Domenica 15 marzo

Terza Domenica di Quaresima o di Abramo

Scriveva un grande teologo, D. Bonhoeffer, circa 80 anni fa: “non è affatto ovvio che al cristiano sia consentito vivere in mezzo ad altri cristiani. È una grazia di Dio il costituirsi visibile di una comunità intorno alla Parola di Dio e al Sacramento”. Scriveva alla vigilia della grande guerra, quando ormai era chiaro che anche l’essere cristiano non sarebbe stato più scontato. Noi rileggiamo questa frase in questi giorni, perché è ormai la terza domenica che non ci è consentito radunarci insieme e sperimentiamo che la forma ecclesiale del raduno domenicale, non è scontata. Quindi vorrei che, per introdurci alla nostra riflessione domenicale, tutti avvertissimo il senso di una mancanza che fa nascere un desiderio. Il desiderio di essere chiesa convocata da Dio, nel suo nome, per vivere il giorno del Signore. Così come vorrei che sentissimo tutti che è una grazia ritrovarsi intorno alla Parola e al Sacramento. Siamo, ora, radunati attorno alla Parola. Solo noi sacerdoti siamo radunati attorno al Sacramento realmente, voi solo virtualmente. Anche di questo dovremmo sentire il desiderio. Desiderio da vivere, poi, appena sarà possibile, nella realtà. Dunque vorrei riflettere con voi sulla chiesa a partire da questa piccola introduzione alla riflessione che ci dice già le coordinate in cui ci muoviamo.

L’ articolo del Credo:

Credo la Santa Chiesa Cattolica…

Esodo

Es 34, 1-10
Lettura del libro dell’Esodo

In quei giorni. Il Signore disse a Mosè: «Taglia due tavole di pietra come le prime. Io scriverò su queste tavole le parole che erano sulle tavole di prima, che hai spezzato. Tieniti pronto per domani mattina: domani mattina salirai sul monte Sinai e rimarrai lassù per me in cima al monte. Nessuno salga con te e non si veda nessuno su tutto il monte; neppure greggi o armenti vengano a pascolare davanti a questo monte». Mosè tagliò due tavole di pietra come le prime; si alzò di buon mattino e salì sul monte Sinai, come il Signore gli aveva comandato, con le due tavole di pietra in mano. Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui, proclamando: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione». Mosè si curvò in fretta fino a terra e si prostrò. Disse: «Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura cervice, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa’ di noi la tua eredità». Il Signore disse: «Ecco, io stabilisco un’alleanza: in presenza di tutto il tuo popolo io farò meraviglie, quali non furono mai compiute in nessuna terra e in nessuna nazione: tutto il popolo in mezzo al quale ti trovi vedrà l’opera del Signore, perché terribile è quanto io sto per fare con te».

Vorrei che iniziassimo la nostra riflessione biblica dalle parole dell’Esodo, dalle parole di Mosè che deve risalire di nuovo sul monte per prendere quelle tavole della legge che erano state disprezzate già una volta. Come dire: c’è sempre stato un gusto per la contestazione, una difficoltà nel ritenersi popolo di Dio, anche ai tempi dell’Antico testamento. Diceva, dunque, Mosè: “il Signore, il Signore Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore, che conserva il suo amore per 1000 generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione, il peccato!”. Appartenere al popolo di Dio significava fare questa esperienza: l’esperienza di convocazione, l’esperienza di perdono, l’esperienza di sequela. Per poi passare alla richiesta di Mosè: “Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi”. L’esperienza di perdono che Mosè fa, è anche richiesta perché Dio cammini in mezzo al suo popolo, a quel popolo che avrebbe continuato, secondo le parole di Mosè, ad essere “popolo di dura cervice”, eppure popolo che sarebbe stato, sempre e comunque, “sua eredità”. A queste parole Dio risponde: “tutto il popolo vedrà l’opera del Signore”, parole che dicono come il costituirsi del popolo stesso, non è opera dell’uomo, non è opera di Mosè, ma unicamente e solamente opera di Dio.

Vangelo

Gv 8, 31-59
✠ Lettura del vangelo secondo Giovanni

In quel tempo. Il Signore Gesù disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro». Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna. A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio». Gli risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?». Rispose Gesù: «Io non sono indemoniato: io onoro il Padre mio, ma voi non onorate me. Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca, e giudica. In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». Gli dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia». Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo? ». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.

