Penultima Domenica dopo l’Epifania
Che cosa avrà mai scritto Gesù, quel giorno, nella sabbia? Avrà poi scritto qualcosa o si sarà fermato solo a scarabocchiare, come fanno i bambini, magari con un legnetto? Non è dato di sapere, ma ci è dato di sapere ben altro.
Vangelo
Gv 8, 1-11
✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo. Il Signore Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».
Anzitutto, come settimana scorsa, il confronto e la diversità abissale tra la parola di Dio e quella dell’uomo.
La parola dell’uomo è già parola di condanna: “Maestro abbiamo trovato questa donna in flagrante adulterio: ora la legge di Mosè ci ha comandato di lapidare donne come questa”. La sentenza è già stata emessa. Non solo: la parola dell’uomo è anche parola di disprezzo: si sente, nell’affermazione che viene proposta, tutto il disprezzo per questa donna, paragonata a una donna di strada. Ancora la parola dell’uomo è appello alla tradizione, al senso del costume condiviso da tutti, senza attenzione alla situazione reale che si ha davanti.
La Parola di Gesù è diversa: anzitutto è ascolto. Gesù non si rifiuta di ascoltare la gente che sta conducendo questa donna, che si presume essere gente piena di livore, gente chiassosa, come vediamo bene nelle immagini del nostro tempo per casi simili. È da questo silenzio che emerge una parola che non è né sulla situazione, né sulla donna, ma una parola che, in generale, ritrae la situazione di ogni uomo: “chi è senza peccato getti per primo la pietra contro di lei”. Parola che ricorda una verità inoppugnabile: tutti gli uomini sono peccatori. Certo, sono diverse le fattispecie di peccato, ma la verità è una sola: tutti gli uomini sono peccatori, ad eccezione di lui, il Figlio di Dio, l’unico che potrebbe scagliare la prima pietra. Ma non lo fa. Infine, la parola di Gesù è invito al cambiamento: “va’ e d’ora in poi non peccare più”. Parola che ristora, da un lato, perché è già concessione del perdono per il passato. Parola che è apertura del futuro: Gesù non chiede di pensare a ciò che è stato, ma a guardare con speranza a ciò che sarà. Gesù chiede alla donna di mutare la sua condizione, di recuperare la fedeltà della vita poiché Dio le ha aperto un orizzonte nuovo. La parola di Gesù è parola di clemenza che chiede un deciso e radicale cambio di vita. Non è a buon prezzo la clemenza del Signore! Certo occorre coraggio e forza per cambiare la vita. Ma questa è l’unica modalità possibile da attuare per avere un modo di vivere diverso, un modo di vivere che si lasci ispirare dalla clemenza di Dio e non sia radicato solamente nella tradizione o in una legge senza cuore che non ascolta le persone.
Parola molto esigente anche per noi, perché ci chiama ad una reale conversione del cuore, non semplicemente ad un’ammissione di ciò che è stato. La clemenza di Dio guarda al futuro e concede a tutti noi ampi spazi di libertà.
Così non sappiamo cosa Gesù abbia scritto per terra, se avrà poi scritto qualcosa! Ma siamo invitati a ricordare che l’uomo, fatto di terra, tratto dalla terra, ha necessariamente bisogno della clemenza di Dio per produrre qualcosa di buono.
Romani
Rm 7, 1-6a
Lettera di san Paolo apostolo ai Romani
O forse ignorate, fratelli – parlo a gente che conosce la legge – che la legge ha potere sull’uomo solo per il tempo in cui egli vive? La donna sposata, infatti, per legge è legata al marito finché egli vive; ma se il marito muore, è liberata dalla legge che la lega al marito. Ella sarà dunque considerata adultera se passa a un altro uomo mentre il marito vive; ma se il marito muore ella è libera dalla legge, tanto che non è più adultera se passa a un altro uomo.
Alla stessa maniera, fratelli miei, anche voi, mediante il corpo di Cristo, siete stati messi a morte quanto alla Legge per appartenere a un altro, cioè a colui che fu risuscitato dai morti, affinché noi portiamo frutti per Dio. Quando infatti eravamo nella debolezza della carne, le passioni peccaminose, stimolate dalla Legge, si scatenavano nelle nostre membra al fine di portare frutti per la morte. Ora invece, morti a ciò che ci teneva prigionieri, siamo stati liberati dalla Legge per servire secondo lo Spirito, che è nuovo.
Si può fare questo, si può corrispondere alla clemenza di Dio solo ad una condizione: quella di appartenere a qualcuno. Quando si decide realmente di cambiare? Quando si muta condotta per sempre? Non certo quando si cerca di attuare uno sforzo della volontà. Lo sapeva bene la donna, che avrà magari tentato 1000 volte di resistere e di troncare quella sua relazione. Ma non ci è riuscita. Al pari di noi che, pur cercando 1000 volte di correggerci sul medesimo peccato, non ci riusciamo e, di fatto, ci confessiamo sempre per cose poco dissimili dalla volta precedente.
