e per il bene, il tuo desiderio di recuperare quella dimensione di figlio perduto che torna a casa, il tuo impegno per coltivare quella relazione con Dio che dà senso a tutta l’esistenza.
Con l’invito, ora, di proseguire questa quaresima, alla luce della Parola e scoprendo, tutti i prossimi giorni feriali, qualcosa sul mistero di Dio Padre, partendo dal Vangelo.
Buon cammino di quaresima.