Domenica 1 Dicembre

Storia e tempo alla luce del mistero di Dio.

Mistero dell’Incarnazione,

3a domenica di Avvento

Se ci siamo introdotti in questo tempo forte, come ci eravamo proposti, con la preghiera, se abbiamo cercato di vivere la sobrietà come impegno, allora possiamo comprendere anche il contenuto di questa terza domenica di avvento, che ci chiede di imparare ad interpretare la storia di cui siamo parte.

Vangelo

Il Vangelo attesta una duplice incertezza.

In primo piano c’è quella di Giovanni il Battista. Egli ha consacrato la vita ad aprire la via a Cristo. Ora appare tutto finito. Giovanni è stato arrestato, si trova a Macheronte, nel castello di Erode dove sono anche le sue prigioni più sicure. L’uomo che viveva nel deserto, è rinchiuso. La voce che si levava forte e denunciava il peccato degli uomini è oscurata. Giovanni si domanda dove ha sbagliato e perché. Con vero senso di angoscia si domanda se davvero Gesù è il Messia o se pure lui stesso si è sbagliato, se ha indicato come Messia uno che non lo è, uno che inganna. Giovanni è seriamente in crisi, dopo aver sperimentato la difficoltà della prigione e la solitudine in essa provata.

Dall’altro lato c’è l’incertezza delle folle. Esse sono andate nel deserto, hanno ben ascoltato la voce forte del predicatore Giovanni, hanno sentito il suo additare coloro che si allontanano da Dio e compiono azioni ingiuste. Poi sono ritornate alla vita di sempre, poi sono ritornate alle preoccupazioni di sempre, poi hanno lasciato perdere tutto, compreso quello stimolo a fidarsi di Dio che Giovanni aveva innescato in ciascuno di loro.

Gesù risponde ad entrambe le incertezze, aiutando ciascuno a rileggere la sua storia. La storia del precursore. Gesù rimanda i discepoli di Giovanni che sono venuti da Lui perché riferiscano a Giovanni i miracoli che vedono, miracoli che sono l’apparire di Dio nella storia, i segni che dicono che non si è sbagliato, che le profezie antiche, che il Battista conosceva a memoria, ora si adempiono, è una rassicurazione che lascerà Giovanni in perfetta armonia e tranquillità fino alla morte, attesa lì, a Macheronte, nella prigione.

Gesù risponde, però, anche alle folle. Ciò che hanno visto testimoniato nel Battista, ciò che hanno udito dalla sua voce, ciò che hanno percepito del suo mistero deve diventare luce per la loro vita, per la loro storia, per la loro esistenza. Il richiamo alla sobrietà di Giovanni, ricorda che quello deve essere anche il loro modo di vivere, di interpretare la storia, di avere a che fare con Dio.

Gesù insegna che c’è un modo di rileggere la storia che appartiene al credente che tutto giudica secondo la sua fede.

Isaia

Come già il profeta Isaia che aveva interpretato il tempo terribile dell’esilio, come qualcosa in qualche modo voluto, permesso da Dio, in vista di qualcosa di più grande, in vista di qualcosa di più duraturo. Il profeta sa bene che ci sarà un ritorno a Dio da parte di un popolo che lo ha abbandonato. Egli non solo spera, ma è certo che tutto il popolo di Israele saprà ancora esprimere a Dio tutta la sua fede. Egli sa, non solo spera, che per gli uomini, al posto di “tristezza e pianto”, potrà esserci “gioia e felicità”. Egli lo sa in forza della sua fede. Sa bene che, se esse non sono attuali, non per questo si deve dubitare di Dio, che tiene tutto saldamente nelle sue mani.

Romani

Esattamente come fa anche San Paolo che, rileggendo tutta la storia alla luce della sua fede, comprende che c’è una “disobbedienza di Israele”, cioè un opporsi al suo mistero e alla sua rivelazione, che, non ferma la presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Paolo sa benissimo che il non aver riconosciuto il Messia da parte del suo popolo, è una realtà che turba tutto il mistero della rivelazione. Eppure egli sa bene che anche questo era già conosciuto da Dio ed integrato nel suo mistero. Anzi, Dio si serve anche del rifiuto storico di Israele per continuare la sua rivelazione e per continuare a far vivere l’uomo nell’attesa della sua venuta.

Per Noi

  • Come vivo la mia storia? Come interpreto la mia esistenza?

  • Come vivo ed interpreto la storia del mondo?

Credo che, in questa terza domenica del tempo di Avvento, ci sia proposto questo esercizio di fede, uno dei più complessi che si possano fare. Da un lato, infatti, tutti noi siamo chiamati a riconoscere i segni della presenza di Dio nella nostra storia personale e in quella del mondo. Tutti noi siamo pronti e disposti a vedere dei segni di bene nella nostra vita o in quella del mondo e a capire che, dietro questo bene, non c’è altro che il Bene eterno, ultimo, vero, inarrivabile. Dall’altro ci appare chiaro che anche noi abbiamo delle resistenze, delle chiusure, delle ottusità. Non sempre siamo capaci di capire che anche queste cose, anche queste realtà servono, comunque, al mistero di Dio perché porti avanti la sua rivelazione al mondo. Credo che il primo esercizio di fede che ci sia proposto sia un po’ quello che Gesù proponeva alle folle, o che proponeva anche ai discepoli di Giovanni e allo stesso precursore: imparare a leggere la storia con le sue bellezze e le sue difficoltà, con i suoi lati oscuri e con quelli luminosi, con quella sua capacità di compiere il bene e anche di partorire il male. Per poi capire che tutto è nelle mani di Dio. Io, la mia storia, il mio mondo, la sua storia, siamo nelle mani di Dio. Non c’è niente che può turbare questa verità. Non c’è niente che possa scalfire la fortezza con cui Dio tiene la storia nelle sue mani.

In secondo luogo credo che sia giusto interrogarci sul senso della provvidenza. Dove provvidenza non vuol dire che Dio interviene al nostro posto, dove noi non riusciamo. Provvidenza vuol dire che Dio interviene nella storia attraverso gli uomini e il loro operato. Tutti possiamo essere strumenti della Provvidenza, a condizione che impariamo a stare davanti al Signore, per chiedere a lui la forza e l’illuminazione interiore per esserlo.

Imparare a rileggere la storia con gli occhi di Dio ci rende, anzitutto, ottimisti. Ottimisti non solo perché convinti che, alla fine, tutto si metterà per il meglio. Piuttosto, ottimisti perché in grado di capire che Dio è presente nella storia come l’artefice di tutto e come il fine a cui tutto rimanda. È questa la spiritualità propria di questo tempo di Avvento: attendere il Signore come meta, premio, fine dell’esistenza di tutti.

Siamo noi a dover essere i primi convinti che tutto è nelle mani di Dio. Siamo noi i primi a dover essere convinti che tutto passa attraverso di Lui.

Se no che cristiani saremmo?

2020-01-12T10:27:29+01:00