Martedì 02 giugno

Settimana dopo Pentecoste – Martedì

Esodo

Es 19, 1-6
Lettura del libro dell’Esodo

In quei giorni. Al terzo mese dall’uscita degli Israeliti dalla terra d’Egitto, nello stesso giorno, essi arrivarono al deserto del Sinai. Levate le tende da Refidìm, giunsero al deserto del Sinai, dove si accamparono; Israele si accampò davanti al monte. Mosè salì verso Dio, e il Signore lo chiamò dal monte, dicendo: «Questo dirai alla casa di Giacobbe e annuncerai agli Israeliti: “Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all’Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatto venire fino a me. Ora, se darete ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me una proprietà particolare tra tutti i popoli; mia infatti è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa”. Queste parole dirai agli Israeliti».

Vorrei che imparassimo tutti a rileggere le scritture di questa settimana alla luce della Parola di Dio che abbiamo ascoltato ieri nella festa di Maria Madre della Chiesa e della Pentecoste che abbiamo celebrato domenica. Questa pagina dell’Esodo è di facilissima comprensione. Dio, che ha liberato il suo popolo dalla dura schiavitù dell’Egitto per opera di Mosè, si presenta non solo come colui che guida il cammino del suo popolo verso la terra della promessa, ma anche come colui che ha separato il “suo” popolo dagli altri popoli della terra, per affidare un compito del tutto speciale e del tutto nuovo: essere, nel mondo e nel tempo, coloro che riveleranno la presenza di Dio nella storia.

Noi comprendiamo il senso spirituale di questa lettura. Ciò che si dice del popolo di Israele, si dice ora della Chiesa, nata da Cristo, termine della storia della salvezza, colui al quale era indirizzata l’opera di Dio nei tempi antichi, perché giungesse al suo compimento.

Vangelo

Lc 12, 35-38
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai discepoli: «Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!».

Non è automatico essere “nazione santa, popolo eletto”. Se, da un lato, c’è l’azione di Dio che così qualifica il suo popolo, dall’altro c’è la responsabilità che viene richiesta a tutti, c’è l’impegno per vivere concretamente questa vocazione che non può essere, in nessun modo, saltato. Questo impegno si concretizza nella virtù della vigilanza. L’elezione da parte di Dio, che è anche separazione rispetto al resto del mondo, non è automatica, ma si alimenta di ciò che l’uomo fa, se l’uomo non fa nulla, perfino questa elezione da parte di Dio non può operare nulla. Se l’uomo corrisponde al dono di salvezza che gli è stato dato, l’elezione può mostrare tutta la sua forza e può diventare pienamente operativa nella storia. Questa vigilanza deve durare sempre, fino alla fine dei tempi. Essere “popolo santo, nazione scelta da Dio”, implica la capacità di guardare sempre al futuro, senza fermarsi, senza stancarsi, continuando ad essere il fedele amico di Dio e sapendo che Dio non delude, ma rimane sempre vicino all’uomo che Egli stesso ha creato, sopportando e superando le sue fatiche e le sue infedeltà.

Il tempo della vigilanza e dell’attesa del ritorno del Padrone a cui tutto appartiene, è anche il tempo dell’impegno, il tempo della risposta generosa della fedeltà operosa. Non è il tempo della stanchezza, né quello del riposo, ma il tempo in cui sperimentare la beatitudine che viene dal sentirsi “servi inutili a tempo pieno”, come diceva mons. Bello in una sua omelia rimasta famosa.

Per noi

Ci diventa difficile, forse, pensare alla Chiesa, alla quale vogliamo pensare e per la quale vogliamo pregare in questi giorni della settimana dopo Pentecoste, in questi termini. Forse pensiamo sempre alla Chiesa nel suo assetto visibile, forse pensiamo alla Chiesa nella sua compagine umana, forse pensiamo alla Chiesa nella sua organizzazione e, quindi, nella sua operatività. Dimentichiamo, molto spesso, la cosa più importante: la chiesa, anche nel suo essere “società visibile che opera nella storia”, è sempre “opera di Dio”, creazione di Dio. La chiesa è sempre radicata nel cuore di Dio, o anche in quello di Maria, come abbiamo meditato ieri. La chiesa, dunque, è veramente quella “nazione e popolo santo” che Dio si è scelto nell’oggi della storia, per continuare ad essere “popolo separato da Dio” rispetto agli altri popoli.

Noi dovremmo guardare alla Chiesa con questa consapevolezza, con questo occhio. Ben sapendo che la chiesa è fatta da uomini, che siamo noi tutti, peccatori tutti allo stesso modo, ma chiamati a cose grandi, chiamati a valori eterni, chiamati ad essere gli alleati di Dio per la sua opera nella storia. È così che dovremmo guardare alla Chiesa, è così che dovremmo imparare ad amarla, a  rispettarla, ad esserne quella parte attiva che sa gioire per le sue vittorie, piangere per le sue sconfitte, compatire le sue debolezze…

Solo così si edificherà la chiesa sempre più unita, sempre più santa. Senza partire da questa considerazione della Chiesa come creazione di Dio, non andremo molto lontani e rischieremo di perdere quell’identità di “popolo santo e nazione separata” che Dio ha scelto e voluto per tutti i tempi.

  • Sono consapevole di questa identità della Chiesa che è la mia identità di cristiano?
  • Collaboro attivamente per edificare questo corpo di Cristo che cammina nella storia?
2020-05-30T09:59:28+02:00