Pasqua di risurrezione
Per introdurci
Pasqua è la festa delle pietre che rotolano. Pasqua è la festa dei sepolcri vuoti. Pasqua è la festa degli incontri che si rinnovano. Pasqua è la festa del pianto e della tristezza che si mutano in gioia. Pasqua è il giorno che ha fatto il Signore. È per questo che diciamo: Alleluja!
La Parola di Dio
LETTURA At 1, 1-8a
Lettura degli Atti degli Apostoli
Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo. Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo». Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi».
SALMO Sal 117 (118)
Questo è il giorno che ha fatto il Signore;
rallegriamoci e in esso esultiamo.
Oppure: Alleluia, alleluia, alleluia.
Rendete grazie al Signore perché è buono,
perché il suo amore è per sempre.
Dica Israele:
«Il suo amore è per sempre». R
La destra del Signore si è innalzata,
la destra del Signore ha fatto prodezze.
Non morirò, ma resterò in vita
e annuncerò le opere del Signore. R
La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi. R
EPISTOLA 1Cor 15, 3-10a
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, a voi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana.
VANGELO Gv 20, 11-18
✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo. Maria di Màgdala stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» – che significa: «Maestro!». Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.
Vangelo
Proviamo a pensare a Maria di Magdala. È uscita da sola, al mattino presto. Roba da donne. In effetti era cosa da donne fare il lamento sul morto, cospargere il corpo di un defunto di olii aromatici, intonare le canzoni meste di chi piange per ciò che non è più. Ma Maria, al sepolcro, non trova quello che pensava. Non trova la tomba chiusa, non trova il corpo morto. Trova la pietra rotolata. Trova il sepolcro vuoto. Ma non sa cosa fare, non sa cosa dire, non sa cosa pensare. Ecco il pianto. Il pianto che irrora il suo volto, il pianto che sgorga spontaneo, il pianto che blocca, il pianto che trattiene. Maria di Magdala se ne sta lì, da sola, a piangere. Forse attende che arrivi qualcun altro, forse qualche altra donna tra quelle che avevano seguito il Signore, forse qualche discepolo. Certo la notizia arriverà anche a loro, magari verranno a vedere. Sono i pensieri di una donna disperata, che se ne sta sola, di fronte ad una pietra rotolata, di fronte ad un sepolcro vuoto.
In realtà ci sono due figure. Due angeli, in vesti bianche, quasi posti a custodire il luogo della deposizione nella tomba del Signore, uno dalla parte del capo, uno dalla parte dei piedi. Eppure, Maria quasi non si cura di loro. Non si chiede cosa ci fanno qui? Cosa stanno custodendo? Cosa aspettano costoro? Se la pietra del sepolcro è aperta, tanto che vede la scena che si svolge all’interno mente lei sta fuori, è anche vero che Maria ha una pietra sul cuore che non sa rimuovere, che non sa come spostare. È così non attenta a quei due angeli, che si volta, vede il Signore, senza riconoscerlo. È così attenta alle cose del passato, è così in cerca di quel corpo morto, è così attaccata a quel corpo martoriato dalla passione, che non riesce assolutamente a pensare che quel corpo trasfigurato è lo stesso corpo. È solo quando sente il timbro della sua voce che la chiama per nome che ella capisce, si rivolge a Gesù con il tono della confidenza, si aggrappa a lui perché Maria vuole toccare a tutti i costi quel corpo e vuole a tutti i costi trattenerlo, lei che si era anche detta disponibile ad andare a prenderlo da sola.
È Gesù che non solo l’ha chiamata per nome, ma deve anche spiegare: “salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”. Perché questa spiegazione? Perché questa sottolineatura? Evidentemente Gesù vuol far tornare Maria agli insegnamenti sulla preghiera che hanno contraddistinto il suo ministero. Vuole che essa torni, con la memoria, al giorno in cui le aveva insegnato il Padre nostro, perché capisca che il Padre lo ha fatto risorgere nella potenza dello Spirito. Evento inspiegabile, che Maria certamente non capisce, ma che solamente intuisce, tanto che corre, secondo lo stesso invito del Signore a dirlo agli altri.
Agli altri, cioè agli apostoli, che, al pari di Maria, sebbene in modo differente, sono chiusi nel cenacolo. Maria aveva il cuore chiuso, i discepoli sono anche fisicamente rinchiusi, ma tutti, senza eccezioni, senza differenze, sono intenti a fare le cose di sempre, le cose del giorno prima, soltanto con più tristezza nel cuore. È a loro che Maria dice ciò che il Signore le ha detto, e cioè “salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”. Solo nella profonda relazione con il Padre, solo riscoprendo il senso della preghiera, solo riscoprendo il senso della relazione tra di loro proprio nel nome del Padre, essi comprenderanno. E non basterà il giorno di Pasqua, se è vero, come leggiamo, che il Signore dovette apparire loro per 40 giorni, e poi rimandare ancora al compimento del 50esimo giorno, quello della Pentecoste, quello in cui ricevettero lo Spirito del Padre. Solo dopo quegli eventi riuscirono a capire non tutto ma qualcosa e divennero testimoni di quella novità, di quella singolarità di vita che illuminò per sempre non solo la loro esistenza ma quella del mondo intero, fino ad illuminare noi che, oggi, siamo qui a celebrare la Pasqua.
