Giovedì 05 agosto

Settimana della 10 domenica dopo Pentecoste – Giovedì

Vangelo

Lc 11, 37-44
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca

In quel tempo. Mentre il Signore Gesù stava parlando, un fariseo lo invitò a pranzo. Egli andò e si mise a tavola. Il fariseo vide e si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo. Allora il Signore gli disse: «Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria. Stolti! Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno? Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro. Ma guai a voi, farisei, che pagate la decima sulla menta, sulla ruta e su tutte le erbe, e lasciate da parte la giustizia e l’amore di Dio. Queste invece erano le cose da fare, senza trascurare quelle. Guai a voi, farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze. Guai a voi, perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo».

La dicitura “sepolcro imbiancato”, anche nel nostro linguaggio comune, ritrae un uomo, una donna dal cuore doppio; un uomo o una donna di cui non ci si può fidare; un uomo o una donna che non hanno rispetto per niente, nemmeno per i morti. Camminare sulle tombe era considerato un atto di spregio per la persona. Oggi non badiamo affatto a queste cose e può essere capitato anche a noi, specie in una visita alle grandi chiese artistiche del nostro territorio nazionale, di camminare sulle tombe di qualcuno del passato senza nemmeno badarci!

Così come non siamo certo presi dalle “abluzioni”, cioè dal compiere quei gesti che sono un rispetto per le realtà sacre. Certo, al tempo di Gesù erano diventate un gesto formale, rituale, senza più un vero e proprio significato spirituale ma solo gesti e norme della tradizione. Nella loro origine però, questi gesti avevano il sapore di un rispetto di Dio e delle cose di Dio. Un sapore unico, perché chi rispetta le cose di Dio, impara a rispettare Dio stesso.

È per questo che Gesù non sgrida i discepoli che non compiono quei gesti. Privi della loro anima, quei gesti non hanno più nulla da esprimere. Gesù stesso sta provvedendo all’educazione del discepolo perché impari a rispettare Dio e le cose di Dio, ma con uno spirito nuovo che non sia solo il gusto della tradizione che genera solo cuori aridi e chiusi in sé stessi.

Il rispetto per Dio si impara soprattutto non ambendo al primo posto. Quando uno non ambisce ad apparire, ecco che ha già imparato il rispetto di Dio che viene come servitore e per farsi piccolo. Più uno ambisce alle cose grandi, meno impara a rispettare Dio e tutte le “sue” cose. Dio, che si fa piccolo, chiede di imparare da questo suo abbassamento e chiede all’uomo di adottare questa sapienza di vita. È questa che rende davvero grandi davanti a Dio.

Re

1Re 11, 41 – 12, 1-2. 20-25a
Lettura del primo libro dei Re

Le altre gesta di Salomone, tutte le sue azioni e la sua sapienza, non sono forse descritte nel libro delle gesta di Salomone? Il tempo in cui Salomone aveva regnato a Gerusalemme su tutto Israele fu di quarant’anni. Salomone si addormentò con i suoi padri e fu sepolto nella Città di Davide, suo padre; al suo posto divenne re suo figlio Roboamo. Roboamo andò a Sichem, perché tutto Israele era convenuto a Sichem per proclamarlo re. Quando lo seppe, Geroboamo, figlio di Nebat, che era ancora in Egitto, dove era fuggito per paura del re Salomone, tornò dall’Egitto. Quando tutto Israele seppe che era tornato Geroboamo, lo mandò a chiamare perché partecipasse all’assemblea; lo proclamarono re di tutto Israele. Nessuno seguì la casa di Davide, se non la tribù di Giuda. Roboamo, giunto a Gerusalemme, convocò tutta la casa di Giuda e la tribù di Beniamino, centottantamila guerrieri scelti, per combattere contro la casa d’Israele e per restituire il regno a Roboamo, figlio di Salomone. La parola di Dio fu rivolta a Semaià, uomo di Dio: «Riferisci a Roboamo, figlio di Salomone, re di Giuda, a tutta la casa di Giuda e di Beniamino e al resto del popolo: Così dice il Signore: “Non salite a combattere contro i vostri fratelli israeliti; ognuno torni a casa, perché questo fatto è dipeso da me”». Ascoltarono la parola del Signore e tornarono indietro, come il Signore aveva ordinato. Geroboamo fortificò Sichem sulle montagne di Èfraim e vi pose la sua residenza.

La prima lettura, di per sé, era una grande spiegazione e giustificazione di quell’odio atavico che oppone samaritani e giudei. Dopo Salomone non c’è stata più unità nazionale. Il regno si è spaccato. Nessuno si è più riconosciuto con la tribù di Giuda, che ha proseguito il proprio cammino in modo solitario, a differenza delle altre tribù che si sono unite nel regno con capitale Samaria. Poiché l’identità nazionale e l’unità erano date soprattutto dalla fede, ecco la costruzione di molteplici templi in Samaria, per evitare che si salga a Gerusalemme. Politicamente è una strategia molto forte: si vuole evitare che, salendo alla città santa, si possa rimanere, in qualche modo, affezionati alle cose del “passato” politico, ma, così facendo, si perde anche quella unità della fede che spiega poi tanti fatti del Vangelo. La divisione, peggio l’opposizione, non vengono mai da Dio, ma sono sempre frutto del demonio, il grande divisore. Dio interverrà anche in questa situazione per ricondurre il cuore dei figli verso il Padre perché, come ci diceva anche la liturgia dell’altro giorno, Dio rimane fedele alla sua alleanza e al suo popolo.

Per noi

  • Con che cosa abbiamo sostituito la sapienza di fede che avevano i nostri padri?
  • Con che cosa abbiamo sostituito quello splendore della fede che ha caratterizzato le generazioni che ci hanno preceduto?

Ho l’impressione che, avendo tolto valore a molte cose della tradizione, alla fine, abbiamo cancellato anche il pensiero di Dio. Non che occorra recuperarle, adesso! Ma occorre trovare un modo per esprimere il nostro senso religioso, il nostro senso di fede. Occorre una via per recuperare il senso di Dio e per dare senso a ciò che viviamo, facciamo, proponiamo nella nostra vita. Non vivere questo significa proprio allontanarci da Dio in ogni modo, senza avere nulla che ci richiama alla Verità. Cerchiamo di stare sempre molto attenti a togliere il valore ai segni della fede. Potrebbe davvero essere che, non vivendo più questi segni, perdiamo anche il senso del credere. Ma quando si perde la fede, che senso ha la vita? Senza una meta finale – quella dell’incontro con Dio – che senso hanno i giorni dell’uomo?

2021-08-01T16:25:19+02:00