Settimana della prima domenica dopo Pentecoste – Lunedì
Questa settimana è del tutto particolare, infatti abbiamo di fronte a noi la solennità del Corpus Domini, che è sempre un momento di adorazione della SS. Eucarestia che deve coinvolgere tutti noi come singoli fedeli e come comunità. Poi abbiamo la festa di Sant’Antonio da Padova, il Santo a cui moltissimi di noi sono devoti, alcuni di voi anche perché provengono del veneto, dove la sua devozione è fortissima. È ricordando questi grandi appuntamenti che iniziamo la nostra settimana liturgica.
Vangelo
Lc 4, 14-16. 22-24
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca
In quel tempo. Il Signore Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria».
Per comprendere il vangelo di oggi, dobbiamo guardare alla sua progressione, dal momento che la liturgia spezza quello che è un unico discorso, un’unica predicazione, in un unico contesto, quello della Galilea. Siamo in un momento molto forte della predicazione di Gesù, perché è il suo inizio, il suo esordio. Gesù si presenta in luoghi a lui molto cari, nei quali la sua figura è molto nota: Nazareth e, poi Cafarnao.
Il discorso che leggiamo oggi e domani è ambientato nella sinagoga di Cafarnao, quindi un luogo dove Gesù ha pregato fin da bambino, dove è andato insieme a Maria e Giuseppe, dove ha assistito a numerose predicazioni. Un contesto familiare. È qui che prende la parola per la prima volta. Eppure, come abbiamo sentito, questa “prima volta” del Signore non va molto bene! Certo, la gente “rimane ammirata” della sua parola, ma, alla fine, prende distanza da Gesù. Vorrebbe vedere dei miracoli, vorrebbe vedere altri segni prodigiosi come quelli che Gesù ha iniziato a fare. Segni che Gesù non compie! Perché? Perché Gesù, che, come abbiamo detto, conosce bene quel contesto, sa che nessuno è disposto a mettere in gioco la sua fede, sa che nessuno è disposto a cambiare la sua mentalità, sa che nessuno è disposto a comprendere un nuovo messaggio che riguarda la conversione interiore e personale. Nella sinagoga di Cafarnao, possiamo dire, la gente è abituata a vivere la fede in un certo modo e non vuole essere scomodata! Gesù vorrebbe sanare proprio questa piaga, vorrebbe sanare proprio questo modo di percepire la fede e di viverla, ma non ci riesce! Nessuno è disposto ad ascoltarlo! Per questo non può che citare un proverbio antico: “medico cura te stesso” e chiudere la sua predicazione.
Esodo
Es 3, 7-12
Lettura del libro dell’Esodo
In quei giorni. Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l’Ittita, l’Amorreo, il Perizzita, l’Eveo, il Gebuseo. Ecco, il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto come gli Egiziani li opprimono. Perciò va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!». Mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone e far uscire gli Israeliti dall’Egitto?». Rispose: «Io sarò con te. Questo sarà per te il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte».
Così è anche nella prima lettura: la vocazione di Mosè che è chiamato ad essere il liberatore del popolo di Israele. Voi ricorderete: Mosè si è allontanato dall’Egitto dove è conosciuto e dove è importante, perché è pur sempre il figlio adottivo di faraone, per aver ucciso un egiziano. Mosè se ne è andato e ha chiuso con quel contesto. È andato “in periferia”, in una regione desertica, fa il pastore nella famiglia in cui è entrato dopo il matrimonio con Zipporà. È a posto. La sua vita è appagata! Mosè non ha nessuna voglia di tornare in Egitto. È troppo pericoloso: sa che ha ancora un debito da saldare. Significa “tornare a casa sua” e Mosè non vuole rimettersi in gioco con persone che lui conosce bene. Eppure è quello che Dio gli chiede e, dopo i primi tentennamenti, Mosè, come sappiamo, rimetterà in gioco se stesso e incomincerà a diventare quel profeta, quel leader che tutti conosciamo bene e che lo ha portato ad essere il liberatore per eccellenza.
Per noi.
La provocazione è chiara per noi:
• Quali sono i contesti di vita a cui rischio di abituarmi per non mettermi più in gioco?
È chiaro che anche noi facciamo l’esperienza di Mosè e di Gesù: quella di crescere in un ambiente, quella di crearci un ambiente di vita nel quale siamo conosciuti, rispettati, nel quale abbiamo la nostra routine e dal quale facciamo veramente fatica a staccarci o a trovare spunti per un costante rinnovamento interiore.
La fede, ci dicono le scritture di oggi, è sempre nemica della banale ripetitività dei gesti, delle espressioni, dei riti…
Ecco perché anche la situazione dalla quale proveniamo quest’anno, potrebbe essere non del tutto una semplice rovina, ma potrebbe spingerci ad un rinnovamento interiore grande, per spingere anche la nostra chiesa ad un incessante rinnovamento.
• Come posso rinnovare me stesso e il mio modo di credere?
• Quali passi lo Spirito mi chiede e su quali strade mi guida?
Mentre ci dirigiamo verso il Corpus Domini, cerchiamo di rinnovare noi stessi e la nostra fede per non diventare dei fossili!