Settimana della 6 domenica dopo Pentecoste – Venerdì
Giosuè
Gs 6, 19-20. 24-25. 27
Lettura del libro di Giosuè
In quei giorni. Giosuè disse a tutto Israele: «Tutto l’argento e l’oro e gli oggetti di bronzo e di ferro sono consacrati al Signore: devono entrare nel tesoro del Signore». Il popolo lanciò il grido di guerra e suonarono le trombe. Come il popolo udì il suono della tromba e lanciò un grande grido di guerra, le mura della città crollarono su se stesse; il popolo salì verso la città, ciascuno diritto davanti a sé, e si impadronirono della città. Incendiarono poi la città e quanto vi era dentro. Destinarono però l’argento, l’oro e gli oggetti di bronzo e di ferro al tesoro del tempio del Signore. Giosuè lasciò in vita la prostituta Raab, la casa di suo padre e quanto le apparteneva. Ella è rimasta in mezzo a Israele fino ad oggi, per aver nascosto gli inviati che Giosuè aveva mandato a esplorare Gerico. Il Signore fu con Giosuè, la cui fama si sparse in tutta la regione.
Si sa che l’uomo è sempre pronto a prendere, ad arraffare, a fare proprio anche ciò che non gli appartiene. Nelle guerre antiche era così: entrare in una città per primi significava essere più fortunati. Si poteva prendere quello che capitava sott’occhi, si poteva riportare un valido bottino di guerra. Ogni soldato combatteva anche per questo: come sempre, l’uomo si lascia attrarre da ciò che può arricchire economicamente la sua vita.
Prima di entrare in Gerico Giosuè chiede di “lasciare” le cose migliori e di più valore, perché devono essere consacrate al Signore. Deve essere chiaro che, se la città cadrà ad opera della fede e non delle mani dell’uomo, occorrerà poi ringraziare Dio per il beneficio ricevuto. Ecco perché occorrerà riservare le cose migliori a Dio.
È un “lasciare” molto pesante. Chissà quante mormorazioni e quante difficoltà per quel comando di Giosuè che può capire solo chi ha fede, non certo chi ha il cuore da un’altra parte. C’è dunque, nell’insegnamento di Giosuè, un richiamo a ciò che davvero conta, un richiamo a lasciare che le cose preziose siano per Dio, dal quale proviene ogni bene e anche la presa di quella città simbolo dell’ingresso nella terra dei padri.
Vangelo
Lc 9, 23-27
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca
In quel tempo. Il Signore Gesù, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà. Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso? Chi si vergognerà di me e delle mie parole, di lui si vergognerà il Figlio dell’uomo quando verrà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi. In verità io vi dico: vi sono alcuni, qui presenti, che non morranno prima di aver visto il regno di Dio».
Così è anche nel Vangelo. Gesù chiede di “lasciare” ogni cosa che, nella vita, rischia di diventare ostacolo per il cammino di fede, anzi, chiede di più, chiede di fare della propria vita un dono di amore a Dio e, poi, agli uomini. Gesù invita a ragionare: a cosa servono i grandi progetti e le grandi imprese se poi si vive senza Dio? Vivere senza Dio significa vivere senza orientamento, senza una meta, senza un sostegno per i giorni del tempo, che sono difficili. Vivere senza Dio potrà anche spingere un uomo a fare grandi imprese, ma quando uno le fa per se stesso e non per Dio, rischia di rovinare tutto. Solo quando uno fa della propria vita una donazione di amore, allora è possibile fare qualcosa davvero di grande. Solo quando la vita diventa un continuo atto di amore nel nome di Dio, allora si realizza seriamente il proprio progetto di vita, la propria vocazione. Una vita che non diviene dono di amore non serve a niente. Uno può anche realizzare le cose migliori e le imprese più grandi, ma quando le realizza solo per sé non arricchisce davanti a Dio, perde l’orizzonte nel quale collocare le cose buone che si possono compiere, smarrisce l’orientamento della propria esistenza.
Solo “chi non si vergogna di Dio davanti a questa generazione”, cioè solo chi fa le cose con fede e per fede, non perde nulla di quanto ha e, anzi, moltiplica su di sé le benedizioni di Dio, dando pieno senso al tempo che gli viene donato di vivere.
Per noi
- Cosa stiamo facendo della nostra vita?
- Stiamo perdendo la nostra vita o stiamo trattenendo per noi?
Credo che ci siano molti modi per donare la propria vita. Anzitutto quello della propria vocazione. È in quello che siamo stati chiamati a fare che noi vediamo il primo modo di donarci con convinzione e con amore. È dentro una vita che si interpreta come dono che noi possiamo capire quali sono le piccole ma al tempo stesso grandi cose che devono appassionarci. Ogni donazione, anche piccola, anche banale, ma fatta con amore, diventa un modo per seguire il Signore e per incamminarci dietro a Lui. Ogni attimo della nostra vita trattenuto egoisticamente per noi non ci fa assomigliare al Signore e diventa pietra di inciampo per altri.
Così, nel mezzo dell’estate, nel tempo in cui siamo più portati a pensare a noi, al “nostro” riposo, alle “nostre” ferie, al “nostro” tempo, il Signore ci aiuta a comprendere che, sebbene ci siano necessari tempi e momenti di riposo, noi siamo comunque chiamati a fare della nostra vita una donazione di amore. Chiediamo questa forza al Signore per continuare a camminare su quella strada che diventa esempio di vocazione.