Martedì 10 novembre

Ultima settimana della’anno – Martedì

Apocalisse

Ap 21, 9-14
Lettura del libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo

In quel giorno. Venne uno dei sette angeli, che hanno le sette coppe piene degli ultimi sette flagelli, e mi parlò: «Vieni, ti mostrerò la promessa sposa, la sposa dell’Agnello». L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello.

In questi giorni dell’ultima settimana dell’anno liturgico vorrei trarre dalle scritture semi di sapienza che ci permettano di chiudere quest’anno liturgico e contemplare la bellezza della Chiesa.

Apocalisse.

L’esercizio è molto facile in riferimento alla prima lettura. Ieri abbiamo contemplato la bellezza della Chiesa della terra, la chiesa che siamo noi, la chiesa di questo tempo. L’Apocalisse, parlandoci della “Gerusalemme celeste”, ci parla della Chiesa del cielo, della visione consolatoria dell’assemblea dei santi, della chiesa che vive con Dio e che contempla sempre la bellezza, il fascino, l’armonia del suo mistero. Questa visione è quella che deve sostenere il cammino del tempo presente. È la visione della vita eterna che ci spinge ad affrontare le difficoltà del tempo terreno. È la speranza di entrare in quella compagine di santi che vede il volto di Dio che ci deve sostenere nel pellegrinaggio di questo tempo che è pellegrinaggio verso l’eternità. Le due contemplazioni, quella dello splendore della Chiesa che attraversa il tempo e che è segnata dalle difficoltà e del peccato dell’uomo e quella della chiesa celeste, purificata e per sempre in comunione con il suo Signore e suo Dio, sono le due facce della medesima medaglia. La chiesa celeste è quella già purificata nel sangue dell’agnello, è quella che già gode i benefici della presenza di Dio e della passione, morte e risurrezione di Cristo. Noi, in cammino verso quella meta, siamo rinfrancati dalla contemplazione di Giovanni e continuiamo il percorso verso questa meta.

Vangelo

Mt 24, 45-51
✠ Lettura del Vangelo secondo Matteo

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Chi è dunque il servo fidato e prudente, che il padrone ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro il cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così! Davvero io vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi beni. Ma se quel servo malvagio dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda”, e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a mangiare e a bere con gli ubriaconi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli ipocriti: là sarà pianto e stridore di denti».

Di che cosa è fatto questo percorso verso la vita eterna? Di che cosa si nutre questo pellegrinaggio verso la vita con Dio? Anzitutto di vigilanza. È questa parte di parabole che ci spinge a meditare su questa virtù la virtù della vigilanza è la virtù che vive colui che si sente in cammino verso la vita eterna. Poiché sappiamo di non essere ancora giunti alla meta ma desideriamo arrivarci, ecco che il credente è chiamato a vigilare. Sarà questa una delle dimensioni fondanti il prossimo cammino di avvento, il cammino di chi vigila nella notte, il cammino di chi si sente sentinella e, guardando alla meta, cerca di non perdersi nei meandri del tempo, ma continua a camminare nella certezza di ciò che lo aspetta: la visione del volto di Dio. Poiché non conosce né il giorno né l’ora, il credente vigila su sè stesso e infonde la medesima virtù della vigilanza nella chiesa che è tutta chiamata a vigilare nell’attesa.

Cosa si oppone alla vigilanza? Lo scoraggiamento è l’atteggiamento di chi dice: “il padrone tarda”. Parola che potremmo tradurre in vari modi. C’è chi dice: Dio non vede, c’è chi afferma: Dio non se ne cura; c’è chi dice: Dio perdona, quindi…

Sono diversi i modi per non vigilare. Tutti però sono accomunati da questa propensione allo scoraggiamento, al dubbio, alla lamentela…

Chiediamo al Signore di non essere noi tra coloro che perdono la virtù della vigilanza perché si scoraggiano.

Per noi

Chiesa celeste e chiesa terrestre, chiesa che già partecipa della gloria di Dio e chiesa che combatte, nel tempo, per diversi motivi…

  • Come mi aiutano queste due liturgie, queste due meditazioni, a vivere come figlio della Chiesa?
  • Cosa posso chiedere al Signore per saper vivere meglio questa attesa di vedere la sua gloria?

Mentre chiudiamo l’anno liturgico, ringraziamo il Signore per essere figli della Chiesa e chiediamo la forza e la grazia di essere sempre attenti a compiere quel cammino che il Signore ci ha chiesto di fare nel suo nome.

2020-11-06T12:21:42+01:00