Domenica 14 marzo

IV Domenica di Quaresima o “del cieco nato”.

La sapienza di chi si lascia illuminare  è il quarto dei grandi segni di sapienza che vogliamo raccogliere in questa quaresima verso una Pasqua che ci sappia davvero rinnovare come ci dice e ci chiede il nostro Arcivescovo.

  • In che cosa consiste l’illuminazione?
  • Non è, forse, un tema pericoloso, dal momento che diversi “illuminati” nella storia della fede hanno prodotto più guai che benefici?
  • Perché il Signore usa questo tema?

Esodo

Es 33, 7-11a
Lettura del libro dell’Esodo

In quei giorni. Mosè prendeva la tenda e la piantava fuori dell’accampamento, a una certa distanza dall’accampamento, e l’aveva chiamata tenda del convegno; appunto a questa tenda del convegno, posta fuori dell’accampamento, si recava chiunque volesse consultare il Signore. Quando Mosè usciva per recarsi alla tenda, tutto il popolo si alzava in piedi, stando ciascuno all’ingresso della sua tenda: seguivano con lo sguardo Mosè, finché non fosse entrato nella tenda. Quando Mosè entrava nella tenda, scendeva la colonna di nube e restava all’ingresso della tenda, e parlava con Mosè. Tutto il popolo vedeva la colonna di nube, che stava all’ingresso della tenda, e tutti si alzavano e si prostravano ciascuno all’ingresso della propria tenda. Il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico.

1 Tessalonicesi

1Ts 4, 1b-12
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi

Fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio – e così già vi comportate –, possiate progredire ancora di più. Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù. Questa infatti è volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dall’impurità, che ciascuno di voi sappia trattare il proprio corpo con santità e rispetto, senza lasciarsi dominare dalla passione, come i pagani che non conoscono Dio; che nessuno in questo campo offenda o inganni il proprio fratello, perché il Signore punisce tutte queste cose, come vi abbiamo già detto e ribadito. Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza queste cose non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo santo Spirito. Riguardo all’amore fraterno, non avete bisogno che ve ne scriva; voi stessi infatti avete imparato da Dio ad amarvi gli uni gli altri, e questo lo fate verso tutti i fratelli dell’intera Macedonia. Ma vi esortiamo, fratelli, a progredire ancora di più e a fare tutto il possibile per vivere in pace, occuparvi delle vostre cose e lavorare con le vostre mani, come vi abbiamo ordinato, e così condurre una vita decorosa di fronte agli estranei e non avere bisogno di nessuno.

Vangelo

Gv 9, 1-38b
 Lettura del Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo. Passando, il Signore Gesù vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so». Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!». Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!».

Vangelo

Il cuore del discorso viene dal Vangelo: questo è il sesto miracolo che compie il Signore Gesù nel Vangelo di Giovanni, il sesto segno per parlare di sé, della sua identità, della rivelazione del Padre. Siamo in un contesto storico molto particolare. Nel mese di settembre, Israele celebrava la grande festa delle capanne. Molti venivano a Gerusalemme per questa festa di ringraziamento per il raccolto prima della stagione invernale. Era una festa di gioia, di condivisione, di gusto per la vita, ma anche di fede. Era una festa nella quale venivano richiamati due motivi centrali: l’acqua e la luce. Ecco perché Giovanni utilizza questi due elementi nella lunga narrazione che abbiamo ascoltato. Tema centrale è, dunque, lo sguardo.

Lo sguardo dei discepoli sul cieco è lo sguardo della tradizione. Poiché la teologia del tempo diceva che una malattia è conseguenza diretta del peccato, lo sguardo dei discepoli su di lui è già, in fondo, di giudizio: “chi ha peccato, lui o i suoi genitori perché egli nascesse così?”.

Lo sguardo di Gesù sul cieco è lo sguardo della misericordia. Né lui ha peccato, né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio”. La prima illuminazione del Signore è quella di chi vuole invitare ad avere uno sguardo diverso sulle cose. Non lo sguardo di tutti, non lo sguardo dei critici, ma lo sguardo di Dio. Dio guarda ad ogni uomo che è sua immagine e somiglianza perché in ogni uomo si manifestino le opere di Dio. La seconda illuminazione è quella dei gesti del Signore. Sembrerebbe, a primo giudizio, che l’opera che egli compie sia quasi di insulto all’uomo. Il suo gesto, invece, è gesto di nuova creazione. Come l’uomo era stato tratto dalla polvere, così ora con la polvere e con l’acqua, l’uomo viene ricreato. Segno che non basta la vita ricevuta in dono per dire la novità che Dio imprime in ogni uomo. Occorre la fede. Poiché l’acqua è segno del battesimo, occorre la fede battesimale per giungere ad avere quello sguardo sulle cose, sulla realtà, sull’uomo, sul tempo che è lo stesso sguardo di Dio.

