Domenica di Lazzaro
Sulla paura
La paura del demonio, la paura di amare, la paura di Dio, la paura di soffrire, sono il percorso spirituale dal quale proveniamo. Ora, in questa domenica quinta di quaresima, vogliamo soffermarci sulla paura di morire. Paura che ha davvero un richiamo per ciascuno di noi, perché, al pari di quella della sofferenza, è una paura che è da sempre nel cuore dell’uomo e che l’uomo ha cercato di elaborare in diversa maniera. La bibbia ha diverse pagine che parlano di questa paura, tra le quali la pagina centrale di oggi, la pagina di Lazzaro.
La Parola di questa domenica
LETTURA Dt 6, 4a; 26, 5-11
Lettura del libro del Deuteronomio
In quei giorni. Mosè disse: «Ascolta, Israele: tu pronuncerai queste parole davanti al Signore, tuo Dio: “Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi. Ci condusse in questo luogo e ci diede questa terra, dove scorrono latte e miele. Ora, ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato”. Le deporrai davanti al Signore, tuo Dio, e ti prostrerai davanti al Signore, tuo Dio. Gioirai, con il levita e con il forestiero che sarà in mezzo a te, di tutto il bene che il Signore, tuo Dio, avrà dato a te e alla tua famiglia».
SALMO Sal 104 (105)
Lodate il Signore, invocate il suo nome.
Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome,
proclamate fra i popoli le sue opere.
A lui cantate, a lui inneggiate,
meditate tutte le sue meraviglie. R
L’ha stabilita per Giacobbe come decreto,
per Israele come alleanza eterna,
quando disse: «Ti darò il paese di Canaan
come parte della vostra eredità». R
Quando erano in piccolo numero,
pochi e forestieri in quel luogo,
non permise che alcuno li opprimesse
e castigò i re per causa loro:
«Non toccate i miei consacrati,
non fate alcun male ai miei profeti». R
EPISTOLA Rm 1, 18-23a
Lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro. Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute. Essi dunque non hanno alcun motivo di scusa perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno scambiato la gloria del Dio incorruttibile con un’immagine e una figura di uomo corruttibile.
VANGELO Gv 11, 1-53
✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo. Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui». Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!». Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro. Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?». Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare». Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto. Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.
Vangelo – Lazzaro
Anzitutto questa pagina ci mette di fronte alle sorelle di Lazzaro, Marta e Maria. Donne di fede, donne che hanno più volte accolto il Signore e lo hanno servito. Con le loro caratteristiche. Marta è quella che accoglie con i molti servizi; Maria è quella che accoglie la Parola. Ma al di là delle differenze tra sorelle, sono due donne di profonda fede, di profonda capacità di affidarsi a Dio. Eppure, anche queste donne, nonostante la persona del Cristo che avevano incontrato e nonostante la parola condivisa, si trovano spiazzate di fronte alla morte di Lazzaro. “Signore, se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto”, dicono entrambe. Più che un rimprovero, una posizione chiara sul percorso interiore che stanno vivendo. Quel percorso che porta a chiedersi: perché la vita conosce una fine? Perché anche chi ha fede deve scontrarsi con il proprio limite, con la propria finitezza? Domanda profonda, che dice tutta la capacità di riflessione che queste donne hanno e, al tempo stesso, la loro fede. Eppure, queste donne, di fronte alla morte, hanno paura.
Molto differente la figura dei discepoli. Essi sono animati dal vivo desiderio di rimanere con il Maestro. La loro preoccupazione è per come gli eventi si stanno svolgendo. Anch’essi vivono il clima di odio, di divisione che circonda Gesù. Generosi, non vorrebbero mai lasciarlo solo. Ecco perché Tommaso dice ai suoi condiscepoli: “Andiamo anche noi a morire con lui!”. Generosità di cuore che, però, tradisce la superficialità di fronte al mistero della morte. I discepoli, in fondo, non hanno ancora capito bene e quando saranno nelle concrete possibilità di dare la vita per Gesù batteranno in ritirata. La paura non espressa del discepolo emergerà solo nel contesto della passione. La paura delle donne, espressa e affidata al Signore diventa, invece, occasione per sperimentare l’efficacia della sua parola e la potenza di risurrezione che emana da lui.
Ancora una riflessione sulla paura di morire ci è offerta dal sommo Sacerdote, Caifa, che avrà, come abbiamo visto lo scorso anno, un ruolo centrale nella passione del Signore. Caifa sa bene che anche la sua posizione potrebbe sempre essere rovesciata, anche Caifa ha paura che un eventuale intervento dei romani in situazione di tumulto potrebbe anche mettere a repentaglio la sua vita. È per questo che dice, con apparente calcolo politico ma anche cinico: “è meglio che muoia un uomo solo piuttosto che vada in rovina la nazione tutta intera”. Quello di Caifa non è calcolo, non è fine ragionamento politico. È profezia. Egli gode, per via del suo ruolo, di una particolare assistenza dello Spirito Santo e comprende la verità: è il Messia che deve morire per tutti. Preoccupato per la sua sorte, preoccupato per la sua vita, offre una profezia sul morire di Cristo.