Questo quadro teologico è il quadro in cui dobbiamo collocare la diatriba del Vangelo. Gesù è di fronte a persone che si dichiarano: “figli di Abramo”, come troviamo scritto nella narrazione per più volte. Figli di Abramo, appartenenti al popolo santo di Dio, a quella preziosa eredità che è l’opera del Signore, come diceva l’Esodo. Eppure figli capaci di contestare, figli capaci di richiamarsi a tradizioni vuote, senz’anima. Figli capaci, soprattutto, di non accogliere Gesù, anzi, figli pronti ad ucciderlo, come dice Gesù stesso, dandone anche la spiegazione: “perché la verità non trova posto in voi”. Parole graffianti e dure come pietre, perché Gesù sta dicendo che popolo santo di Dio non è chi formalmente appartiene ad esso, ma chi rinnova la sua appartenenza. Appartenenza che nasce da un ascolto: “chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non mi ascoltate, perché non siete da Dio!”. Il popolo santo di Dio nasce, dunque, da un ascolto, da una chiamata, e si fortifica nell’incontro, in quell’incontro che poteva solo essere adombrato nell’esperienza di Mosè ma che diventa realtà con la presenza stessa di Gesù. Incontro e parola che permettono a Gesù di dire che chi onora il Padre, come Egli fa, “non vedrà mai la morte”, indirizzando così il discorso su quella vita eterna che Egli, il Figlio di Dio, è venuto a donare. Il tutto perché si dia “gloria a Dio”, come Gesù richiama più volte senza, per altro, essere ascoltato.

Galati

Gal 3, 6-14
Lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati

Fratelli, come Abramo «ebbe fede in Dio e gli fu accreditato come giustizia», riconoscete dunque che figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fede. E la Scrittura, prevedendo che Dio avrebbe giustificato i pagani per la fede, preannunciò ad Abramo: «In te saranno benedette tutte le nazioni». Di conseguenza, quelli che vengono dalla fede sono benedetti insieme ad Abramo, che credette. Quelli invece che si richiamano alle opere della Legge stanno sotto la maledizione, poiché sta scritto: «Maledetto chiunque non rimane fedele a tutte le cose scritte nel libro della Legge per metterle in pratica». E che nessuno sia giustificato davanti a Dio per la Legge risulta dal fatto che «il giusto per fede vivrà». Ma la Legge non si basa sulla fede; al contrario dice: «Chi metterà in pratica queste cose, vivrà grazie ad esse». Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge, diventando lui stesso maledizione per noi, poiché sta scritto: «Maledetto chi è appeso al legno», perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse ai pagani e noi, mediante la fede, ricevessimo la promessa dello Spirito.

Per quel popolo che, invece, vive di Dio, ci diceva San Paolo nell’Epistola, si rinnova l’esperienza di benedizione già promessa ad Abramo, il primo ad aver accolto e ad aver seguito la voce di Dio. Esperienza che diventa benedizione anche per gli altri popoli della terra. San Paolo è certo che quella benedizione originaria che era iniziata con i patriarchi e che era poi continuata nel resto del corso della salvezza, trova il suo apice in Cristo e nel nuovo popolo che da lui proviene: il popolo dei cristiani. È attraverso di loro che continua quella benedizione originaria di Dio per i credenti e che, proprio attraverso la Chiesa, si estende su tutta la terra. Abbiamo infatti letto: “perché in Cristo Gesù la benedizione passasse alle genti, e noi, mediante la fede, ricevessimo la promessa dello Spirito”.

Per  noi

Carissimi fedeli che, anche oggi, siete lontani: credo che queste scritture ci consentano una piccola catechesi su quell’articolo del Credo che riguarda la Santa Chiesa.

La chiesa è l’opera di Dio. Lo abbiamo appena detto commentando San Paolo e il vangelo. Spesso vedo che tanti considerano la Chiesa come un’organizzazione, come una sorta di corporazione umana. La chiesa è l’opera di Dio, la chiesa è quel popolo radunato da Dio e nel quale Dio cammina. Un tempo i cristiani erano educati a ritenere la Chiesa “corpo mistico di Cristo”. Forse il termine è lontano nel tempo, eppure la chiesa è e rimane questo: l’opera di Dio. Tutti i cristiani dovrebbero avere quello sguardo di contemplazione e quegli occhi di fede per scorgere in essa nient’altro che questo: l’opera di Dio.

