Giovedì santo – Santa Messa in Coena Domini
Vangelo
PASSIONE DEL NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO SECONDO MATTEO Mt 26,17-75
Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.
Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».
Ora, mentre mangiavano, Gesù prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e, mentre lo dava ai discepoli, disse: «Prendete, mangiate: questo è il mio corpo». Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati. Io vi dico che d’ora in poi non berrò di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi, nel regno del Padre mio».
Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. Allora Gesù disse loro: «Questa notte per tutti voi sarò motivo di scandalo. Sta scritto infatti: / “Percuoterò il pastore / e saranno disperse le pecore del gregge”. Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea». Pietro gli disse: «Se tutti si scandalizzeranno di te, io non mi scandalizzerò mai». Gli disse Gesù: «In verità io ti dico: questa notte, prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte». Pietro gli rispose: «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò». Lo stesso dissero tutti i discepoli.
Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: «Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare». E, presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a provare tristezza e angoscia. E disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me». Andò un poco più avanti, cadde faccia a terra e pregava, dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!». Poi venne dai discepoli e li trovò addormentati. E disse a Pietro: «Così, non siete stati capaci di vegliare con me una sola ora? Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». Si allontanò una seconda volta e pregò dicendo: «Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà».
Poi venne e li trovò di nuovo addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti. Li lasciò, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: «Dormite pure e riposatevi! Ecco, l’ora è vicina e il Figlio dell’uomo viene consegnato in mano ai peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino».
Mentre ancora egli parlava, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una grande folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti e dagli anziani del popolo. Il traditore aveva dato loro un segno, dicendo: «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!». Subito si avvicinò a Gesù e disse: «Salve, Rabbì!». E lo baciò. E Gesù gli disse: «Amico, per questo sei qui!». Allora si fecero avanti, misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono. Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù impugnò la spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote, staccandogli un orecchio. Allora Gesù gli disse: «Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno. O credi che io non possa pregare il Padre mio, che metterebbe subito a mia disposizione più di dodici legioni di angeli? Ma allora come si compirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?». In quello stesso momento Gesù disse alla folla: «Come se fossi un ladro siete venuti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno sedevo nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Ma tutto questo è avvenuto perché si compissero le Scritture dei profeti». Allora tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono.
Quelli che avevano arrestato Gesù lo condussero dal sommo sacerdote Caifa, presso il quale si erano riuniti gli scribi e gli anziani. Pietro intanto lo aveva seguito, da lontano, fino al palazzo del sommo sacerdote; entrò e stava seduto fra i servi, per vedere come sarebbe andata a finire.
I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una falsa testimonianza contro Gesù, per metterlo a morte; ma non la trovarono, sebbene si fossero presentati molti falsi testimoni. Finalmente se ne presentarono due, che affermarono: «Costui ha dichiarato: “Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni”». Il sommo sacerdote si alzò e gli disse: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». Ma Gesù taceva. Allora il sommo sacerdote gli disse: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se sei tu il Cristo, il Figlio di Dio». «Tu l’hai detto – gli rispose Gesù –; anzi io vi dico: / d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo / seduto alla destra della Potenza / e venire sulle nubi del cielo».
Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: «Ha bestemmiato! Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». E quelli risposero: «È reo di morte!».
Allora gli sputarono in faccia e lo percossero; altri lo schiaffeggiarono, dicendo: «Fa’ il profeta per noi, Cristo! Chi è che ti ha colpito?».
Pietro intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una giovane serva gli si avvicinò e disse: «Anche tu eri con Gesù, il Galileo!». Ma egli negò davanti a tutti dicendo: «Non capisco che cosa dici». Mentre usciva verso l’atrio, lo vide un’altra serva e disse ai presenti: «Costui era con Gesù, il Nazareno». Ma egli negò di nuovo, giurando: «Non conosco quell’uomo!». Dopo un poco, i presenti si avvicinarono e dissero a Pietro: «È vero, anche tu sei uno di loro: infatti il tuo accento ti tradisce!». Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quell’uomo!». E subito un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola di Gesù, che aveva detto: «Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte». E, uscito fuori, pianse amaramente.
