4 Domenica, del cieco nato
Per introdurci
Essere chiesa che custodisce la preghiera ed essere chiesa che custodisce l’amore, essere chiesa di popolo. Sono i primi tre passi che abbiamo fatto insieme. Potremmo chiederci:
- Stiamo custodendo la preghiera, l’amore, il nostro essere popolo di Dio?
Mentre ripensiamo all’itinerario che abbiamo vissuto potremmo chiederci già:
- Custodiamo la fragilità?
Credo che sia questo il tema proprio e se volete più bello di questa domenica.
La Parola di Dio
LETTURA Es 33, 7-11a
Lettura del libro dell’Esodo
In quei giorni. Mosè prendeva la tenda e la piantava fuori dell’accampamento, a una certa distanza dall’accampamento, e l’aveva chiamata tenda del convegno; appunto a questa tenda del convegno, posta fuori dell’accampamento, si recava chiunque volesse consultare il Signore. Quando Mosè usciva per recarsi alla tenda, tutto il popolo si alzava in piedi, stando ciascuno all’ingresso della sua tenda: seguivano con lo sguardo Mosè, finché non fosse entrato nella tenda. Quando Mosè entrava nella tenda, scendeva la colonna di nube e restava all’ingresso della tenda, e parlava con Mosè. Tutto il popolo vedeva la colonna di nube, che stava all’ingresso della tenda, e tutti si alzavano e si prostravano ciascuno all’ingresso della propria tenda. Il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico.
SALMO Sal 35 (36)
Signore, nella tua luce vediamo la luce.
Signore, il tuo amore è nel cielo,
la tua fedeltà fino alle nubi,
la tua giustizia è come le più alte montagne,
il tuo giudizio come l’abisso profondo:
uomini e bestie tu salvi, Signore. R
Quanto è prezioso il tuo amore, o Dio!
Si rifugiano gli uomini all’ombra delle tue ali,
si saziano dell’abbondanza della tua casa:
tu li disseti al torrente delle tue delizie. R
È in te la sorgente della vita,
alla tua luce vediamo la luce.
Riversa il tuo amore su chi ti riconosce,
la tua giustizia sui retti di cuore. R
EPISTOLA 1Ts 4, 1b-12
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi
Fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio – e così già vi comportate –, possiate progredire ancora di più. Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù. Questa infatti è volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dall’impurità, che ciascuno di voi sappia trattare il proprio corpo con santità e rispetto, senza lasciarsi dominare dalla passione, come i pagani che non conoscono Dio; che nessuno in questo campo offenda o inganni il proprio fratello, perché il Signore punisce tutte queste cose, come vi abbiamo già detto e ribadito. Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza queste cose non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo santo Spirito. Riguardo all’amore fraterno, non avete bisogno che ve ne scriva; voi stessi infatti avete imparato da Dio ad amarvi gli uni gli altri, e questo lo fate verso tutti i fratelli dell’intera Macedonia. Ma vi esortiamo, fratelli, a progredire ancora di più e a fare tutto il possibile per vivere in pace, occuparvi delle vostre cose e lavorare con le vostre mani, come vi abbiamo ordinato, e così condurre una vita decorosa di fronte agli estranei e non avere bisogno di nessuno.
VANGELO Gv 9, 1-38b
✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo. Passando, il Signore Gesù vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so». Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!». Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!».
Esodo
A partire proprio dalla lettura dell’Esodo. Bellissima per l’immagine che esprime. Mosè, il grande profeta, ha voluto che in ogni luogo dove Israele si accampava, ci fosse la “tenda del convegno”, il luogo della preghiera, il luogo dove custodire il proprio rapporto con Dio. E’ lì che Mosè si ritira spesso, in una preghiera indicibile se è vero, come leggiamo, che quando Mosè prega c’è una presenza, una “colonna di nube” che custodisce il suo dialogo con Dio; la gente vede, non va a disturbare, si inginocchia presso la propria tenda. Potremmo dire: custodisce il momento. Avvertendone l’importanza, custodisce la soglia di quell’incontro unico, irripetibile, che non ha uguali. La gente sa che da quel momento di preghiera dipende tutta la salute, la salvezza del popolo. Ecco perché si ferma a distanza, nel senso proprio del custodire, cioè del circondare di rispetto, quasi di venerazione, quell’incontro tra il profeta e Dio che è la sorgente di ogni bene per tutto il popolo. È lì che Mosè trae quella forza misteriosa che gli serve per essere guida di tutto il popolo.
