Settimana della 2 domenica dopo la dedicazione – Giovedì
Vangelo
Gv 8, 28-30
✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite». A queste sue parole, molti credettero in lui.
Questi due ultimi giorni della settimana ci aiutano a riprendere il lezionario feriale che abbiamo interrotto a causa delle feste e ci aiutano continuare quella serie di riflessioni sulla sapienza della condivisione e del non abbandono che San Carlo ha incarnato. Anzitutto il Vangelo. Gesù stesso mostra che la sapienza della condivisione è quella che governa perfino nella Trinità. “io non faccio nulla da me stesso ma parlo come il Padre mi ha insegnato”. È quella sapienza divina che si esprime nella condivisione totale di ogni realtà. Gesù viene come rivelatore del Padre e tutto il suo ministero altro non è che il lasciar trasparire dalle sue parole, dai suoi gesti, dai suoi miracoli, che Dio Padre è vicino all’uomo, sostiene il suo impegno, perdona le sue fragilità. Gesù viene a condividere la vita degli uomini perché da questa condivisione della vita e delle esperienze umane nasca quella condivisione delle esperienze e delle cose di Dio che edificano l’uomo. Gesù non lascia soli gli uomini e Dio Padre non lascia mai solo Gesù. È questa l’ottica di una duplice sapienza che non delude.
In questo vediamo una perfetta continuità con quello che San Carlo ci ha insegnato. San Carlo ha attinto dalla meditazione sui sacri testi quello stile di condivisione che, poi, ha tradotto in comportamento episcopale saggio e fecondo.
Apocalisse
Ap 18, 21 – 19, 5
Lettura del libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo
In quel giorno. Un angelo possente prese una pietra, grande come una màcina, e la gettò nel mare esclamando: «Con questa violenza sarà distrutta Babilonia, la grande città, e nessuno più la troverà. Il suono dei musicisti, dei suonatori di cetra, di flauto e di tromba, non si udrà più in te; ogni artigiano di qualsiasi mestiere non si troverà più in te; il rumore della màcina non si udrà più in te; la luce della lampada non brillerà più in te; la voce dello sposo e della sposa non si udrà più in te. Perché i tuoi mercanti erano i grandi della terra e tutte le nazioni dalle tue droghe furono sedotte. In essa fu trovato il sangue di profeti e di santi e di quanti furono uccisi sulla terra». Dopo questo, udii come una voce potente di folla immensa nel cielo che diceva: «Alleluia! Salvezza, gloria e potenza sono del nostro Dio, perché veri e giusti sono i suoi giudizi. Egli ha condannato la grande prostituta che corrompeva la terra con la sua prostituzione, vendicando su di lei il sangue dei suoi servi!». E per la seconda volta dissero: «Alleluia! Il suo fumo sale nei secoli dei secoli!». Allora i ventiquattro anziani e i quattro esseri viventi si prostrarono e adorarono Dio, seduto sul trono, dicendo: «Amen, alleluia». Dal trono venne una voce che diceva: «Lodate il nostro Dio, voi tutti, suoi servi, voi che lo temete, piccoli e grandi!».
L’Apocalisse, nell’ambito delle visioni di Giovanni, ci mostra la visione della caduta di Babilonia. Ovviamente è un testo fortemente simbolico che riesce a dire come il potere del male che governa presso gli uomini, non ha mai la meglio. Anche per il più iniquo dei male che affligge il mondo c’è un limite, c’è un tempo fissato, c’è una fine. Solo il mistero di Dio dura in eterno, solo le opere dell’amore durano in eterno e permettono di assomigliare a Dio. Tutto il resto ha una fine, ha un limite, non prevarrà. La caduta di Babilonia serve a descrivere la caduta di ogni realtà, potere, manifestazione che si oppone alla volontà e alla santità di Dio Padre. Tutto finirà, tutto sarà oggetto di quel giudizio di Dio che chiamiamo giudizio universale.
Cosa rimane? Rimane solo l’adorazione del mistero di Dio, perché Dio rimane in eterno. Ecco perché non viene mai meno l’”Alleluja”, il cantico dei risorti che si ode sempre nella vita eterna; rimane l’”Amen”, cioè quel consegnarsi per sempre al mistero di Dio che rende anche la vita temporale degli uomini qualcosa di eterno.
Per noi
Noi sappiamo molto bene tutte queste cose, non è la prima volta che le leggiamo! Molto spesso, poi, ci soffermiamo a pensare sulle cose che mutano tutte a differenza del mistero di Dio che è sempre lo stesso. Eppure facciamo fatica ad eleggere solo quelle realtà che ci conducono a lui. Eppure facciamo fatica a cantare il nostro “Alleuja” e il nostro “Amen”. Anche noi, come tutti, facciamo abbastanza in fretta a dimenticarcene e a sbilanciarci in tutte quelle direzioni che, comunque, ci portano lontano da Dio. Nella logica della sapienza che abbiamo contemplato nella commemorazione di fedeli defunti e in quella che abbiamo messo al centro della nostra attenzione nel giorno di San Carlo, credo che sia giusto chiedere al Signore di continuare a rafforzare quei vincoli di amore che ci permettono di ritornare a lui. Senza questa logica di misericordia, senza questa logica di amore, di condivisione, di sostegno, infatti, siamo perduti!
- Come mi hanno aiutato i testi sacri di questa settimana ad abbracciare la logica che Gesù rivela?
- Come vigilo sul tempo per lasciare che il criterio di condivisione e di vicinanza di Dio ispirino anche il mio modo di mettermi al servizio degli altri?