Infine l’ultimo grande personaggio è Gesù. Gesù che, come sappiamo bene, soffrirà “tristezza e angoscia” nel contesto della passione, non si preoccupa di sé. Sa bene che non accadrà nulla a Betania. Sa bene che è Gerusalemme il luogo della sua imminente morte. Sa, soprattutto, che non è la sua “ora” quella della rivelazione piena della sua identità e del suo mistero. Nonostante queste cose, Gesù ha paura della morte. Dio è il Dio della vita, Dio è il Dio che crea, che chiama all’esistenza. La morte non appartiene a Dio. Se Cristo l’abbraccia è solo per amore dell’uomo, è solo per portare a compimento il mistero della redenzione. È questa la verità più profonda che emergerà in pieno nella risurrezione. Dio è opposto alla morte e trasforma la morte in aurora di vita eterna.
Deuteronomio
Qualcosa del genere era già stato intuito da Mosè che aveva compreso che la pasqua, il passaggio nel mar rosso, avrebbe avuto a che fare con il passaggio dalla morte alla vita. Vita che ha senso solo in Dio. “Mio padre era un arameo errante”, insegnava a ripetere. Per dire: la vita è un mistero e un dono; la vita viene da Dio; la vita trova senso solo se la viviamo in relazione con Dio. Insegnamento profondissimo di chi rimette la vita nelle mani di Dio quotidianamente. L’esperienza di precarietà dell’Esodo, l’esperienza di finitudine degli uomini che attraversano il deserto, rende Mosè molto consapevole di ciò che è la verità e di ciò che accade al suo popolo.
Romani
Così come anche San Paolo. Il senso della vita e, quindi, il senso del morire, trova senso solo se si illumina la vita e la morte con il mistero di Dio. Al di fuori di questa prospettiva, o meglio quando si vive un allontanamento da Dio, tutti i valori vengono sconvolti e non si ha più quella corretta gerarchia dei valori che illumina ogni cosa. Quando ci si allontana da Dio, i giorni dell’uomo, che sono sempre brevi, diventano un concreto ripiegarsi su se stessi. È allora che si ha bisogno di idoli, con qualsiasi nome possiamo chiamarli. È allora che ci si rifugia in quelle esperienze che devono essere sensibilmente, emotivamente, molto appaganti, perché devono supplire l’assenza di Dio. Ma in questa prospettiva l’essere di ogni uomo diventa solo un essere per la morte, unica certezza del futuro. La prospettiva cristiana non è questa. È quella di chi si affida a Dio, anche nella sua paura di morire, perché sa di trovare pieno senso in quel mistero che ha donato l’esistenza e, in essa, ogni altra cosa.
La paura di morire
Credo che la paura di morire sia, come dicevo, presente in tutti noi. Questa paura non riguarda tanto l’atto del morire, che, prima o poi, capita a tutti e credo che tutti ne siamo consci: nessuno, per quanto possa desiderare o volere, ha una vita illimitata. Piuttosto credo che la paura che abbiamo nel cuore sia quella legata al “modo” con cui moriremo. Qui dipende moltissimo anche da quale esperienza del morire di altri ha segnato la nostra vita e potrebbe anche essere che la censura del pensiero della morte ci abbia portato altrove quando un nostro caro è mancato, sicché potrebbe anche essere che non abbiamo mai visto morire una persona. Io ritengo, per la diversa esperienza che posso essermi fatti, che la vera paura di tutti sia quella di morire soli. Paura che si trasforma, per molti, in rimpianto quando, per condizioni indipendenti dalla nostra volontà, non riusciamo ad essere presenti nel momento del trapasso di un nostro caro. È la storia che ho sentito spesso in questi anni di Covid, percependo il reale e profondo dolore di chi non ha potuto essere lì nel momento supremo della vita. Perché la morte è il momento supremo di ogni esistenza e dal modo di morire si capisce anche come uno ha vissuto.
Noi e la paura di morire
Come si esce dalla paura di morire? Credo che ci si sia un modo solo:
- Non censurando il pensiero della morte, né nostro né dei nostri cari;
- Desiderando di essere presenti nel momento della morte dei nostri cari ma anche desiderando che qualcuno potrà essere con noi quando sarà il nostro momento;
- Pregando Maria, alla quale chiediamo di pregare per noi “nell’ora della nostra morte”.
Inoltre credo sia doveroso ricordare che la nostra fede si fonda tutta sulla risurrezione del Signore, cioè sul suo passaggio dalla morte alla vita. Credere nella risurrezione di Cristo chiede poi a noi di credere alla nostra risurrezione. La morte, quindi, è la fine del tempo presente, ma non dell’esistenza in Dio.
- Che fine ha fatto, in noi, questa prospettiva?
- Cosa significa per noi prepararci a celebrare la Pasqua?
Se la Pasqua, ormai imminente, non è solo un modo per vivere un rito, se la Pasqua non è solo una celebrazione, se la Pasqua non è solo una parola, ma è l’essere immersi nella morte e risurrezione di Cristo, che paura dovrebbe farci la morte? Forse, a preoccuparci, dovrebbero essere solo le condizioni del morire. Scriveva ancora il cardinale Martini: “ho paura non della morte in sé ma dell’atto del morire, del trapasso e di tutto ciò che lo precede. Paura di perdere il controllo del corpo e di morire soffocato. Entrare nell’oscurità fa sempre un po’ paura. Mi auguro che possa esserci qualcuno vicino a me a tenermi la mano”. Forse, se avremo qualcuno che ci terrà la mano, avremo un po’ meno paura di morire. Ed è per questo che, adesso, dobbiamo prepararci noi a tenere la mano di qualcuno.