Vangelo
Il tema della fragilità viene affrontato, in doversi modi, dal Vangelo.
In primissimo piano c’è la fragilità del corpo, del corpo dell’uomo, del corpo che si ammala o che, addirittura, nasce già menomato. Perché ad un uomo è privata la vista? Perché si nasce senza uno dei sensi maggiori e più importanti? Perché la vita è così, la vita è fragile, la salute è fragile. Ci sono uomini che nascono già malati, ci sono uomini che perdono la salute nel corso della vita, in realtà quasi tutti! Ci sono uomini la cui vita è accompagnata dalle sofferenze che si presentano, in vario modo, nei diversi momenti della vita. È la fragilità del cieco.
Scavando meglio scopriamo che questa fragilità non è solo fisica, è anche psicologica. Questo ragazzo è stato abituato, fin da giovane, a non credere in sé stesso. Cosa si può dire a un cieco nato? Cosa può fare un cieco nato se ci mettiamo nell’ottica della società del tempo? Nulla. Sta a casa sua, con la sua famiglia, perché non c’è altro modo di accudire. Sta al tempio a mendicare: non potrà mai lavorare e, allora, meglio fare presa sulla pietà della gente, meglio trovargli un posto per stare a chiedere l’elemosina. Quale luogo migliore del tempio? Ieri, oggi, sempre è così: i mendicanti stanno sempre sui gradini di qualsiasi tempio in qualsiasi luogo della terra.
La fragilità non è solo del cieco e non è solo quella fisica e nemmeno solo quella psicologica. C’è anche la fragilità di una famiglia. Una famiglia che non ha carattere, una famiglia che certamente ha cercato di fare quello che poteva per il suo ragazzo, ma che non sa prendere le sue parti, non sa prendere la sua difesa proprio quando capita un miracolo, quando ci sarebbe da gioire, quando ci sarebbe da lodare Dio per quanto ha fatto. Ecco che, invece, questi genitori non sanno cosa fare perché hanno paura del giudizio. Sono, per l’appunto, due genitori fragili. Temono di più di essere espulsi dalla sinagoga che di non essere capiti dal loro figlio per quel gesto. Genitori fragili che non sanno schierarsi, non sanno dire né di sé né di loro. Fragilità che porta a vivere a metà, accontentandosi delle cose, sempre sotto l’incubo del giudizio degli altri, dell’assemblea religiosa, del “mondo “in cui vivono.
Se vogliamo potremmo anche riflettere sulla fragilità della fede dei discepoli. Stanno con Gesù, lo sentono parlare, vedono i suoi miracoli, insomma avrebbero tutti gli elementi per capire che tra malattia e “castigo di Dio” non c’è nessuna relazione e che, nonostante questa “scuola”, comunque chiedono a Gesù di intervenire ancora sul tema, dando per scontato che o il cieco nato ha una vita peccaminosa o che egli sta pagando per i peccati dei sui padri. Visione che non ha nulla a che fare con la fede! Proprio dal gruppo dei discepoli! Particolare che ci dice quanta fatica fa l’uomo ad uscire da quel mistero di credenze popolari, superstizioni, intimidazioni che, in fondo, ogni uomo sente pesare su di sé da quando è bambino, nell’intimo delle famiglie che, sebbene con diversi modi, inculcano a tutti i figli qualcosa del genere. Sintomo di fragilità di non poco conto.
Infine, c’è anche la fragilità di fede dei giudei, che si trincerano, un po’ come abbiamo visto la scorsa settimana, in una identità di gruppo che deve proteggerli, tanto sarebbero incapaci di dialogare con Gesù, di ribattere alle sue parole, di sostenere il dialogo che, inevitabilmente, nasce dai suoi gesti di salvezza che, però, sono anche gesti provocatori.
