Settimana della 7 domenica dopo Pentecoste – Lunedì
Questa settimana avremo alcune memorie importanti: i Santi Nabore e Felice, oggi, poi giovedì San Bonaventura, quindi la festa della Madonna del Monte Carmelo, venerdì, per poi chiudere la settimana con Santa Marcellina, sorella di Sant’Ambrogio. Leggeremo, soprattutto, la fine del capitolo 9 di San Luca che ci porterà verso la svolta di questo Vangelo. È a partire da esso che commenteremo i brani della Scrittura che la liturgia ci propone.
Vangelo
Lc 9, 37-45
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca
In quel tempo. Quando furono discesi dal monte, una grande folla venne incontro al Signore Gesù. A un tratto, dalla folla un uomo si mise a gridare: «Maestro, ti prego, volgi lo sguardo a mio figlio, perché è l’unico che ho! Ecco, uno spirito lo afferra e improvvisamente si mette a gridare, lo scuote, provocandogli bava alla bocca, se ne allontana a stento e lo lascia sfinito. Ho pregato i tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti». Gesù rispose: «O generazione incredula e perversa, fino a quando sarò con voi e vi sopporterò? Conduci qui tuo figlio». Mentre questi si avvicinava, il demonio lo gettò a terra scuotendolo con convulsioni. Gesù minacciò lo spirito impuro, guarì il fanciullo e lo consegnò a suo padre. E tutti restavano stupiti di fronte alla grandezza di Dio. Mentre tutti erano ammirati di tutte le cose che faceva, disse ai suoi discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini». Essi però non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento.
Ancora una volta il Signore Gesù guarisce un ragazzo. Sono molti i casi del Vangelo nei quali il Signore interviene a favore della vita dei più giovani. La descrizione della scena è drammatica: si tratta di un ragazzo che non può vivere in pace, il demonio lo scuote, gli provoca convulsioni, non lascia che questo ragazzo si apra alla vita come dovrebbe essere nella sua età. Il demonio, poi, deve essere molto forte, se nemmeno la preghiera dei discepoli è servita a scacciare la sua presenza. Gesù accetta che il padre porti il ragazzo alla sua presenza e scaccia il demonio che lo attanaglia. È una scena di vita. Finalmente il ragazzo viene liberato dall’oppressione demoniaca che lo rendeva infelice e triste. Ci sarebbe di che essere felici, ci sarebbe da festeggiare, da gioire. È, però, il rilancio della parola del Signore a mettere tutti in silenzio. Gesù, come abbiamo sentito, parla ancora una volta della sua passione, della sua morte, della sua sofferenza. Il disagio che si crea è così grande e così evidente che nessuno più parla. C’è una sorta di timore nel chiedere ulteriori spiegazioni. Perché, invece di godere di questa vittoria sul maligno, si parla di morte? Perché, invece di gioire con questo ragazzo restituito alla pienezza della vita, si deve parlare di sofferenza? Il Vangelo si ferma qui, non registra altre impressioni, voci, ragionamenti. Noi possiamo comprendere. La potenza di Gesù che scaccia il demonio e restituisce alla vita è una potenza pasquale. Sarà proprio nella Pasqua che la potenza di Dio respingerà per sempre la forza della morte e tornerà alla vita gloriosa. Questi segni che egli offre nel tempo del suo ministero, devono solamente essere un rimando a quel giorno, al giorno della sua vittoria finale, al giorno della sconfitta del demonio. Proprio per questo si fa fatica a capire. Ogni uomo difficilmente comprende la potenza di vita che proviene dal Signore mentre vive nel tempo. Ecco il perché di questo silenzio che sa di custodia, sa di riflessione, sa di conservazione dei propri pensieri nel proprio cuore. Ma, come ascolteremo domani, l’uomo fa fatica a conservare a lungo questi pensieri.