Lo sguardo dei giudei sul miracolo è lo sguardo della critica. Illuminazione che non recepiscono i nemici della Sinagoga. Giovanni qui riflette tutta la distanza tra la chiesa e la sinagoga, che, nel momento in cui egli scrive il vangelo, siamo dopo l’anno 80, è, ormai, del tutto consumata. Lo sguardo dei giudei intende riferirsi allo sguardo privo di criticità che l’uomo spesso utilizza per guardare alle cose; è lo sguardo privo assolutamente di ogni bene, comprensione, misericordia. È lo sguardo di chi vuole sapere già, di chi vuole sapere prima, senza alcuna possibilità di lasciarsi illuminare da Dio. È lo sguardo della fede ottusa, rinchiusa su se stessa, lasciata alla solitudine di un pensiero perverso.

Lo sguardo dei genitori. È lo sguardo di chi sa giudicare una realtà, ma manca la forza di prendere una posizione. È lo sguardo di chi ha sempre paura delle cose, di chi vive solo del giudizio o della critica degli altri. È lo sguardo di chi dipende sempre troppo dall’opinione altrui. È lo sguardo di chi non si fida di Dio e preferisce fidarsi solo degli uomini.

Lo sguardo del cieco. È lo sguardo di chi ha la sapienza di lasciarsi illuminare. È lo sguardo di chi ritrova la vista. Non solo quella fisica, ma, piuttosto, quella del cuore e della fede. La sapienza di chi diventa capace di guardare alle cose con il cuore di Cristo è, anzitutto, la sapienza dell’obbedienza. Il cieco non sa cosa sta facendo Gesù, ma obbedisce alla parola di uno sconosciuto. Ne ha provate tante, perché non provare anche questa? Perché non aderire alla parola di quell’uomo che dice “và a lavarti alla piscina di Siloe” promettendo la vista? Chi ha la sapienza dell’illuminazione, vive la sapienza del ringraziamento. Sapienza che il cieco dimostra di avere nei successivi incontri con i suoi accusatori e nei successivi incontri con Gesù. Chi si lascia illuminare vive con riconoscenza. La sapienza di chi si lascia illuminare è, infine, la sapienza della fede, la sapienza di chi sa dire: “io credo, Signore”, sapienza che comprende anche quel gesto di inginocchiarsi in senso di adorazione che la liturgia ha tagliato ma che è presente nel Vangelo. La sapienza di chi si lascia illuminare è tutte queste cose messe insieme.

Tessalonicesi

Non solo. Poiché la sapienza di chi si lascia illuminare è la sapienza del battezzato, ecco le indicazioni di San Paolo. Nella lettera San Paolo parlava di una “regola di vita” di chi ha ricevuto l’illuminazione battesimale. Regola di vita che consiste nell’ “astenersi dalle impurità, saper trattare il corpo con santità e rispetto senza lasciarsi dominare dalla passione, incapacità di offendere il fratello, sentirsi chiamati alla santificazione”. Sono le opere del battezzato che, come diceva ancora la lettera, passa “dalla impurità alla purificazione”. Tutto questo per vivere una vita decorosa davanti ai fratelli, con un rinnovamento di mentalità che edifica chi lo vede. La sapienza di chi si è lasciato illuminare al fonte battesimale è sapienza di vita. Tornano gli elementi che noi abbiamo già considerato nelle settimane scorse, compresa quella sapienza di lotta contro le passioni che scandisce il cammino di quaresima.

Esodo

Questa sapienza di illuminazione è la sapienza di Mosè, che si lascia illuminare dall’incontro con Dio. La prima lettura, che ci descriveva la preghiera di Mosè, ci dice con quanto rispetto era trattata la sua preghiera. Tutto il popolo lo ammirava mentre egli si dirigeva verso la “tenda”, ovvero verso il primo luogo di incontro tra Dio e il suo popolo, tra Dio e gli uomini. Tutti vedevano, tutti si mettevano in silenzio, tutti rispettavano quel colloquio tra Mosè e Dio che era una preghiera santa, indicibile, unica. Nessuno interrompeva quel dialogo perché gli ebrei sapevano bene che da quella illuminazione della preghiera del profeta dipendeva anche la loro salute e la loro stessa forza, la loro identità di popolo e la loro sussistenza. Troviamo qui gli stessi elementi della sapienza di chi digiuna e della sapienza di chi vive gesti di misericordia e di perdono delle settimane scorse.

Spunti per una proposta spirituale di Sapienza

“Magnifico e multicolore, tu crei la luce con i tuoi occhi divini. Tu sei apportatore di luce, distruttore di oscurità”.

