Settimana della 4 domenica di Avvento – giovedì – Sant’Ambrogio
Per introdurci
Oggi è un giorno del tutto particolare per noi fedeli ambrosiani perché ricordiamo il nostro principale patrono, Sant’Ambrogio. Essendo questa settimana tutta dedicata a riflettere su quel tratto essenziale per l’identità del cristiano che è l’accoglienza, ci domandiamo anche come Sant’Ambrogio ha vissuto l’accoglienza.
La Parola di Dio
LETTURA Sir 50, 1a-b (cfr.); 44, 16a. 17ab. 19b-20a. 21a. 21d. 23ac; 45, 3b. 12a. 7. 15e-16c
Lettura del libro del Siracide
Ecco il sommo sacerdote, che nella sua vita piacque al Signore. Fu trovato perfetto e giusto, al tempo dell’ira fu segno di riconciliazione. Nessuno fu trovato simile a lui nella gloria. Egli custodì la legge dell’Altissimo. Per questo Dio gli promise con giuramento di innalzare la sua discendenza. Dio fece posare sul suo capo la benedizione di tutti gli uomini e la sua alleanza; lo confermò nelle sue benedizioni. Lo glorificò davanti ai re. Sopra il turbante gli pose una corona d’oro. Stabilì con lui un’alleanza perenne e lo fece sacerdote per il popolo. Lo onorò con splendidi ornamenti e gli fece indossare una veste di gloria, esercitare il sacerdozio e benedire il popolo nel suo nome. Lo scelse fra tutti i viventi perché offrisse sacrifici al Signore, incenso e profumo come memoriale.
Oppure
LETTURA AGIOGRAFICA
Vita di sant’Ambrogio, vescovo e dottore della Chiesa
Ambrogio nacque da famiglia romana a Trèviri nelle Gallie, città allora residenza imperiale, dove il padre esercitava le alte funzioni di prefetto del pretorio. Terminati a Roma gli studi, ricevette dal prefetto Probo l’incarico di recarsi a Milano come governatore della provincia di Liguria ed Emilia. Proprio in quel tempo morì il vescovo ariano Aussenzio e tra il popolo cristiano si accese una violenta discordia in merito alla scelta del successore. Ambrogio si recò allora – com’era dovere della sua carica – alla chiesa, per sedare il tumulto: qui parlò a lungo e con grande capacità persuasiva della pace e del bene comune. L’impressione sui presenti fu enorme. Si dice che a quel punto improvvisamente risuonò nell’assemblea l’esclamazione di un fanciullo «Ambrogio vescovo!», e che tutto il popolo si unì a quella voce e acclamò concorde «Ambrogio vescovo!», designando in tal modo con scelta unanime il governatore quale proprio pastore. Di fronte al rifiuto e alla resistenza di Ambrogio, il desiderio ardente del popolo fu sottoposto all’imperatore Valentiniano, che si mostrò ben contento che il vescovo fosse stato scelto tra i magistrati da lui nominati. Lietissimo fu pure il prefetto Probo che, quasi profetizzando, aveva detto ad Ambrogio al momento della partenza: «Va’, e comportati non come giudice, ma come vescovo». Coincidendo pertanto la volontà dell’imperatore col desiderio del popolo, Ambrogio venne battezzato (era infatti solo catecumeno), e iniziato nei giorni successivi al sacro ministero. Otto giorni dopo il battesimo, precisamente il 7 dicembre dell’anno 374, ricevette l’ordinazione episcopale. Divenuto vescovo, fu suo impegno difendere con coraggio la libertà della Chiesa e la dottrina della fede, richiamando alla verità molti eretici; fra questi generò a Gesù Cristo mediante il battesimo sant’Agostino, il grande dottore della Chiesa. Sollecito del bene di tutte le Chiese, sapeva intervenire nella comunione cristiana con grande energia e costanza. Fu instancabile nell’adempiere i doveri del ministero pastorale, tanto che, dopo la sua morte, nell’amministrazione dei Misteri dell’iniziazione cristiana cinque vescovi riuscirono a stento a supplirlo. Amò intensamente i poveri e i prigionieri, per i quali donò tutto l’oro e l’argento che possedeva. Quando fu eletto vescovo, assegnò alla sua Chiesa anche i propri vasti possedimenti fondiari in Sicilia e in Africa – destinandone il solo usufrutto alla sorella Marcellina – in modo da non serbare per sé cosa alcuna che potesse dire sua. Così, come un soldato privo di impedimenti e pronto a combattere, si mise al seguito di Cristo Signore che «da ricco che era, si è fatto povero per noi, perché diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà». Godeva con coloro che erano nella gioia, piangeva con chi era afflitto. Ogni volta che qualcuno gli confessava i propri peccati per riceverne la penitenza, compartecipava a tal punto al dolore del penitente da versare con lui lacrime di pentimento: si considerava infatti peccatore