Giovedì 04 novembre

Settimana della 2 domenica dopo la dedicazione – Giovedì – S. Carlo Borromeo

Vangelo

Gv 10, 11-15
✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo. Diceva il Signore Gesù ai farisei: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore».

Efesini

Ef 4, 1b-7. 11-13
Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini

Fratelli, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti. A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo.

Lettura agiografica

Vita di san Carlo Borromeo, vescovo

Carlo nacque ad Arona il 2 ottobre 1538 dalla nobile famiglia Borromeo. Per le consuetudini dell’alta società del tempo, poiché era secondogenito, fu associato fin dalla fanciullezza allo stato clericale. Quando lo zio materno venne eletto papa con il nome di Pio IV, Carlo fu subito chiamato a Roma come il primo e più stretto collaboratore del pontefice. All’età di 22 anni ricevette la porpora cardinalizia, con l’incarico di sovrintendere agli affari più importanti della Chiesa. Poco dopo fu nominato amministratore apostolico della diocesi di Milano, senza obbligo di residenza. Si impegnò coscienziosamente nel suo lavoro, soprattutto nell’ultimo periodo del Concilio di Trento e nella sua delicata fase conclusiva. Avvertì allora sempre più vivo il richiamo a una dedicazione più generosa al Signore. Gli incontri, le letture, le relazioni con personalità impegnate per la restaurazione della vita cristiana tracciarono il cammino verso una totale dedizione al ministero pastorale. Chiese di ricevere l’ordinazione sacerdotale, che gli fu conferita il 17 luglio 1563; e il 7 dicembre dello stesso anno, nel giorno dell’ordinazione di sant’Ambrogio, si fece consacrare vescovo. Ritenendosi, in forza dell’ordinazione, arcivescovo di Milano a tutti gli effetti, presentò al papa il 25 gennaio 1564 la richiesta del pallio: in realtà la nomina canonica ad arcivescovo gli giunse soltanto nel maggio di quello stesso anno. In obbedienza ai decreti del Concilio di Trento, decise di lasciare Roma e di trasferirsi a Milano per dimorare in mezzo al gregge che gli era stato affidato. Si consacrò totalmente al ministero episcopale, dando a tutti esempio di intensa preghiera, di ammirevole impegno pastorale, di austera penitenza. Attese con straordinaria energia all’opera della riforma, celebrando diversi concili provinciali e numerosi sinodi, visitando con assiduità la sua vasta arcidiocesi, istituendo i seminari per la formazione del clero, riconducendo le famiglie religiose alla giusta disciplina. Lasciò vari scritti, utili soprattutto ai vescovi per ben governare, e promosse la redazione del Catechismo dei parroci. Uomo di grande costanza e personalmente schivo, difese con fermezza i diritti e la libertà della Chiesa. Durante la peste organizzò l’assistenza ai malati e curò personalmente l’amministrazione dei sacramenti, giungendo a spogliare delle suppellettili la sua casa per dare sollievo all’indigenza. Mentre si trovava nella solitudine del Sacro Monte di Varallo per trascorrere alcuni giorni in profonda meditazione della passione di Cristo, fu assalito dalla febbre. Tornato a Milano, il male si aggravò: con gli occhi fissi al Crocifisso, morì il 3 novembre 1584. L’1 novembre 1610 papa Paolo V lo iscrisse nell’albo dei santi. Onore e gloria al Signore nostro Gesù Cristo, che regna nei secoli dei secoli.
Amen.

San carlo

È costante, nella nostra Chiesa, il tributo di onore e di gloria per San Carlo, il pastore che ha così profondamente inciso sulla vita della nostra Diocesi da essere venerato con ogni onore, come Sant’Ambrogio, il patrono principale della nostra Chiesa. Se è così è perché San Carlo è stato segno e profezia per il suo tempo e per tutti i tempi. Per che cosa è stato segno? Di che cosa è stato profezia?

L’amore per il popolo di Dio

In un tempo in cui era chiaro che i pastori, specie se cardinali, vivevano lontano dalle loro diocesi – preferibilmente erano a Roma, per essere alla corte del Papa – San Carlo ha voluto essere segno della vicinanza al suo popolo, segno della predilezione per la residenzialità del clero, segno di condivisione, in tutto e per tutto, con il popolo di Dio di tutto ciò che capita nella storia. San Carlo è stato tra i primi a mettere in pratica i dettami del Concilio di Trento e, per questo, è stato segno di un tempo nuovo, un segno di una Chiesa nuova, un segno di come Dio parla sempre al suo popolo. In questo egli è stato anche profeta, perché ha saputo richiamare agli altri vescovi la verità insegnata dal Concilio ed ha saputo far brillare una disciplina prima sconosciuta. Ecco il primo segno e profezia di San Carlo.