Così un antichissimo inno egizio, copto, di comento al Vangelo. Cristo è portatore di luce e distruttore di oscurità. Cristo elargisce la sapienza dell’illuminazione a chi si lascia illuminare. Illuminati dovremmo essere tutti noi, dal momento che, ai tempi di Sant’Ambrogio, il Sacramento del Battesimo era detto semplicemente “sacramento dell’illuminazione” e i battezzati, e cioè tutti noi, erano chiamati semplicemente illuminati.

La sapienza di chi si lascia illuminare non è la sapienza esclusiva di chi pensa di avere una marcia in più e crea barriere di divisione, sette, raggruppamenti elitari, come molti “illuminati” della storia hanno fatto, pervertendo la dignità battesimale e rovinando l’uomo.

La sapienza di chi si lascia illuminare è la sapienza dell’obbedienza. Alla fede si obbedisce. Noi abbiamo perso questo criterio, pensiamo che l’obbedienza sia qualcosa di negativo, qualcosa che priva la nostra libertà, che taglia le ali del nostro desiderio. Il cieco nato ci ricorda che la vera illuminazione è quella di chi accoglie la Parola di Dio e la segue. Forse è questo il primo atteggiamento di revisione che dovremmo avere questa settimana. Senza l’obbedienza pronta e sollecita alla Parola, non c’è illuminazione interiore che porti alla sapienza.

La sapienza di chi si lascia illuminare è la sapienza di chi sa vivere di ringraziamento per le cose belle della vita e per tutto quanto in essa accade.

La sapienza di chi si lascia illuminare è la sapienza di chi percepisce la forza del proprio battesimo come forza alternativa, che plasma un modo di pensare, di vedere le cose, di vivere che è diverso da quello degli altri. Non in senso oppositivo, ma in senso sapienziale. Il richiamo forte di questa domenica è a vivere quella regola di vita che è fatta di ingredienti costanti nel tempo: la lotta contro le passioni e i desideri disordinati; l’attenzione agli altri; il sentirsi chiamati alla santificazione di cui San Paolo ci ha parlato.

La sapienza di chi si lascia illuminare è la sapienza di chi vive momenti d preghiera riservati a Dio, trattati come luogo santo, terra santa, luogo di intimità che non deve mai essere sacrificato a niente. Solo dal silenzio e dalla contemplazione del volto di Dio nasce quella sapienza di chi si lascia illuminare che è il cuore di questa domenica di quaresima.

Vorrei che noi tutti avessimo la forza di lasciarci illuminare e di trovare quella forza alternativa del Battesimo che ci sembra perduta e della quale abbiamo assolutamente bisogno.

Vorrei che soprattutto i giovani potessero fare proprie queste parole ed uscire da quella conformità ad una mentalità comune che è contraria al Vangelo e che rischia di appiattirci tutti verso il basso. La sapienza di chi si lascia illuminare è la sapienza di chi, anche in questo tempo che è tempo di paura, di pigrizia, di critica, di solitudine, reagisce a tutto questo trovando nella preghiera, nel silenzio davanti a Dio quella forza nuova che serve per dare nuovo slancio al proprio Battesimo e per un recupero di una mentalità cristiana che dice il senso della vita.

Vorrei che questa forza fosse anche quella che ci dà il coraggio di prendere le distanze da inutili e volgari banalizzazioni della fede che vediamo in molte trasmissioni e che ci permetta, invece di trovare quella forza che nasce da momenti rari di illuminazione che nascono da parole e gesti che sanno vivere gli uomini di Dio, gli uomini di pace e di riconciliazione. Uomini e donne che sanno avere quella sapienza dell’illuminazione di cui abbiamo parlato.

Provocazioni di Sapienza

  • Mi lascio illuminare dal Signore?
  • Trovo la forza di recuperare quella fede battesimale che deve diventare slancio di fede?
  • Il mio battesimo sa trarmi dalle cose della vita per diventare illuminazione interiore costante che mi permette di reagire all’appiattimento della vita?

Credo che in questa sapienza dell’illuminazione sia il cuore di questa quaresima sapienziale. O il battesimo diventa per noi alternativa cristiana da offrire ad un mondo appiattito sull’assenza di Dio, oppure non ci servirà a nulla battezzare chi viene dopo di noi. Maria, Madre di questa quaresima e di ogni tempo, Lei che si è lasciata illuminare dalla luce dell’Angelo ci aiuti e ci guidi. San Giuseppe, di cui celebreremo in settimana la solennità e nel nome del quale apriremo un anno straordinario, ci aiuti e ci guidi, Lui che è protettore della Chiesa universale.

2021-03-11T21:57:19+01:00