Dentro il cenacolo
Questa celebrazione, questa liturgia così diversa dal solito e affascinante, queste letture, ci dicono, come sempre, di anno in anno, una cosa sola: anche noi siamo nel cenacolo. Noi qui presenti nella nostra Chiesa siamo come quei discepoli che furono là, in quel particolare momento, insieme al Signore, ed assistettero a quella benedetta e santa istituzione dell’Eucarestia. Vi invito a gustare profondamente e in maniera molto distesa questa possibilità che ci è concessa e ad accoglierla come un dono. Lo scorso anno non fu così e credo tutti ci ricordiamo di quella “Pasqua minore” – come l’avevo chiamata – che ha segnato il ricordo ma soprattutto i sentimenti e le emozioni di ciascuno di noi. Vorrei che quest’anno fosse, sebbene con le restrizioni del tempo, un ritorno ad una “Pasqua maggiore”, cioè ad una Pasqua che ci metta in grado di lasciarci guidare da quei grandi personaggi che popolano la Passione secondo Matteo che abbiamo appena terminato di ascoltare.
I discepoli
Il primo “personaggio maggiore” della Pasqua sono, anzitutto, i discepoli. Sono loro che vanno e che vengono sulla scena e ci pare di vederli mentre vanno verso Gerusalemme per incontrare quel “tale” proprietario del Cenacolo e per predisporre tutto quanto era necessario per quella cena di memoria, di comunione, di fraternità, di fede. Perché l’ultima cena è tutto questo insieme: un convenire di fratelli, anzitutto. Così è nel rituale ebraico, dove la Pasqua è una festa “di” famiglia, “in” famiglia. Un ritrovarsi di parenti stretti, per commemorare, ancora una volta, la grande opera di Mosè, il suo prodigioso sfidare Faraone, il suo miracoloso guidare un popolo intero verso un’impresa impossibile: il passaggio del Mar Rosso, verso la terra dei padri, la terra della promessa, dopo quei segni terribili e terrificanti accaduti agli egiziani, di cui la “strage dei primogeniti” rimaneva l’emblema. Ricordo di un viaggio iniziato di fretta, senza nemmeno avere il tempo che il pane lievitasse. È per questo che sulla tavola della Pasqua ebraica è sempre presente il pane azzimo. Cena nella quale non deve mancare il vino nuovo, il calice ricolmo di quel frutto della vita sulla quale pronunciare la “berakah”, la benedizione di Dio che, con i suoi benefici si rende presente nel suo popolo. Certo non tutto poteva essere fatto dai discepoli: mani amorose, mani esperte, mani sicuramente di donna avranno allestito tutto l’occorrente, dalla tovaglia alle stoviglie, dalle pietanze ai posti per ciascuno. Perché ci fu un posto per ciascuno, ricorda il Vangelo. Per tutti e 12 gli apostoli. Per chi era presente con il cuore, con la mente, e per chi era solo presente con il corpo; per chi era ansioso di celebrare quella Pasqua alla quale il Signore, da tempo, aveva dato così tanta importanza, non celando il suo “ardente desiderio” di essere lì con loro e per chi era lì distratto, magari un po’ preso da qualche paura e timore. Come Pietro, che aveva portato una spada nel cenacolo… non si sa mai, Gerusalemme è sempre così pericolosa e tumultuosa nei giorni nella Pasqua. O come Giuda, che era già lì, con il suo sacchetto gonfio di denaro, quei trenta denari che aveva già pattuito da tempo per consegnare il Signore. Tutti sono lì, in una unione reale, in una comunione reale, anche se non tutti con pure intenzioni o avendo già in mente di abbandonare quel gruppo di discepoli che il Signore si era costituito. Del resto erano già in molti quelli che se ne erano andati, tanto che il Signore aveva già dovuto chiedere anche a loro, proprio ai 12: “volete andarvene anche voi?”. Comunque, in quel cenacolo, erano tutti presenti. Fu l’ultima volta. L’ultima, anche se il Signore non fece altro che parlare di comunione, di presenza, di ricordo che avrebbero dovuto avere di quella cena. Ricordo non solo della mente e nemmeno solo del cuore. Ricordo “fisico”, dal momento che il Signore legava insieme, per la prima volta, la sua stessa presenza al rituale di quel pane e di quel vino presenti sulla tavola della Pasqua, lasciando perdere ogni altra cosa che pure abbondava in quella cena sapientemente e amorevolmente imbandita.