Si cambia modi di fare, ci dice San Paolo, quando si scopre di “appartenere” a Cristo. Se io capisco di “essere di Cristo”, perché con il battesimo sono stato inserito in Lui, certo metto la mia volontà e il mio sforzo per cercare di correggermi dalle cose negative della mia esistenza, ma sopra ogni altra cosa invoco l’aiuto di Dio e chiedo che, per grazia, possa essere liberato da quelle realtà che opprimono la mia vita. È l’appartenenza a Cristo, l’ordine della grazia, che unito all’ordine della libertà mi aiuta a compiere quelle scelte che diventano, per me, occasione di conversione.
Baruc
Bar 1, 15a; 2, 9-15a
Lettura del profeta Baruc
Direte in quei giorni: «Il Signore ha vegliato su questi mali e li ha mandati sopra di noi, poiché egli è giusto in tutte le opere che ci ha comandato, mentre noi non abbiamo dato ascolto alla sua voce, camminando secondo i decreti che aveva posto davanti al nostro volto. Ora, Signore, Dio d’Israele, che hai fatto uscire il tuo popolo dall’Egitto con mano forte, con segni e prodigi, con grande potenza e braccio possente e ti sei fatto un nome, qual è oggi, noi abbiamo peccato, siamo stati empi, siamo stati ingiusti, Signore, nostro Dio, verso tutti i tuoi comandamenti. Allontana da noi la tua collera, perché siamo rimasti pochi in mezzo alle nazioni fra le quali tu ci hai dispersi. Ascolta, Signore, la nostra preghiera, la nostra supplica, liberaci per il tuo amore e facci trovare grazia davanti a coloro che ci hanno deportati, perché tutta la terra sappia che tu sei il Signore, nostro Dio».
Illuminante è, poi, la riflessione di Baruc, il quale accennava alla dimensione sociale del peccato. Il popolo di Israele è stato sterminato, molti sono periti, il piccolo resto che è rimasto è, per lo più, esule a Babilonia. Baruc riflette sul perché di tutto questo. Perché il popolo di Dio è stato annientato? Perché Israele è ridotto ai minimi termini? Perché non c’è stata fedeltà a Dio. È il peccato inteso come perdita dei valori di fede ad aver portato tutto il popolo di Israele lontano da Dio e, quindi, lontano da quella fonte di grazia che porta l’uomo alla salvezza ma anche alla stabilità della vita. Ecco perché il profeta chiudeva poi la sua riflessione implorando: “liberaci, Signore, per tuo amore, facci trovare grazia davanti a coloro che ci hanno deportati, perché si sappia che Tu sei il Signore Dio”. Parole bellissime, che ci ricordano che non è la forza di volontà a farci essere giusti davanti a Dio, ma solamente la sua grazia e la sua misericordia, in una parola la sua clemenza. Senza la divina clemenza, non si può operare nulla.
Per Noi
Questa domenica che, insieme alla prossima, ci vuole già traghettare verso il tempo della Quaresima, ha lo scopo di farci chiedere:
- Cosa penso io del peccato?
- Cosa penso io della divina clemenza?
Noi abbiamo del peccato una concezione per lo più personale: il peccato è una faccenda privata tra me e Dio, il peccato riguarda me e Dio soltanto. Senza accorgerci che il peccato, anche quello più personale, anche quello più “segreto”, anche quello che non verrà mai all’orecchio di nessuno, ha sempre una dimensione sociale. Qualsiasi peccato rompe l’alleanza tra gli uomini e Dio, rovina tutta la comunità degli uomini. Forse dovremmo riflettere molto di più sulla dimensione sociale del peccato e, forse, invece di continuare a fare analisi sul nostro tempo, dovremmo capire che non siamo tanto diversi dagli ebrei del tempo dei profeti. Essendoci allontanati dai valori del Vangelo con il nostro peccato personale, abbiamo rovinato tutta la società. Come potremmo pensare che Dio ci guidi, ci protegga ci eviti quelle cose che consideriamo negative, quando il nostro cuore è lontano da Lui? Ecco il richiamo ad una riflessione generale: o sarà tutta la società a riscoprire i valori del Vangelo, tra cui la fedeltà, o ci sarà un ritorno alla fede, oppure non ci sarà miglioramento dell’umanità. Questo dipende anche da noi singoli, dalla nostra personale riscoperta dei valori del Vangelo, dal nostro personale recupero di una fede più intensa e più incisiva per la nostra esistenza.
Una seconda riflessione si impone: cosa penso io della clemenza divina? Ovvero, cosa penso io del mio futuro? È un futuro con Dio? Oppure è un futuro lontano da Dio? Perché, al di là del fatto che siamo tutti peccatori e al di là delle fattispecie di peccato che ci opprimono, a tutti è chiesto di guardare con attesa e speranza viva al nostro futuro, a quel futuro che è lo stare con Dio, nella luce della sua clemenza e del suo perdono misericordioso. Se non abbiamo questa prospettiva, non è nemmeno possibile un anelito di conversione.
Guardiamo all’immagine di Gesù che scrive nella sabbia e chiediamo insieme a Gesù di scrivere, per noi tutti, la parola clemenza. Senza la sua divina clemenza, infatti, siamo perduti.