La chiesa è il popolo in mezzo al quale cammina. Bellissima ed efficacissima questa immagine dell’Esodo che ha sempre avuto la consapevolezza di essere popolo scelto da Dio. A maggior ragione noi, popolo di Battezzati che siamo al Chiesa, anche noi chiamati per grazia ad essa.

La Chiesa nasce dalla Parola attorno a Gesù. Il Vangelo è stato molto chiaro in proposito. La Parola di Dio e il Sacramento fanno la Chiesa. Le due cose insieme. Senza la Parola di Dio non ci sarebbe nemmeno la convocazione per essere Chiesa e non ci sarebbe quell’istruzione del popolo di Dio che ci costituisce tali. Come pure, senza questa Parola, non ci sarebbe quel Sacramento che nasce dall’iniziativa di Gesù. Senza la Parola che il Sacerdote – e anche noi tra poco – ripeteremo “in persona Christi”, non ci sarebbe il suo santo corpo e il suo preziosissimo sangue che diventano per noi cibo e bevanda che sostengono il cammino di fede e il cammino della vita.

La Chiesa è un popolo di peccatori perdonati. Ce lo ha detto l’Esodo, il Vangelo e tante pagine che noi potremmo ora richiamare alla nostra memoria. Noi siamo popolo di Dio non solo perché scelti, ma perché popolo di perdonati, popolo di salvati, popolo di redenti da Cristo. Il che ci dice che la santità della Chiesa non è la santità di chi è già santo. Questo riguarda solo quella parte di Chiesa che è la chiesa celeste, la chiesa che già contempla il mistero di Dio. La nostra è una santità in divenire, una santità che nasce anche dal peccato che, perdonato da Cristo, rinnova l’adesione di fede a lui.

La Chiesa è una, apostolica, cattolica. Una perché nasce da Cristo; apostolica perché edificata sul fondamento degli apostoli; cattolica perché diffusa in tutto il mondo. Noi facciamo parte di questa chiesa!

La chiesa è anche la chiesa celeste. Ce lo ha detto Gesù: chi ascolta la Parola, chi crede, non vedrà mai  la morte. Non quella fisica, evidentemente, ma la morte dell’anima.

Vorrei concludere con un’altra citazione. Sono parole di Carlo Carretto sulla Chiesa:

Quanto sei contestabile, Chiesa, eppure quanto ti amo!
Quanto mi hai fatto soffrire, eppure quanto a te devo!
Vorrei vederti distrutta, eppure ho bisogno della tua presenza.
Mi hai dato tanti scandali, eppure mi hai fatto capire la santità!
Nulla ho visto al mondo di più oscurantista, più compresso, più falso e nulla ho toccato di più puro, di più generoso, di più bello.
Quante volte ho avuto la voglia di sbatterti in faccia la porte della mia anima, quante volte ho pregato di poter morire tra le tue braccia sicure.

No, non posso liberarmi di te, perché sono te, pur non essendo completamente te.
E poi, dove andrei?
A costruirne un’altra?
Ma non potrò costruirla se non con gli stessi difetti, perché sono i miei che porto dentro. E se la costruirò, sarà la mia Chiesa, non più quella di Cristo.
Sono abbastanza vecchio per capire che non sono migliore degli altri.

L’altro ieri un amico ha scritto una lettera ad un giornale: “Lascio la Chiesa perché, con la sua compromissione con i ricchi, non è più credibile”. Mi fa pena!
O è un sentimentale che non ha esperienza, e lo scuso; o è un orgoglioso che crede di essere migliore degli altri.
Nessuno di noi è credibile finché è su questa terra…
La credibilità non è degli uomini, è solo di Dio e del Cristo.

Forse che la Chiesa di ieri era migliore di quella di oggi? Forse che la Chiesa di Gerusalemme era più credibile di quella di Roma?
Quando Paolo arrivò a Gerusalemme portando nel cuore la sua sete di universalità, forse che i discorsi di Giacomo sul prepuzio da tagliare o la debolezza di Pietro che si attardava con i ricchi di allora e che dava lo scandalo di pranzare solo con i puri, poterono dargli dei dubbi sulla veridicità della Chiesa, che Cristo aveva fondato fresca fresca, e fargli venire la voglia di andarne a fondare un’altra ad Antiochia o a Tarso?
Forse che a Santa Caterina da Siena, vedendo il Papa che faceva una sporca politica contro la sua città, poteva saltare in capo l’idea di andare sulle colline senesi, trasparenti come il cielo, e fare un’altra Chiesa più trasparente di quella di Roma così spessa, così piena di peccati e così politicante?