Corinti
Come Paolo che quel giorno non c’era, non era nemmeno nella mente della prima comunità, non era ancora avvenuto tutto quel processo che lo avrebbe portato ad essere l’apostolo delle genti. Sarà la comunità a trasmettere a lui non solo il racconto di quegli avvenimenti, ma la gioia della verità di quell’incontro. Non solo un racconto fatto da chi fu testimone oculare di quei fatti, ma il racconto di fede di una comunità che imparò a credere che Dio è il padre di tutti, Colui che interviene nella storia di ciascuno per far rotolare via le pietre che gravano sul cuore e restituire all’uomo quella dimensione di speranza senza la quale è come stare dentro una tomba. Paolo non ha visto la tomba vuota, non ha visto Cristo risorto, ma ha fatto la stessa esperienza, quando si è liberato dalle chiusure interiori, dagli attaccamenti al suo passato, e si è aperto ad una esperienza nuova in una comunità che gli ha insegnato che solo nel sentire che Cristo risorge nel cuore di ciascuno sta la vera novità di vita a cui uno è chiamato.
Atti
Così come ci dicevano gli Atti, che, nel ricordarci l’apparizione agli apostoli, a Pietro come nuovo punto di unità e fondamento della Chiesa, ci dicono, poi, che Cristo continuò ad apparire a coloro che erano nel cenacolo, partendo da quelle esperienze umane che condividevano, ma per dare nuova forza e nuovo slancio a vite che sembravano avere perso tutto e che, invece, si sarebbero presto aperte ad una nuova dimensione dell’esistenza. Quella dimensione fondata su Cristo che conduce a Dio, il Padre di tutti.
Per il nostro cammino
Che cosa è per noi la Pasqua? Che cosa è per noi che veniamo in Chiesa la Pasqua? Certo la domanda è scomoda. Molti l’hanno già risolta, non ponendosela più, lasciando che questo giorno sia, tutt’al più, il giorno straordinario per un’uscita, per un desinare più solenne del solito, per qualche incontro prolungato nel tempo, per un’evasione dalla routine. È la pasqua dei pagani, è la pasqua di chi sta attorno a noi in numero sempre più crescente. Ma per noi, per noi che questa mattina siamo qui, cosa è la Pasqua? Cosa è questo giorno? Certo non può essere solo il giorno di una celebrazione più solenne, più cantata, più allegra del solito, specie dopo i giorni tristi e luttuosi di questa quaresima!
Pasqua è ancora un appello alla relazione con il Padre. Lo ha detto Gesù! “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”. Il che significa che noi potremo comprendere qualcosa della Pasqua solo dentro una relazione stabile, profonda, significativa con il Padre. È il tema della preghiera che sta segnando tutto questo anno pastorale. Se noi smettessimo di pregare con assiduità e fervore, come abbiamo fatto in quaresima, il nostro sarebbe stato uno sforzo vano, uno sforzo che dura il tempo che dura, uno sforzo della volontà. La fede non è questo! La fede ci chiede, ora più che mai, di approfondire la nostra relazione con il Padre.
Pasqua è un appello alla speranza. Proprio perché in relazione con il Padre, noi comprendiamo che la nostra vita ha una luce che ci spinge a pensare oltre la morte. Cristo Risorto ci insegna questo: la vita non finisce con la morte, c’è un dopo, c’è un oltre, c’è una nuova dimensione dell’esistenza che è l’eternità. Proprio perché in relazione con il Padre e proprio perché in cammino verso questa eternità, il cristiano non si perde mai d’animo e non lascia che le cose della storia, come dice il Papa, gli rubino la speranza.
Pasqua è un richiamo alla festa con i fratelli. Non è possibile fare Pasqua da soli. Non nel senso della festa, non nel senso delle relazioni che potremo avere in questa giornata o che potremo anche non avere. Penso ai tanti che rimarranno comunque soli oggi, come gli altri giorni. Penso a quella relazione che è la chiesa, che ci ricorda che la nostra fede non è mai un fatto personale, singolare, di coscienza e basta. La fede cristiana è fede di popolo, è fede che si deve celebrare insieme, è fede che deve aprire alle relazioni profonde e vere, perché basate su Cristo. Anche noi abbiamo bisogno, come Maria di Magdala, come gli apostoli, come tutti coloro che presero parte alla prima comunità cristiana, di capire che non si può credere da soli. Si crede con gli altri, si crede grazie agli altri, si crede perché altri credono insieme con te.
Carissimi, in questo anno della preghiera, in questo anno in cui abbiamo cercato di radunarci con maggiore assiduità e di pregare con più intenso fervore in forme molteplici, io credo che il messaggio da fare nostro sia proprio questo. Impariamo che Pasqua non è un giorno, non è una celebrazione, non è un momento, ma è un sentirsi chiamati per nome per costruire qualcosa di comune. Questo qualcosa di comune è quella speranza di vita eterna che deve essere dentro di noi e che potrà entrare in noi solo attraverso la preghiera comune. Umile, ma, al tempo stesso, forte e capace di spronare i nostri cammini. La pietra che deve rotolare, il sepolcro che si deve aprire è quello di una sempre maggiore e di una sempre rinnovata dimensione comunitaria del credere che deve far dire a ciascuno: credo “nel Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”; prego “il Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”; fino a che non potremo dire anche noi, un giorno e con verità: “salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”. Perché così è l’esistenza cristiana: un’esistenza animata dalla preghiera incessante, rinnovata dalla speranza, forte della fraternità cristiana, fino a quando non si aprirà anche la nostra tomba per dare inizio alla nostra partecipazione all’eternità. È questa la Pasqua dei credenti.