tra i peccatori. Dopo essersi recato per due volte nelle Gallie presso l’usurpatore Massimo, responsabile dell’uccisione dell’imperatore Graziano, Ambrogio ruppe irrevocabilmente la comunione con lui e con quanti si erano resi responsabili, insieme a Massimo, della morte a Treviri dell’eretico Priscilliano. Ma il presule milanese, in seguito alla strage di Tessalonica, non dubitò di escludere dalla partecipazione ai divini Misteri anche il grande imperatore Teodosio, da lui peraltro profondamente stimato, finché questi non ebbe umilmente eseguita la penitenza impostagli a causa di quella efferata repressione. Il vescovo di Milano ha lasciato alla sua Chiesa splendidi edifici di culto e all’intera comunione cristiana scritti dogmatici e omiletici, considerati in Oriente come in Occidente testimonianza della fede dell’antica Chiesa indivisa. Logorato dalle grandi fatiche e dall’intensa cura della Chiesa di Dio, al termine della sua ultima Quaresima cadde ammalato. Quando era ormai prossimo alla morte, pregava nel suo letto con le braccia aperte in forma di croce; Onorato, vescovo di Vercelli, mosso da un impulso divino, accorse al suo capezzale portandogli il Corpo del Signore. Ambrogio si comunicò e subito dopo consegnò la propria anima a Dio: era il Sabato Santo, 4 aprile, dell’anno 397, prima dell’alba.
SALMO Sal 88 (89)
Sei stato fedele, Signore, con il tuo servo.
Canterò in eterno l’amore del Signore,
di generazione in generazione
farò conoscere con la mia bocca la tua fedeltà,
perché hai detto:
«Ho stretto un’alleanza con il mio eletto,
ho giurato a Davide, mio servo. R
Ho trovato Davide, mio servo,
con il mio santo olio l’ho consacrato;
la mia mano è il suo sostegno,
il mio braccio è la sua forza. R
La mia fedeltà e il mio amore saranno con lui
e nel mio nome s’innalzerà la sua fronte.
Sulla mia santità ho giurato una volta per sempre:
certo non mentirò a Davide. R
In eterno durerà la sua discendenza,
il suo trono davanti a me quanto il sole,
sempre saldo come la luna,
testimone fedele nel cielo». R
EPISTOLA Ef 3, 2-11
Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini
Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero, di cui vi ho già scritto brevemente. Leggendo ciò che ho scritto, potete rendervi conto della comprensione che io ho del mistero di Cristo. Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo, del quale io sono divenuto ministro secondo il dono della grazia di Dio, che mi è stata concessa secondo l’efficacia della sua potenza. A me, che sono l’ultimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia: annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo e illuminare tutti sulla attuazione del mistero nascosto da secoli in Dio, creatore dell’universo, affinché, per mezzo della Chiesa, sia ora manifestata ai Principati e alle Potenze dei cieli la multiforme sapienza di Dio, secondo il progetto eterno che egli ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore.
VANGELO Gv 9, 40a; 10, 11-16
✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo. Il Signore Gesù disse ad alcuni farisei che erano con lui: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore».
L’accoglienza della vocazione
Sappiamo molto poco della prima parte della vita di Sant’Ambrogio, quella di laico, quella di uomo, quella di prefetto. Sappiamo molto, come ci ha ricordato la lettura della vita, dalla sua chiamata all’episcopato in avanti. Mi sembra anche che questo episodio possa essere il primo momento di meditazione per noi. Proviamo a pensare ad un uomo pubblico, un uomo ormai al massimo della sua carriera, un uomo che ha imparato a impostare la sua vita secondo criteri ormai consolidati che, ad un tratto, improvvisamente, si sente chiamato all’episcopato. Non sappiamo bene come Ambrogio vivesse la sua fede a quel tempo: sappiamo che era solo un catecumeno. Un uomo che, evidentemente, si era fatto la domanda su Dio e aveva accostato la religione cristiana, chiedendo di fare parte della Chiesa. Così Ambrogio accolse quella chiamata in modo singolare. Egli avrebbe voluto fuggire quella responsabilità, come ci dice anche la tradizione. Eppure non si tirò indietro. Acclamato dal popolo, capì che, per lui, quella era una chiamata da parte di Dio e si mise con solerzia, immediatamente, a vivere un compito che non avrebbe mai pensato di avere. Ecco il primo momento di accoglienza attestato nella vita di Sant’Ambrogio che chiamerei così: l’accoglienza della vocazione.