Pietro
Subito emerge Pietro dal gruppo. Il capo, colui che era stato scelto come “roccia”, punto di riferimento, segno di unità del gruppo. È chiaro che sia vicino al Maestro, è chiaro che abbia in posto di onore. Pietro è, come al solito, pronto a tutto. Si lascia lavare i piedi, come ascoltiamo nella narrazione giovannea degli eventi dell’ultima sera della presenza del Signore, ma dopo averli quasi ritratti. Un gesto troppo grande, un gesto troppo imbarazzante. Come è possibile che sia il Signore a lavare i suoi piedi rozzi, callosi, usurati, resi duri da anni di pesca, di cammini in Galilea, di duro lavoro? Eppure il Maestro non aveva usato mezzi termini: chi non si sarebbe lasciato lavare i piedi non avrebbe avuto parte con lui. Certo non voleva essere lui quello che si sarebbe tirato indietro. E poi c’era quel continuo insistere del Maestro su un traditore. Chi sarebbe stato? Pietro si era già autoescluso, lui che avrebbe difeso il maestro per sempre, a qualsiasi costo. Lui che aveva portato la spada! Chi sarebbe stato, però? Ecco che in Pietro prevale, su tutto, la curiosità! Da chi ci si deve guardare? Certo non da Giovanni, il più giovane, il più amato dal Signore. Pietro, che è anche un poco invidioso di Giovanni, cerca, con cenni, come è scritto nel quarto Vangelo, di far chiedere proprio a lui chi sia il traditore. Non un nome, in risposta, ma un gesto, anche secondo San Matteo: “colui che ha messo la mano con me nel piatto, è quello che mi tradirà”. Lo sguardo di tutti è su Giuda, tanto che anch’egli sente di non potersi nascondere, e deve chiedere: “sono forse io?”. È così che si smaschera il traditore, con un gesto. Egli è colui che usurpa di un gesto di comunione, è colui che svilisce un gesto di amore, è colui che fraintende una parola, è colui che si colloca nella parte di chi vive il gesto che tutti stanno vivendo, ma senz’anima, anzi, con il pensiero altrove, con il pensiero a portare a termine quel sacrilego accordo che aveva già stretto con gli oppositori del Signore, ai quali l’avrebbe presto consegnato. Pietro vede, nota, memorizza. Lo dirà bene nelle sue predicazioni post pasquali.
È ancora Pietro il protagonista della scena nell’orto degli ulivi… si è mangiato, forse si è bevuto anche un po’ di più del solito, in quella cena armoniosa e perfetta, se non fosse stato per quei discorsi di passione, dolore, tradimento e morte. Ma ora è tardi, la preghiera non giunge spontanea, anzi, forse è solo il sonno a custodire quello che il cuore vorrebbe anche dire, ma troppa la stanchezza.
Ed è sempre Pietro il protagonista di quell’ultima scena, quella che si svolge dopo l’arresto, nella casa di Caifa. Entrato solo per conoscenze giuste, Pietro, che ha appena ferito un uomo e che ha costretto il Maestro ad un miracolo in extremis, perde completamente la cognizione di chi è, di cosa fa lì, di quello che è stato il suo viaggio interiore, di quella che è stata perfino la sua fede. Lui, che poche ore prima aveva fatto il curioso, lui che poco prima aveva mandato Giovanni per cercare di capire chi fosse il traditore, si vede, in un certo senso, anche costretto a rinnegare quel Gesù che non riconosce più. Lui che aveva sperimentato quella comunione particolare che si era instaurata tra il Cristo e i suoi discepoli, ora rinnega il Maestro. “Non lo conosco!”. È tutto quello che riesce a dire di fronte alle accuse. Siano di una serva, siano di una donna, siano di una che non conta niente, ma quelle parole lo feriscono. Lui che aveva giurato fedeltà e difesa è uno che rinnega, è uno che infrange la comunione, è uno che smentisce il valore di quella cena da poco consumata e forse non ancora digerita. Resta solo il pianto. Il pianto amaro che apre ad un gesto: uno sguardo. Basta uno sguardo con il Signore per iniziare un itinerario nuovo e diverso. Non l’itinerario del forte che riesce a controllare tutto e che diventa il difensore di altri, ma l’itinerario del debole che dovrà trovare proprio in quel pane e in quel vino appena ricevuti, la forza per ricominciare.