L’amore per la chiesa universale

San Carlo è stato un grande costruttore di chiese. È stato anche un uomo che ha voluto mettere i “sacri monti” a difesa della fede lombarda contro le invasioni protestanti che arrivavano dal nord. Un uomo che, con zelo, con passione, ha cercato di spiegare ai fedeli quale amore dovessero nutrire per la Santa Chiesa. Se San Carlo ha fatto questo è perché ha molto amato la Chiesa, lui per primo. La Chiesa di San Carlo non dava grande immagine di sé: erano tempi di corruzione, tempi di licenze, tempi in cui il clero non brillava per dottrina e santità. San Carlo ha amato questa Chiesa concreta che aveva dinnanzi a sé, ma ha voluto trarre qualche insegnamento ulteriore per il suo tempo ed ha promosso un’immagine diversa di Chiesa. Una Chiesa santa, una Chiesa forte, una Chiesa coesa. Con molti metodi, con diverse iniziative, con molti richiami paterni, ha promosso una Chiesa unita, seria, piena di zelo, coesa… l’amore che San Carlo nutrì per la Chiesa non si limitava certo alla Chiesa particolare, ma si dilatava alla Chiesa universale. Lui che aveva partecipato ad un Concilio, Lui che aveva collaborato con il Papa suo zio per il bene delle anime, sapeva bene che c’era molto terreno da recuperare. Il protestantesimo aveva inferto una ferita profonda, ma Carlo sapeva bene che Dio protegge e cura la sua Chiesa e, per questo, per lei si spese in modo indefesso. Anche di questo Carlo è stato segno e profezia.

Il servizio ai poveri

In un secolo funestato dalla peste, dalla pandemia, San Carlo non è stato con le mani in mano, né si è ritirato in qualche luogo più sicuro dal contagio. Stando a Milano, che non abbandonò mai, ha saputo organizzare le forze per sostenere i poveri, curare i malati, sostenere gli orfani numerosissimi in quel tempo, dando così prova della sua fede operosa. Così San Carlo ha insegnato a fare agli altri, perché ciascuno si sentisse in grado di sostenere la propria Chiesa, il proprio territorio, il povero che abita nella propria città, il malato della porta accanto. San Carlo è stato, per il suo tempo, segno e profezia di realtà che, se oggi sono patrimonio quasi scontato della Chiesa, hanno avuto con lui un inizio. Anche di questo Carlo è stato segno e profezia.

L’amore per il clero

Il vero “amore” di San Carlo furono però i sacerdoti e la cura per la formazione dei sacerdoti. È proprio a Milano che nacque uno dei primissimi seminari, luoghi adatti alla formazione dei futuri sacerdoti. È proprio per loro che San Carlo ebbe le parole più belle, ben sapendo che dalla qualità del suo clero, sarebbe dipesa la vita spirituale di tutta la sua Chiesa. San Carlo organizzò e curò con particolare amore il suo clero, spendendosi sempre per esso. Anche in questo San Carlo fu segno e profezia per la Chiesa. Vescovi ed educatori venivano anche da lontano per ammirare il suo modello. Quel modello grazie al quale la Chiesa di Milano è quello che è oggi. Con il contributo di tanti, che, nel solco di Carlo, avrebbero dato poi testimonianza di amore e di vitalità per questa Chiesa.

Per noi

Anche noi che oggi festeggiamo questo nostro glorioso pastore, dobbiamo imparare ad essere segno e profezia per le medesime cose. Anche noi non siamo in un’epoca in cui la Chiesa brilla di luce propria, anche noi veniamo da anni di stanchezza del giovane clero e di formazione difficoltosa dei nuovi sacerdoti; anche noi viviamo in un tempo in cui la formazione dei giovani preti non è affatto semplice, né scontata, né pura eredità da conservare. Eppure, anche nel nostro tempo, noi e la nostra Chiesa possiamo essere segno e profezia di tutte queste cose. Segno e profezia dell’amore per la Chiesa universale, segno e profezia della formazione del clero, con la quale possiamo anche collaborare secondo quello che a ciascuno è permesso, segno e profezia della vicinanza al povero, al malato, all’emarginato…

Credo che sia davvero grande il richiamo che San Carlo rivolge a ciascuno di noi. Al copatrono della nostra Chiesa chiediamo aiuto, perché sappiamo essere anche noi segno e profezia per il mondo di quanto la Chiesa può ancora donare all’uomo.

2021-10-29T11:36:31+02:00