…La Chiesa ha il potere di darmi la santità ed è fatta tutta quanta, dal primo all’ultimo, di soli peccatori, e che peccatori!
Ha la fede onnipotente e invincibile di rinnovare il mistero eucaristico, ed è composta di uomini deboli che brancolano nel buio e che si battono ogni giorno contro la tentazione di perdere la fede.
Porta un messaggio di pura trasparenza ed è incarnata in una pasta sporca, come è sporco il mondo.
Parla della dolcezza del Maestro, della sua non-violenza, e nella storia ha mandato eserciti a sbudellare infedeli e torturare eresiarchi.
Trasmette un messaggio di evangelica povertà, e non fa’ che cercare denaro e alleanze con i potenti.

Coloro che sognano cose diverse da questa realtà non fanno che perdere tempo e ricominciare sempre da capo. E in più dimostrano di non aver capito l’uomo.

Perché quello è l’uomo, proprio come lo vede visibile la Chiesa, nella sua cattiveria e nello stesso tempo nel suo coraggio invincibile che la fede in Cristo gli ha dato e la carità del Cristo gli fa vivere.
Quando ero giovane non capivo perché Gesù, nonostante il rinnegamento di Pietro, lo volle capo, suo successore, primo Papa. Ora non mi stupisco più e comprendo sempre meglio che avere fondato la Chiesa sulla tomba di un traditore, di un uomo che si spaventa per le chiacchiere di una serva, era un avvertimento continuo per mantenere ognuno di noi nella umiltà e nella coscienza della propria fragilità.

No, non vado fuori di questa Chiesa fondata su una roccia così debole, perché ne fonderei un’altra su una pietra ancora più debole che sono io.

…E se le minacce sono così numerose e la violenza del castigo così grande, più numerose sono le parole d’amore e più grande è la sua misericordia. Direi proprio, pensando alla Chiesa e alla mia povera anima, che Dio è più grande della nostra debolezza.

E poi cosa contano le pietre? Ciò che conta è la promessa di Cristo, ciò che conta è il cemento che unisce le pietre, che è lo Spirito Santo. Solo lo Spirito Santo è capace di fare la Chiesa con delle pietre mal tagliate come siamo noi!…
E il mistero sta qui.
Questo impasto di bene e di male, di grandezza e di miseria, di santità e di peccato che è la Chiesa, in fondo sono io…

Ognuno di noi può sentire con tremore e con infinito gaudio che ciò che passa nel rapporto Dio-Chiesa è qualcosa che ci appartiene nell’intimo.
In ciascuno di noi si ripercuotono le minacce e la dolcezza con cui Dio tratta il suo popolo di Israele, la Chiesa. A Ognuno di noi Dio dice come alla Chiesa: “Io ti farò mia sposa per sempre” (Osea 2, 21), ma nello stesso tempo ci ricorda la nostra realtà: “La tua impurità è come la ruggine. Ho cercato di toglierla, fatica sprecata! E’ così abbondante che non va via nemmeno col fuoco” (Ezechiele 24, 12).

Ma poi c’è ancora un’altra cosa che forse è più bella. Lo Spirito Santo, che è l’Amore, è capace di vederci santi, immacolati, belli, anche se vestiti da mascalzoni e adulteri.

Il perdono di Dio, quando ci tocca, fa diventare trasparente Zaccheo, il pubblicano, e immacolata la Maddalena, la peccatrice.

E’ come se il male non avesse potuto toccare la profondità più intima dell’uomo. E’ come se l’Amore avesse impedito di lasciar imputridire l’anima lontana dall’amore.

“Io ho buttato i tuoi peccati dietro le mie spalle”, dice Dio a ciascuno di noi nel perdono, e continua: “Ti ho amato di amore eterno; per questo ti ho riservato la mia bontà. Ti edificherò di nuovo e tu sarai riedificata, vergine Israele” (Geremia 3 1, 3-4).

Ecco, ci chiama “vergini” anche quando siamo di ritorno dall’ennesima prostituzione nel corpo, nello spirito e nel cuore.
In questo, Dio è veramente Dio, cioè l’unico capace di fare le “cose nuove”.
Perché non m’importa che Lui faccia i cieli e la terra nuovi, è più necessario che faccia “nuovi” i nostri cuori.
E questo è il lavoro di Cristo.
E questo è l’ambiente divino della Chiesa…

 

Amiamo anche noi una chiesa così e facciamo anche noi parte di una chiesa così!

2020-03-13T11:14:24+01:00