Fragilità, tutte, custodite da Gesù, sebbene in modo diverso. Gesù si prende carico della fragilità dei discepoli, ai quali mostra un nuovo segno, perché, per loro, ci sia possibilità di comprensione nuova e diversa. Si prende cura anche dei giudei, ai quali offre la possibilità di una meditazione di fede. A loro, che si sentono forti perché istruiti nella fede, Gesù chiede un passo diverso per capire che c’è qualcosa di più. Qualche cosa di meglio, oltre quello che dicono e che sanno già verso il quale tendere. Ma l’arte della accoglienza della cura della fragilità è tutta per il cieco. Preso in carico, sanato nel corpo e, soprattutto, nello Spirito. Non è un caso che, quest’uomo, alla fine del Vangelo, si trovi sanato nella vista del corpo e sanato nella vista dello Spirito. È lui che professa tutta la sua fede, con quelle bellissime parole: “io credo, Signore”: parole che dicono tutto il suo grazie a Dio per essersi preso cura di lui, ma anche tutto il suo rispetto, tutta la sua ricerca interiore, tutto il suo aderire a quella parola di salvezza che il Signore dona a chi di fida di Lui.
Epistola
Così come anche nell’Epistola, dove San Paolo invitava ad avere una regola di vita tutta improntata all’accoglienza e alla comprensione. È da questa regola di vita di fraternità, di vicinanza, di mutuo aiuto che si vede realmente chi è cristiano. Vivere una vita “decorosa”, piena di segni di sostegno, di vicinanza, di comprensione, è quanto il cristiano deve offrire, se vuole avere egli stesso quell’attenzione alle fragilità degli altri che sono poi già un modo per mettere le proprie fragilità nelle mani degli altri e, soprattutto, di Dio.
Per noi e per il nostro cammino
Essere chiesa che custodisce le fragilità, è il titolo che abbiamo dato a questa domenica. Come? In che senso? Cosa possiamo fare per custodire le fragilità? Come sempre vi indico qualche passaggio comune:
- Cerchiamo di capire che anche noi siamo fragili. Anche noi possiamo essere fragili nel corpo che si ammala, nello spirito che è debole, nella fede che non è pronta, nella carità che vacilla. Anche noi possiamo essere fragili nel carattere, nell’appartenenza di fede, oppure fragili perché sempre succubi del giudizio degli altri. Sono diverse anche le fragilità che abitano dentro di noi. Prenderne consapevolezza e imparare a chiamarle per nome è già un primo passo.
- In secondo luogo, cerchiamo anche di comprendere le fragilità degli altri, che sono come le nostre, chi più chi meno. Credo che ci sia un serio problema, oggi, nel saper vedere le fragilità degli altri. Anche quando sono particolarmente evidenti, non sempre sappiamo farcene carico, né interiormente, né con qualche azione pratica.
- Terzo: impariamo a custodire la “soglia” delle fragilità, davanti alle fragilità, proprie o degli altri, occorre sempre procedere con grandissima attenzione, con infinita pazienza, con profondissimo rispetto. Le fragilità non possono essere affrontate senza quell’attenzione umana che dice già anche delle qualità dello Spirito di ciascuno.
- Di fronte alle fragilità, proprie e degli altri, occorre la preghiera, da cui pure siamo partiti per questo itinerario di quaresima. È la preghiera che permette di risolvere alcune fragilità. È la preghiera che permette di metterne altre, specie quelle che giudichiamo irrisolvibili, nelle mani di Dio. E’ la preghiera la forza che spesso dimentichiamo, sostituendo la forza e la luce della preghiera con aiuti umani. Aiuti umani importantissimi, che, pure, bisogna suscitare e nei quali occorre rimettere anche la propria fiducia. Ma non senza quella luce dello Spirito che rende anche gli aiuti umani più forti.
- Infine credo che la Parola di Dio ci inviti a non temere le fragilità. Esse sono parte della vita, sono comunque una presenza sul nostro cammino di realtà che possono anche aiutare la nostra vita. Accettare una fragilità è già anche avere la consapevolezza di cosa ci chiede il Signore per il nostro cammino.
Vi invito ad uscire da questa meditazione pensando anche alle fragilità che riguarderanno la vita del Signore proprio negli ultimi giorni di quaresima: la fragilità di chi si lascia tradire, giudicare, di chi si sottopone alla violenza gratuita degli altri e, perfino alla Croce. Segno dell’ultimo posto, della maledizione presa su di sé fino all’ultima goccia. Solo contemplando la fragilità del Signore Gesù noi potremo fare pace con le nostre fragilità e sostenere le fragilità degli altri.