Domenica 05 luglio

Settimana della quinta domenica dopo Pentecoste – Domenica

Siamo disponibili ad interpretare la nostra vita con fede? Perché non è detto né scontato che lo siamo, anche se siamo qui a celebrare la nostra Messa!

Vangelo

Lc 9, 57-62
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca

In quel tempo. Mentre camminavano per la strada, un tale disse al Signore Gesù: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio».

Genesi

Gen 11, 31. 32b – 12, 5b
Lettura del libro della Genesi

In quei giorni. Terach prese Abram, suo figlio, e Lot, figlio di Aran, figlio cioè di suo figlio, e Sarài sua nuora, moglie di Abram suo figlio, e uscì con loro da Ur dei Caldei per andare nella terra di Canaan. Arrivarono fino a Carran e vi si stabilirono.
Terach morì a Carran. Il Signore disse ad Abram: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò, e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra». Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot. Abram aveva settantacinque anni quando lasciò Carran. Abram prese la moglie Sarài e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che avevano acquistati in Carran e tutte le persone che lì si erano procurate e si incamminarono verso la terra di Canaan.

Ebrei

Eb 11, 1-2. 8-16b
Lettera agli Ebrei

Fratelli, la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio. Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso. Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare. Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra. Chi parla così, mostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio.

Vangelo

A dirlo sono i tre personaggi del Vangelo. la lettura ci lascia stupiti, perché a tre persone generose che si rendono disponibili per seguire Gesù sembra quasi che trovino la porta chiusa.

Il primo, quel tale che si presenta a Gesù dicendo: “ti seguirò dovunque tu vada”. Una proposta seria, una disponibilità certa. Gesù obietta: “le volpe hanno le loro tane, ma il figlio dell’uomo non ha dive posare il capo”. Come dire: tutti cercano una vita piena di sicurezze, la vita di fede, al contrario, apre all’insicurezza, perché chiede di mettere la propria fiducia in Dio, senza cercare sicurezze per le cose di ogni giorno.

Il secondo, alla proposta di Gesù che quasi impone un secco “seguimi!”, risponde: “permettimi prima di andare a seppellire mio padre”, che sembra una cosa giusta, doverosa, dovuta alla pietà cristiana. Tra l’altro aveva fatto così Eliseo, il grande profeta dell’Antico testamento. Quest’uomo di fede si sente dire: “lascia che i morti seppelliscano i loro morti”, che noi potremmo tradurre così: non rimanere schiavo delle abitudini della tua famiglia, non rimanere sottomesso ad un costume che ha qualcosa di buono, ma, se ti rende schiavo, cancella al sua bontà. È un invito a coltivare al libertà interiore, al di là dei conformismi.

Anche al terzo non va meglio, perché si sente dire: “nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno dei cieli”. Il riferimento, in questo caso, è a chi ha il culto della propria persona, a chi pensa che tutto si debba riferire a sé, a chi pensa di dover prima soddisfare se stesso, le proprie esigenze, le proprie ambizioni, il proprio desiderio di una vita riuscita, la propria carriera…

Tre casi diversi nei quali il Signore dice che per una vita di fede che sia realmente tale, occorre libertà dalle proprie sicurezze, libertà dalle tradizioni opprimenti, libertà dal culto di sé stessi. Tre condizioni precise che ci fanno domandare: ma chi può averle? Chi può vivere una vita di fede fatta di queste sottolineature e realtà?

Genesi

Le risposte della scrittura sono due. La prima, quella del libro della Genesi, è la presentazione di un uomo, il primo amico di Dio, l’origine stessa del popolo ebraico: Abramo. È una risposta storica. Abramo non ha considerato importante il suo modo di vivere, non è rimasto succube e schiavo delle tradizioni della sua tribù, non ah cercato di corrispondere a quella vita tranquilla che gli sarebbe stata tranquillamente possibile grazie ai suoi molti beni. Abramo si è messo in cammino, ha lasciato la sua terra, ha lasciato le sue sicurezze, si è fatto carico della sua famiglia ma senza rimanere schiavo delle tradizioni e, proprio per questo suo modo di fare, ha trovato la piena realizzazione della sua esistenza. In tutto questo Abramo non solo realizza la sua esistenza, ma diventa prototipo del credente, modello di chi vuole corrispondere alla propria chiamata. Come dice la lettera agli Ebrei, egli è il padre nella fede di ciascun credente, il modello di ogni uomo che mette la propria vita nelle mani di Dio.

Ebrei

La seconda risposta è quella che viene dalla lettera agli Ebrei ed è una risposta generale. Se Abramo è l’incarnazione di ciò che avrebbe poi esplicitato Gesù nella sua predicazione, l’autore della lettera agli Ebrei, pur richiamandosi ad Abramo, dice quali sono le condizioni generali per avere una fede come quella di Abramo. La condizione è una sola: avere speranza nella vita eterna. Si libera da ogni senso di sicurezza, da ogni tradizione che rischia di essere schiavizzante, da ogni culto della propria personalità, chi sa che la vita non è solo quella nel tempo, non è solo quella visibile, non è solo quella tangibile che stiamo conducendo in questa esistenza, ma quella eterna. “Chi parla così mostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità di tornarvi; ora essi aspirano ad una patria migliore, cioè quella celeste. Per questo Dio non si vergogna di essere chiamato il loro Dio”. Abramo, ma anche i suoi patriarchi successori, Isacco e Giacobbe, furono tutti assorbiti dall’interesse di una patria celeste, verso al quale si ritenevano in cammino e alla quale anelavano. Per questo non considerarono un peso le continue migrazioni con tutta la tribù e ogni altra avversità che dovettero affrontare, sapevano bene che tutto era diretto al possesso della vita eterna, per la quale valeva la pena di sopportare ogni fatica dell’anima e del corpo. Ecco chi rispetta le tre condizioni di fede di Abramo: chi, come il patriarca, vive nella speranza della vita eterna e non confina i suoi giorni dentro lo spazio angusto del tempo.