I figli di Zebedeo
Emergono da quel contesto anche i suoi grandi amici, i “figli del tuono”, Giacomo e Giovanni. Sono, come sempre, con Pietro. Sono nel cenacolo, pronti a tutto. Come abbiamo detto basta uno sguardo di intesa con Giovanni per sostituire anche la parola. Eppure anche loro dormono, nel Getsemani. Anche quel Giovanni, il discepolo amato, quello che Gesù aveva coltivato con particolare passione. Nemmeno lui riesce a stare sveglio e a far brillare quella comunione che, nel Cenacolo, aveva sperimentato. Chissà, forse al suo giovane cuore saranno venute in mente le parole della parabola delle vergini, proprio quelle che dicevano che tutte si assopirono e dormirono. Anche lui non ce l’aveva fatta. Era caduto sotto il peso del sonno. Proprio in quel momento nel quale il Signore avrebbe avuto bisogno di lui e della sua presenza. Anche lui non aveva tenuto desta quella comunione unica che gli era stata donata.
Giuda
Emerge, infine, Giuda. L’Iscariota. Già, occorreva pure un modo per distinguerlo da quell’altro omonimo, Giuda Taddeo, caso mai ce ne fosse bisogno! Dal momento che Taddeo parla poco, agisce ancor meno… non certo un rivale. Iscariota… Mistero stesso della parola. Di Keriot? Ma dove sarà questa città che non si trova? Forse uno di quei molti luoghi che sono spariti dalla cartina geografica? O forse quella cittadina vicino ad Hebron? Oppure, figlio di Cariot? Già, come si chiamava suo padre, Simone, lo sappiamo dal momento che quello avrebbe dovuto essere il modo per identificarlo… non c’erano certo i cognomi, ma chi era costui? O forse, come qualcuno intende, un soprannome persiano: “colui che sa”? Certo Giuda aveva qualche cognizione di economia, almeno, dal momento che gli avevano affidato la cassa. Certo un pregio riconosciuto e che, invece, aveva sfruttato a proprio vantaggio “prendendo quello che vi mettevano dentro”. Un uomo forte, un uomo battagliero, un uomo che aveva detto 1000 volte a Gesù che non avrebbe realizzato il regno di Israele se non cacciando i romani. E che non li avrebbe certo cacciati a furia di parabole o miracoli, ma con la lotta, con la vendetta, con il sangue. Lui era pronto a tutto e, se per caso avrebbe avuto bisogno di armi o di eserciti, lui avrebbe pensato al giusto sostegno economico dell’impresa. Che ci fa uno così nel gruppo dei 12? Che ci fa uno così nel cenacolo? Mistero. Nel cuore di Cristo c’è posto anche per uno così, per uno che tradisce la comunione, per uno che vende il Maestro, per uno che pensa che sia a furia di lotte, di rivendicazioni, di opposizioni, che si costruisce qualcosa. Giuda, proprio colui che, domani, vedremo impiccarsi. Lui che ha “venduto il sole alle tenebre”, come abbiamo cantato nell’inno, giace, per sempre, nelle tenebre. Lui che aveva cercato la vita, non sapendo tornare a quella fonte della comunione che è il boccone stesso che aveva attinto dalla medesima tavola a cui avevano partecipato gli altri, chiude per sempre il cuore al perdono e si autocondanna ad una tragica uscita di scena. Con un bacio tradisce, con un suicidio chiude la sua esistenza. È la sorte di chi si chiude alla logica della comunione e del perdono.
Anche noi nel cenacolo
Carissimi, nel cenacolo con questi personaggi maggiori della Pasqua, ci siamo anche noi. Noi che veniamo da un anno difficile, duro, un anno che ancora non è finito, un anno di restrizioni, un anno che ci ha tolto i segni maggiori delle nostre feste, un anno che ci ha rinchiuso, spesso, nelle nostre case, un anno che ci ha privato di relazioni e di comunità, un anno che ci ha fatto drammaticamente scoprire che non teniamo in mano la nostra esistenza, un anno che ha mortificato molti sogni e desideri, un anno che, adesso, comincia a pesare più di quanto avremmo pensato. Proprio noi, così, siamo tra i personaggi maggiori di questo nostro cenacolo.
