Settimana della quinta domenica dopo Pentecoste – Sabato – San Benedetto
Che cosa ci serve per portare a termine tutto quello che abbiamo detto questa settimana? Cosa ci serve per portare a compimento quel principio di bene che è anche dentro di noi e che deve essere messo a disposizione di tutti? Una regola di vita! Ecco l’idea fondamentale legata alla figura di San Benedetto, il grande patrono del monachesimo occidentale, colui che, in tempi difficili anche più del nostro, ha cercato di proporre una istituzione – il monastero – che rispondesse alle esigenze di vita e di rinnovamento del suo tempo.
2 Timoteo
2Tm 2, 1-7. 11-13
Seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
Tu, figlio mio, attingi forza dalla grazia che è in Cristo Gesù: le cose che hai udito da me davanti a molti testimoni, trasmettile a persone fidate, le quali a loro volta siano in grado di insegnare agli altri. Come un buon soldato di Gesù Cristo, soffri insieme con me. Nessuno, quando presta servizio militare, si lascia prendere dalle faccende della vita comune, se vuol piacere a colui che lo ha arruolato. Anche l’atleta non riceve il premio se non ha lottato secondo le regole. Il contadino, che lavora duramente, dev’essere il primo a raccogliere i frutti della terra. Cerca di capire quello che dico, e il Signore ti aiuterà a comprendere ogni cosa. Questa parola è degna di fede: Se moriamo con lui, con lui anche vivremo; se perseveriamo, con lui anche regneremo; se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà; se siamo infedeli, lui rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso.
Questa risposta è quella che ci viene anche dalla Parola di Dio. L’apostolo insegnava al suo discepolo che, se si vuole piacere a Dio, non occorre invischiarsi nelle cose della vita comune, che distolgono lo sguardo all’avere la mente occupata in Dio. Qualcosa del genere ha fatto anche San Benedetto, che ha dato regole alla vita quotidiana e alla vita comune, perché tutti, nel monastero, fossero concentrati su Cristo. Nella consapevolezza che il lavoro è dono di Dio e che offrire la propria fatica a Dio sia una grazia, Benedetto scrisse questa regola dei monaci per insegnare a vivere anche le cose ordinarie della vita, come coltivare, o vivere una vita di studio in biblioteca, con regole evangeliche. Certo, si sarebbe potuto fare come altri, ma Benedetto ha compreso che era quella vita, la vita normale dell’uomo, che doveva essere normata alla luce della fede per produrre la felicità. Così come regolata non deve essere solo la vita del monaco, ma la vita di ogni credente. Solo obbedendo ai principi di una regola interiore si può trovare la felicità!
Vangelo
Gv 15, 1-8
✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
Così anche possiamo capire nell’immagine del Vangelo. Nell’evocare il contadino che sa potare una vigna perché il grappolo abbia più nutrimento e porti più frutto, sono già compresi i richiami che diventano “regola di vita” che vengono da Dio. Dio che ama il suo popolo, educa il suo popolo e come l’antico testamento ci insegna, Dio corregge anche il suo popolo, guidandolo attraverso i deserti della storia. Anche Benedetto si è lasciato educare in questo senso, lui che era un promettente giovane che ha lasciato Roma e le molte possibilità che gli erano concesse nella grande città, per arrivare fino alla solitudine dei monti dove ha potuto istituire il “suo” ordine.
Per noi
- Abbiamo una regola di vita?
- Cosa scriveremmo in una regola di vita?
In realtà credo che noi tutti soffriamo di qualche avversione alle regole, anche ad una eventuale regola di vita. Eppure la forza della Parola di Dio e l’eroica testimonianza di San Benedetto ci chiedono anche questa capacità. Partendo dal presupposto che una vita senza regole diventa, di fatto, “sregolata” sotto tutti i profili e in tutti i sensi possibili, credo che a tutti sia chiesto di dare corpo alla propria maturità cristiana. Maturità che è fatta anche di scelte consapevoli e forti, capaci di esprimere la propria intelligenza ed anche il proprio amore per Dio.
Il tempo di Benedetto era un tempo di grande lontananza da Dio. In questo senso possiamo rileggere anche il nostro tempo che vive un gran bisogno di sacro ma anche una immensa lontananza da Dio. È proprio per questo che san Benedetto ha trovato la forza di creare qualcosa di alternativo e di nuovo, capace di far resistere la grazia della vera fede. Qualcosa del genere viene chiesto anche a noi. Io credo che sia proprio la forza della testimonianza che viene richiesta a noi, a farci scoprire che noi siamo chiamati ad illuminare il mondo, non ad immischiarci nelle sue tenebre!
Al termine di questa settimana che ci ha dato molti spunti di riflessione, chiediamo a San Benedetto di lasciarci mutati, per comprendere che solo una vita “in piena regola” ci regala quella felicità eterna verso la quale tutti ci dobbiamo sentire attratti!
Vedo il pericolo di molti, di rifugiarsi in un passato, talvolta anche remoto, specie dal punto di vista liturgico. Non sarebbe propriamente questo il compito del fedele e nemmeno il senso della liturgia, che deve essere sempre l’espressione di come l’uomo, nel tempo, celebra il mistero di Dio che rimane sempre lo stesso.
Altri, al contrario, si spingono in sperimentazioni che, francamente, oltre che ad essere discutibili, non sembrano nemmeno molto intelligenti. Occorre chiedere, in questo tempo così complesso anche da interpretare, la grazia dello Spirito, perché ci sia concesso di vivere questo tempo nella certezza che ciò di cui tutti necessitiamo è un “ristoro dello Spirito”. Auguriamoci e operiamo sempre perché la celebrazione dei riti sappia offrire questo al cuore dell’uomo che sempre cerca il modo di incontrare e di dialogare con Dio.
- Cosa cerco dalla liturgia?
- Come mi predispongo a celebrare la liturgia domenicale che vorrà essere, anche per me, domani, un ristoro nello spirito?