Per noi

Le scritture sono davvero molto provocatorie per ciascuno di noi, perché anche noi che siamo qui per un motivo di fede potremmo chiederci:

  • Davvero io non cerco sicurezze?
  • Davvero sono libero da tutte le tradizioni che rischiamo di schiavizzarmi?
  • Davvero non vivo il culto della mia persona?

In realtà credo che tutti potremmo dire il contrario! Tutti noi cerchiamo sicurezze, che sono quelle economiche, che sono quelle della salute, che sono quelle degli affetti. Non è forse vero che noi ci sentiamo al sicuro quando queste tre realtà sono sotto controllo?

Come pure potremmo dire che tutti noi abbiamo un forte senso della tradizione familiare. Tutti noi abbiamo abitudini, modi di fare, modi di vivere che abbiamo acquisito dalla nostra famiglia e che, a nostra volta, cerchiamo di trasmettere a chi viene dopo di noi. Non è che la cosa sia, di per sé, un errore. Lo diventa quando questa tradizione diventa ciò che vuole sottomettere ogni altra cosa. È un errore pensare che la tradizioni dei padri da rispettare diventino ostacolo per la vita di fede.

Soprattutto credo che tutti ci teniamo alla nostra persona, al buon nome di cui godiamo, alla stima che abbiamo guadagnato, magari anche con le nostre famiglie, nel paese in cui viviamo, o nel luogo di lavoro, o tra le relazioni ed amicizie.

Noi siamo proprio così: gente che vuole vivere le sue sicurezze, che si trova bene nella cura di una certa tradizione, che ha un’alta stima di sé. Ma siamo proprio sicuri che la fede ci chieda questo?

In realtà, nel tempo in cui viviamo, in un contesto culturale dove al Chiesa diventa sempre più marginale, il numero di fedeli si assottiglia e rischiamo di venire travolti da un mondo dove contano solo apparenza ed emozione, la speranza cristiana potrebbe essere proprio la “carta” da giocare per ribadire, ancora una volta, la diversità del credente e la sua “estraneità”, per così dire, al mondo.

Il vero cuore della fede cristiana che dovremmo tutti testimoniare, è la speranza della vita eterna. Se coltiviamo questa speranza nel cuore, se questo vuole essere il desiderio ultimo della vita, quello fondamentale attorno al quale far ruotare ogni cosa, allora capite che tutto acquista un senso, ma anche un peso diverso. Noi siamo chiamati a fare questo, e non è più difficile di quanto fece Abramo nel suo tempo! Ad un uomo che ha perso il senso del trascendente e che ha smarrito il gusto per le cose di dio, il cristiano di oggi è chiamato a riproporre il senso delle cose ultime e la speranza della vita eterna, senza la quale, tutti saremmo da compiangere più di ogni altro uomo. La lettera agli Ebrei ci ha detto chiaro che Abramo e i patriarchi pensavano ad una “vita migliore”. Fu questo che li spinse a tutte quelle scelte di vita che fecero. E noi? Non è forse vero che, se non siamo capaci di compiere grandi scelte significative, è perché abbiamo perso questa speranza? Non è forse vero che se anche noi abbiamo perso il gusto della vita è perché confiniamo tutto nel tempo presente e non pensiamo alla vita eterna? Non è forse vero che avendo perso il senso ultimo delle cose, perdiamo anche l’orizzonte di senso nel quale collocare le scelte di una vita, specie quelle che riguardano quegli stadi fondamentali della vita che sono le scelte definitive?

Se vogliamo fare come Abramo, se volgiamo essere gente che segue il Signore, se vogliamo essere gente che tiene viva la fede, cerchiamo di fare questo! Cerchiamo di testimoniare quella speranza di vita eterna che rende vera, rende bella, rende piena l’esistenza di ciascuno di noi!

Non sono le tradizioni vuote ma tenute in piedi a forza di sforzi a dire la bellezza della nostra fede, ma il desiderio di vita eterna, nel quale trovano senso anche le tradizioni dalle quali proveniamo. Vogliamo che la fede abbia un futuro? Vogliamo che il cristianesimo sia ancora una luce, una guida, un punto di riferimento per molti? Coltiviamo la speranza della vita eterna. Ciò basterà per farci essere sempre attraenti, capaci di destare l’interesse degli uomini. Solo chi ha la vita eterna nel cuore, solo chi vive per introdursi nel mistero di Dio vive quella tranquillità, quella felicità, quell’essere a psoto in tutte le cose della vita che tutti desiderano ma che pochi raggiungono. Auguriamoci di essere noi nel numero di chi possiede queste realtà che sono, alla fine, quelle che dicono quanto una vita è piena e riuscita.

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2020-07-03T10:02:27+02:00