Mercoledì 05 Febbraio

Meditiamo insieme le Scritture.

Siracide

Sir 40, 1-8a
Lettura del libro del Siracide

Grandi pene sono destinate a ogni uomo e un giogo pesante sta sui figli di Adamo, dal giorno della loro uscita dal grembo materno fino al giorno del ritorno alla madre di tutti. Il pensiero dell’attesa e il giorno della fine provocano le loro riflessioni e il timore del cuore. Da chi siede su un trono glorioso fino a chi è umiliato su terra e su cenere, da chi indossa porpora e corona fino a chi è ricoperto di panno grossolano, non c’è che sdegno, invidia, spavento, agitazione, paura della morte, contese e liti. Anche durante il riposo nel letto il sogno notturno turba i suoi pensieri: per un poco, come niente, sta nel riposo e subito nel sonno si affatica come di giorno, è sconvolto dalla visione del suo cuore, come chi è scampato da una battaglia. Al momento di mettersi in salvo si sveglia, meravigliandosi dell’irreale timore. Così è per ogni essere vivente.

Ce lo dice, anzitutto, l’esperienza: molti uomini, e forse anche noi, abbiamo paura di morire. Forse non tanto del morire in sé, che, prima o poi, sarà inevitabile! Quanto piuttosto delle condizioni che portano alla morte, del dolore che magari la preannuncia, della malattia, del perdere l’autonomia e le altre facoltà delle quali siamo in possesso. Il sapiente sa bene che sia l’uomo comune, sia quello istruito, sia il ricco… tutti passano del tempo pensando alla morte e tutti possono provare questo genere di affanno. Certo, poi dipende anche dal carattere della persona. C’è chi perde il sonno in queste cose e chi, invece, vive tranquillo solo non pensandoci, non pensando al fatto che la vita è un più o meno lento cammino verso la morte, che coinvolge ogni uomo. Il sapiente non ha solo questa esperienza umana da proporci, ma ha anche una riflessione di fede. Per il credente la vita dell’uomo non è solo un lento giungere alla fine, ma è un progressivo affidarsi alle mani di Dio, da cui proviene ogni vita e al quale ritorna ogni esistenza.

Vangelo

Mc 6, 30-34
✠ Lettura del Vangelo secondo Marco

In quel tempo. Gli apostoli si riunirono attorno al Signore Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

Può capirlo molto bene solo chi ha fiducia in Dio, solo chi sa “riposare” nel Signore, fidandosi della sua parola e della sua presenza, come i discepoli, come chi ha deciso di seguire il Signore, come chi trova in Lui la sua ragione di vivere, fino quasi a “non avere tempo nemmeno per mangiare!”. Solo chi si affida a Dio vince la morte. Solo chi ama come ama Cristo vince la morte. Non perché la eviti, dal momento che a nessuno è concesso questo. Piuttosto chi ama fa fiorire la sua vita in Dio e, questo, diventa occasione per rendere piena la propria esistenza.

Gesù non solo dà il suo esempio a tutti, ma vorrebbe anche che tutti potessero giungere a questa sapienza di vita. Molti uomini sono come “pecore senza pastore”, cioè uomini soli che non hanno criterio per pensare alla verità delle cose. È questa la grande povertà dell’uomo che Cristo cerca di sanare. Chi si lascia radunare da lui ottiene quella sapienza di vita che, sola, può guarire la vita dell’uomo dall’ansia e dall’affanno. Anche di fronte alla morte.

Per Noi

Noi non dobbiamo essere come pecore senza pastore! Noi possiamo essere tutti uomini e donne che, rivolgendosi all’unico Pastore, sanno bene come vivere la vita e come farla fiorire in Cristo, spendendosi, ogni giorno, in quelle molteplici forme dell’amore, che rendono piena un’esistenza. La nostra istruzione di fede, la nostra preghiera, il nostro ascolto della Parola di salvezza, corrispondono un po’ a quelle esperienze di “riposo” che il Signore faceva fare a chi lo seguiva. Sorretti da questo incontro con Cristo e sorretti dalla fiducia nella sua Parola, anche noi non dovremmo correre il rischio di rimanere disperati e sfiduciati di fronte alla morte. Ciò che noi sappiamo, ciò che noi consociamo perché rivelato da Cristo, dovrebbe essere già sufficiente per non cadere in quella dimensione di ansia che rovina l’esistenza.

  • Mi sento come una “pecora” amata dal Pastore e mi affido alla Parola della sua rivelazione?
  • Temo il morire o so che esso sarà il fine della mia esistenza e la mia gioia nel vedere, finalmente, il volto di Dio?

Sant’Agata, la santa che festeggiamo oggi, ha ben compreso tutte queste cose. Il bene da lei seminato – Agata vuol dire “buona” – è ciò che le ha permesso di vivere questa esistenza continuamente guardando al cielo e avendo presente come dare senso anche alle fatiche della sua esistenza donandosi nell’amore ma mantenendo saldi i valori della sua fede. È per questa professione di fede, è per questo sapersi spendere per le cose buone, che Agata è diventata santa!

È così che possiamo fare anche noi per non perdere il senso di questa esistenza, per non temere la morte, ma per vincerla nel nome di Colui che tutto può! Anche vincere la morte!

2020-01-31T19:32:05+01:00