L’accoglienza della missione
Metterei poi un secondo momento di meditazione sull’accoglienza della missione, perché Ambrogio, dopo essere stato eletto vescovo, ha donato tutto il suo tempo e tutta la sua intelligenza all’organizzazione della Chiesa milanese plasmandone in modo indelebile la vita. Sua è l’idea delle vigilie, suoi sono molti inni che ancora cantiamo nella liturgia delle ore, suo è il commento alle Scritture che, in sostanza, dice tutta la sua arte oratoria e il suo essere attento perché il popolo di Dio ricevesse il nutrimento del Vangelo. Sant’Ambrogio visse in modo mirabile il suo compito in molti modi, ma credo che il più significativo, il più forte fu proprio quello di saper plasmare la liturgia. Noi siamo gli eredi ultimi di queste intuizioni di Sant’Ambrogio e siamo coloro che vivono sempre e appieno gli esiti di quel rito ambrosiano di cui andiamo fieri e che plasma l’identità della nostra Chiesa.
L’accoglienza delle istanze della carità
Ambrogio, come vescovo, seppe anche tenere in massima considerazione le istanze della carità, accogliendo quanti avevano bisogno di aiuto e quanti si rivolgevano proprio al vescovo per chiedere ciò che mancava loro. Si deve ritenere che in qualche caso Ambrogio intervenne di persona, in altri casi egli fece intervenire i suoi collaboratori o quelle prime istituzioni che sono l’orgoglio della Chiesa milanese in fatto di carità. Sta di fatto che Ambrogio seppe soccorrere i poveri e le vedove, intervenendo con tutta la sua forza perché nessuno rimanesse indietro. Abbiamo anche pagine mirabili del suo intervento a favore dei prigionieri di guerra, che a quel tempo non mancavano, come pure si dette da fare per le devastazioni che il suo tempo dovette sopportare, per le persone e per gli edifici ecclesiastici che venivano deturpati. Un uomo, dunque, che seppe vivere in modo assolutamente mirabile anche l’attestazione della carità.
Per il nostro cammino
Credo che sia assolutamente fondamentale vivere queste tre dimensioni seguendo la figura di Ambrogio. Credo che a tutti noi è chiesto, anzitutto, di vivere bene e con continua fedeltà la nostra vocazione. L’accoglienza di una vocazione non è solo lavoro di discernimento giovanile, per cui, una volta terminato questo compito, si è a posto! Credo che sia determinante un’altra cosa: cercare di vivere con fedeltà il nostro compito, domandandoci sempre come fare per vivere al meglio ciò che il Signore ci ha chiesto nelle differenti età della vita. Accogliere la vocazione non è solo suscitare in noi la forza e la grazia della risposta, ma è anche avere cura di quella vocazione che ci è stata assegnata, portando a termine il compito e il cammino che ci sono stati richiesti.
In secondo luogo credo che anche a noi sia chiesto di amare la Chiesa. Nel modo in cui siamo capaci, rispetto al ruolo che abbiamo e, tuttavia, con verità e con viva attenzione per le istanze che, via via, nel tempo, si creano. Chiediamo al Signore, insieme, questa grazia, la grazia di essere appassionati alla vita della Chiesa, nonostante le difficoltà del tempo presente. Anche Sant’Ambrogio ha dovuto affrontare le difficoltà del suo tempo che, probabilmente, erano assai peggiori delle nostre. Eppure, mosso da un serio amore per la Chiesa, ha saputo ed ha voluto fare di tutto per rendersi figlio della Chiesa che gli è stato chiesto di edificare.
Così come, avvicinandosi il Natale, credo che a tutti noi sia chiesto di vivere bene il tema della carità. Credo che sia determinante prepararci, magari sottolineando anche quella possibilità della decima, che tanto ci sta a cuore, per fare del bene a tutti. Credo che questo sia assolutamente fondamentale, perché è importante che noi non viviamo una fede disincarnata ma impariamo a fare in modo che la nostra fede sia sempre attenta a quelle istanze della carità che riguardano il nostro tempo.
Così anche noi possiamo dire:
Marana Tha, vieni Signore Gesù nelle nostre vite e ricordaci l’importanza di tenere viva la nostra vocazione attraverso la preghiera e le scelte quotidiane di ogni giorno.
Marana Tha, vieni Signore Gesù, donaci di amare la Chiesa e di saperla edificare secondo quanto è dato alla possibilità e alla disponibilità di ciascuno di noi.
Marana Tha, vieni Signore Gesù e ricordaci di saper mettere in pratica una carità sincera, profonda, autentica, generosa, a servizio di chi è nel bisogno e dei nostri fratelli.
Marana Tha, vieni Signore Gesù!
Provocazioni dalla Parola
- Sono accogliente rispetto alla mia vocazione?
- Sono accogliente rispetto alle proposte di carità?
- Sono accogliente rispetto all’invito per la testimonianza di amore alla Chiesa?