Settimana della prima domenica di quaresima – mercoledì
La spiritualità di questo giorno di quaresima
Il senso misterioso del compimento. Vorrei che oggi potessimo riflettere insieme su questo tema. Cosa significa “dare compimento”? In che senso si può parlare di un compimento? Credo che tutti, quando riflettiamo sul senso di fede di queste parole ci facciamo domande simili a queste. Soprattutto credo che tutti ci domandiamo in che senso possiamo dire che Gesù Cristo è il compimento della rivelazione del Padre. Questa parte del discorso della montagna ci aiuta a impostare la questione.
La Parola di questo giorno
GENESI 3, 22 – 4, 2
Lettura del libro della Genesi
In quei giorni. Il Signore Dio disse: «Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi quanto alla conoscenza del bene e del male. Che ora egli non stenda la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva per sempre!». Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da cui era stato tratto. Scacciò l’uomo e pose a oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada guizzante, per custodire la via all’albero della vita. Adamo conobbe Eva sua moglie, che concepì e partorì Caino e disse: «Ho acquistato un uomo grazie al Signore». Poi partorì ancora Abele, suo fratello. Ora Abele era pastore di greggi, mentre Caino era lavoratore del suolo.
SALMO Sal 118 (119), 9-16
Donami, Signore, la sapienza del cuore.
Come potrà un giovane tenere pura la sua via?
Osservando la tua parola.
Con tutto il mio cuore ti cerco:
non lasciarmi deviare dai tuoi comandi. R
Ripongo nel cuore la tua promessa
per non peccare contro di te.
Benedetto sei tu, Signore:
insegnami i tuoi decreti. R
Con le mie labbra ho raccontato
tutti i giudizi della tua bocca.
Nella via dei tuoi insegnamenti è la mia gioia,
più che in tutte le ricchezze. R
Voglio meditare i tuoi precetti,
considerare le tue vie.
Nei tuoi decreti è la mia delizia,
non dimenticherò la tua parola. R
PROVERBI 3, 11-18
Lettura del libro dei Proverbi
Figlio mio, non disprezzare l’istruzione del Signore e non aver a noia la sua correzione, perché il Signore corregge chi ama, come un padre il figlio prediletto. Beato l’uomo che ha trovato la sapienza, l’uomo che ottiene il discernimento: è una rendita che vale più dell’argento e un provento superiore a quello dell’oro. La sapienza è più preziosa di ogni perla e quanto puoi desiderare non l’eguaglia. Lunghi giorni sono nella sua destra e nella sua sinistra ricchezza e onore; le sue vie sono vie deliziose e tutti i suoi sentieri conducono al benessere. È un albero di vita per chi l’afferra, e chi ad essa si stringe è beato.
VANGELO Mt 5, 17-19
✠ Lettura del Vangelo secondo Matteo
In quel tempo. Il Signore Gesù diceva ai suoi discepoli: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli».
Il discorso della montagna
redo che un po’ tutte le religioni abbiano, al loro interno, una serie di norme, precetti, se vogliamo anche di codici, di norme comportamentali che chi aderisce a quella religione è chiamato a vivere. Il popolo ebraico è maestro in queste cose, perché, come tutti sappiamo, la “legge”, ovvero il riferimento costante alle norme di Mosè, è un tratto fondamentale del modo di vivere la fede da parte del popolo ebraico. La questione è assai delicata. Mosè aveva dato il decalogo, come norma fondamentale per il popolo, una serie molto circoscritta di prescrizioni, non tanto per normare la vita ma per indicare a quali condizioni ci può essere un buon uso della libertà. La differenza tra chi interpreta la “legge” come un obbligo e chi, invece, come “indicazione per la libertà” è notevole. Da un lato la religione viene ridotta ad un semplice codice etico, ad una semplice serie di norme comportamentali, dall’altro lato, invece, la religione è vista come vera liberazione delle coscienze ed invito alla ricerca. Ovvio che avere una serie di norme a cui attenersi è molto più semplice che fare la fatica di cercare come vivere al meglio la propria fede.
Lo sapeva molto bene anche il Signore Gesù che vive sempre un po’ in contrasto con coloro che vogliono ridurre la fede ad una religione di regole, comode, chiare, ma, di fatto, una prigione per l’anima. Ecco in che senso Gesù dice: “io sono venuto a dare compimento”. Gesù pone sé stesso, la sua persona, la sua storia come “compimento” di quella rivelazione di Dio iniziata con Abramo. Il compimento è, dunque, non una teoria, non una norma ulteriore, non una sintesi, come qualcuno vorrebbe, ma la sua stessa persona. Il modo di pensare di Gesù, il modo di parlare di Gesù, il modo di agire di Gesù sono il compimento di quella storia della rivelazione che è iniziata con Abramo e che perdura nei secoli fino al compimento pieno in Cristo.