Giosuè
Gs 11, 15-23
Lettura del libro di Giosuè
In quei giorni. Come aveva comandato il Signore a Mosè, suo servo, così Mosè aveva comandato a Giosuè e così Giosuè fece, non trascurando alcuna parola di quanto il Signore aveva comandato a Mosè. Giosuè si impadronì di tutta questa terra: la zona montuosa, tutto il Negheb, tutta la regione di Gosen, la Sefela, l’Araba, le montagne d’Israele e il loro bassopiano. Dal monte Calak, che sale verso Seir, fino a Baal-Gad nella valle del Libano ai piedi del monte Ermon: catturò tutti i loro re, li vinse e li uccise. Per molto tempo Giosuè fece guerra a tutti questi re. Non ci fu alcuna città che facesse pace con gli Israeliti, eccetto gli Evei che abitavano Gàbaon: le presero tutte con le armi, perché veniva dal Signore che il loro cuore si ostinasse a dichiarare guerra a Israele, per votarle allo sterminio senza pietà e così distruggerle, come il Signore aveva comandato a Mosè. In quel tempo Giosuè andò a eliminare gli Anakiti dalla zona montuosa: da Ebron, da Debir, da Anab, da tutti i monti di Giuda e di Israele. Giosuè li votò allo sterminio con le loro città. Non rimasero Anakiti nella terra degli Israeliti. Ne rimasero alcuni solo a Gaza, a Gae ad Asdod. Giosuè prese tutto il territorio, come il Signore aveva ordinato a Mosè. Giosuè lo assegnò in eredità a Israele, secondo le loro divisioni in tribù. E la terra visse tranquilla, senza guerra.
Difficile, per noi, la prima lettura, che ci mostra tutte le guerre di Giosuè e il continuo lavoro per conquistare la terra santa. La logica espressa dal testo è, per un verso, la logica di ogni popolo. Ogni popolo si è conquistato la propria terra, il proprio spazio di vita, e ogni popolo difende il proprio territorio. Anche Israele ha fatto così: ha conquistato la “sua” terra con fatica e la difende con orgoglio. Sono le dinamiche che noi vediamo ancora oggi nei figli del popolo ebraico, in questa sorta di guerra senza pace che coinvolge ancora quella regione del mondo. Che valore ha questa parola di Dio? Io credo che essa voglia insegnare a ciascuno di noi quanto è duro il cuore dell’uomo e quanta fatica fa l’uomo a consegnarsi a Dio. L’autore sacro celebra la fedeltà di Dio all’uomo ma, al tempo stesso, ci avverte della durezza del cuore dell’uomo e della sua fatica a consegnarsi all’amore di Dio Padre.
Per noi
Credo che noi tutti comprendiamo bene questa lezione, perché anche noi facciamo fatica a consegnarci all’amore di Dio. Così anche oggi, soffriamo di fronte al misterioso problema della sofferenza, specialmente di fronte al dolore innocente, ma, poi, facciamo presto a dimenticarci di Dio e della potenza di vita che viene da Lui e, se non accade ciò che noi speriamo, siamo pronti ad abbandonarlo. Così come facciamo presto a confidare molto nelle nostre forze, quelle con le quali “facciamo guerra” a chi non la pensa come noi! Facciamo sempre molta fatica a rispettare il mistero della vita, la presenza degli altri, ad interrogarci su cosa realmente vuole il Signore da ciascuno di noi. Facciamo fatica a fare tutto questo e preferiamo non pensarci, fare altro, girare altrove il nostro sguardo. Credo che la lezione biblica di oggi ci chieda, invece, di rimanere di fronte a quelle difficoltà della vita che ci sono poste dinnanzi. Anzi, credo che la Parola di Dio di oggi ci voglia far fermare a comprendere che non tutto può andare per il verso che noi speriamo e che noi desideriamo. Ci sono cose che sono nelle mani di Dio e basta. Ci sono cose che non si spiegano e che devono essere solo portate davanti a Dio. Ci sono cose che non possiamo interpretare, vivere, sviscerare con la nostra intelligenza, ma che possono solamente essere illuminate dalla fede. Accettare questo principio diventa causa di saggezza. Non accettare tutto questo diventa occasione di chiusura al mistero di Dio e, quindi, di solitudine.