Anche noi nel cenacolo come i discepoli
Carissimi, anche noi siamo come i discepoli nel cenacolo. Siamo venuti, siamo qui, stiamo sperimentando una comunione tra noi e con il Signore che non è per nulla scontata e che, forse, abbiamo cominciato ad apprezzare maggiormente forse quando l’abbiamo persa. Non sono pochi quelli di voi che hanno riscoperto la forza e l’efficacia dell’eucarestia, quando, avendo perso temporaneamente la possibilità di celebrarla, siete passati da una celebrazione di routine ad un convincimento del cuore. Siamo in molti a poter gioire, in questo giovedì santo ancora così particolare, per questo pane prezioso, spezzato per noi e da conservare a lungo. Ringraziamo per questa possibilità e gustiamo la sapienza di una presenza. Certo la sapienza della nostra presenza ma, soprattutto, la presenza del Signore, che è qui con noi ma, soprattutto, qui per noi.
Anche noi nel cenacolo come Pietro
Carissimi, forse siamo qui nel cenacolo come Pietro. Con i nostri pensieri, con le nostre idee, con la nostra spada. La spada di chi pensa sempre di sapere di più degli altri. La spada di chi pensa di non avere bisogno degli altri, la spada che ha preparato chi non si vuole lasciar lavare i piedi. La spada di chi pensa di essere già mondo. Coloro che non vogliono cambiare la propria identità di credenti, coloro che si pensano già a posto, coloro che pensano che non saranno mai i rinnegatori del Signore! Quanti siamo qui ben chiusi nelle nostre idee, sperando di venire a trovare un avvaloramento delle nostre tesi e completamente chiusi a qualsiasi novità! Penso a chi ostinatamente non apre le porte a rinnovamenti del cammino comunitario necessari. Penso a chi rimane ancorato ad uno schema di pensiero dove conta di più la definizione parrocchiale che la comunione in un cammino, la difesa di un posto piuttosto che la generazione di un processo. Penso a chi finge di non rimpiangere ma che si sente colpito nei suoi interessi personali nelle decisioni che stiamo prendendo per rendere la nostra comunità sempre più espressione della comunione e non semplice affiancamento di realtà precostituite. Penso a chi come Pietro, che voleva tenere in mano una celebrazione tradizionale e si scopre, alla fine, rinnegatore! Perché può capitare anche questo! Può capitare che, sentendoci noi stessi come rocce, diventiamo, invece, barriere di divisione!
Anche noi nel cenacolo come Giuda
Senza che nessuno me ne voglia, ma anche il nostro cenacolo ha anche qualche Giuda. Se era presente in quel contesto, quanto più nel nostro! Dobbiamo starne certi! Penso a chi, quest’anno, ha rovinato con la maldicenza, il pettegolezzo, le azioni sconsiderate il clima di una comunità di persone buone che, se non altro, cercano di seguire il Signore. Penso a chi non si è trattenuto dal volontario far del male. Con il sospetto che, da qualche parte, c’è comunque qualcosa a cui attaccarsi, che sia una borsa o altro. Al Signore, in verità, dobbiamo presentare anche questo! Se fu nello splendore di quel cenacolo che fu presente anche quella povertà, noi non possiamo pensare di essere più grandi.
Anche noi nel cenacolo della comunione
Carissimi, sia che siamo qui come i discepoli, sia che siamo qui come Pietro, e fosse pure che siamo qui anche come Giuda, tutti abbiamo una sola via di salvezza: il pane spezzato, l’Eucarestia fonte di comunione.
Il discepolo che ha preparato e che già gusta questa comunione lo sa bene e vivrà la sapienza di continuare a cibarsi di questo pane per proseguire in quel cammino che già lo vede partecipe.
Il discepolo che si pente come Pietro troverà in questo pane la forza per guardare il Signore e per lavare, con un pianto liberatorio, quello che la volontà non è riuscita a compiere. Anche questa è sapienza.
Perfino il discepolo che si sente come Giuda trova in questa sorgente di comunione la medicina per la ferita del distacco, il rimedio per l’ulcera della divisione, la soluzione per il dramma della solitudine, il rimedio per lo strappo provocato alla comunità. Chi farà così avrà, forse, una sapienza ancora più profonda.
È questa la sapienza che vorrei costruire con tutti voi quest’anno, in questa Pasqua, che se deve tornare ad essere “Pasqua Maggiore” deve farci camminare su sentieri di comunione e di unità con maggiore attenzione e con maggiore intensità.
È questa la sapienza che chiediamo al Signore, che già l’ha realizzata una volta per tutte, per noi e che continua a realizzarla in ogni cenacolo della terra che è ogni Chiesa.
È questa la sapienza che chiediamo a Maria, donna del cenacolo, Madre dell’Eucarestia.