Così impostata la questione, ecco perché Gesù dice di essere venuto anche per dare compimento pieno alla legge antica, alla legge di Mosè. Il “pieno compimento della legge è l’amore”. Quando la libertà giunge al suo apice? Quando ci mette in grado di amare sempre, senza condizioni, chiunque. Questo è esattamente ciò che Gesù fa. Gesù ha insegnato che il pieno compimento della legge mosaica era l’amore non con una teoria, non con una predicazione, non con un insegnamento e nemmeno con un nuovo decalogo, ma con il suo personale modo di amare. Quel modo di amare che lo porta fino sulla Croce, come noi tutti ci stiamo preparando a ricordare e a celebrare nella prossima Pasqua.
La sintesi dei comandamenti non è una via media che mette insieme un po’ tutto. Al contrario è la via più esigente, quella di un amore totale, esaustivo, pieno, unico come quello di Cristo che ama tutto e tutti donando sé stesso. Ecco perché ha senso che “non passi un solo trattino o iota della legge”. Le indicazioni di Mosè hanno il loro senso, hanno la loro plausibilità perché continuano ad essere un richiamo serio per la libertà che vuole giocarsi nella direzione di Cristo. Se un uomo, una donna, vogliono interrogarsi sul senso della propria libertà e sulle decisioni da prendere per portare la libertà stessa al suo massimo splendore, quelle sono le parole a cui costantemente riferirsi.
Ecco perché chi continua a trasmettere la legge di Mosè inquadrata nel suo vero aspetto di indicazione cardine per la libertà viene considerato “grande nel regno dei cieli”, e, viceversa, chi non la trasmette, chi non la insegna, viene considerato “minimo nel regno dei cieli”. Trasmettere la “legge” nel suo “compimento in Cristo” rende grandi.
Il nostro cammino di fede
Credo che questa pagina del Vangelo ci provochi davvero da vicino, perché anche noi siamo alle prese con la stessa domanda di senso. Così capita, presso di noi, che ci sia qualcuno più “rigorista” che vive i comandamenti di Mosè alla lettera, senza domandarsi il senso di quella legge e chi, invece, nemmeno li ricorda più, in quanto superati da Cristo. È proprio a noi che viene detto di stare molto attenti a come impostiamo la questione della libertà, come viviamo la libertà, e, soprattutto, come nutriamo la nostra libertà. Perché se la libertà dell’uomo deve saper esprimere il massimo delle sue potenzialità, ha davvero bisogno di essere nutrita. La parola di Dio nutre la libertà, diventa preziosa indicazione perché la libertà non si perda, è risorsa fondamentale per non lasciare che lo spirito umano si impoverisca e giunga a giustificare, in nome della libertà, tutta quella serie di comportamenti, modi di fare e di dire che, invece, mortificano la stessa libertà dell’uomo. La posizione che, come credenti, dovremmo assumere, è quella di chi rilegge anche le norme della fede alla luce del loro compimento in Cristo. Questa posizione è anche utile per capire che tutte quelle che chiamiamo “norme della Chiesa”, sono da inquadrare e da vivere nel medesimo modo, e cioè accogliendole come indicazioni preziose per la libertà che è chiamata a realizzare la propria vocazione.
- Siamo capaci di impostare la questione della libertà come risposta da dare a Dio rispetto alle potenzialità che abbiamo?
- Accogliamo norme, precetti, dogmi, come una indicazione preziosa per il cammino della libertà?
- Insegniamo ancora a chi viene dopo di noi tutte queste cose?
Credo che la questione sia oltremodo seria ma anche oltremodo urgente. Se, infatti, non siamo noi i primi a trasmettere queste verità, come faremo ad educare la generazione che viene dopo di noi? Senza mettere l’accento su tutte queste cose, rischiamo di tornare ad una interpretazione della “legge” in senso puramente legalistico, opprimendo la coscienza e non liberando le potenzialità della libertà, come, invece, siamo chiamati a fare.
Intenzioni di preghiera
Credo che, oggi, tutti possiamo pregare chiedendo al Signore il dono del suo spirito perché impariamo a vivere bene, con fede, il richiamo evangelico. Credo che possiamo tutti cogliere l’invito a mettere al centro della nostra preghiera non solo l’uso che facciamo della nostra libertà, ma anche l’intelligenza della nostra fede, che è chiamata a confrontarsi con un tema classico e fondamentale della nostra riflessione di fede. Lasciamo emergere punti d’ombra, obiezioni, difficoltà, certi che il Signore illumina, accoglie, dona saggezza a coloro che intraprendono il cammino di revisione di vita che la nostra professione di fede richiede e sostiene.