Settimana della 3 domenica di quaresima – giovedì
La spiritualità di questo giorno di quaresima
“A ciascun giorno basta la sua pena…”. La domanda che vi invito a tenere nel cuore oggi è questa: di che cosa vale la pena preoccuparsi?
La Parola di questo giorno
GENESI 23, 2-20
Lettura del libro della Genesi
In quei giorni. Sara morì a Kiriat-Arbà, cioè Ebron, nella terra di Canaan, e Abramo venne a fare il lamento per Sara e a piangerla. Poi Abramo si staccò dalla salma e parlò agli Ittiti: «Io sono forestiero e di passaggio in mezzo a voi. Datemi la proprietà di un sepolcro in mezzo a voi, perché io possa portar via il morto e seppellirlo». Allora gli Ittiti risposero ad Abramo dicendogli: «Ascolta noi, piuttosto, signore. Tu sei un principe di Dio in mezzo a noi: seppellisci il tuo morto nel migliore dei nostri sepolcri. Nessuno di noi ti proibirà di seppellire il tuo morto nel suo sepolcro». Abramo si alzò, si prostrò davanti al popolo della regione, davanti agli Ittiti, e parlò loro: «Se è secondo il vostro desiderio che io porti via il mio morto e lo seppellisca, ascoltatemi e insistete per me presso Efron, figlio di Socar, perché mi dia la sua caverna di Macpela, che è all’estremità del suo campo. Me la ceda per il suo prezzo intero come proprietà sepolcrale in mezzo a voi». Ora Efron stava seduto in mezzo agli Ittiti. Efron l’Ittita rispose ad Abramo, mentre lo ascoltavano gli Ittiti, quanti erano convenuti alla porta della sua città, e disse: «Ascolta me, piuttosto, mio signore: ti cedo il campo con la caverna che vi si trova, in presenza dei figli del mio popolo te la cedo: seppellisci il tuo morto». Allora Abramo si prostrò a lui alla presenza del popolo della regione. Parlò a Efron, mentre lo ascoltava il popolo della regione, e disse: «Se solo mi volessi ascoltare: io ti do il prezzo del campo. Accettalo da me, così là seppellirò il mio morto». Efron rispose ad Abramo: «Ascolta me piuttosto, mio signore: un terreno del valore di quattrocento sicli d’argento che cosa è mai tra me e te? Seppellisci dunque il tuo morto». Abramo accettò le richieste di Efron e Abramo pesò a Efron il prezzo che questi aveva detto, mentre lo ascoltavano gli Ittiti, cioè quattrocento sicli d’argento, secondo la misura in corso sul mercato. Così il campo di Efron, che era a Macpela, di fronte a Mamre, il campo e la caverna che vi si trovava e tutti gli alberi che erano dentro il campo e intorno al suo limite passarono in proprietà ad Abramo, alla presenza degli Ittiti, di quanti erano convenuti alla porta della città. Poi Abramo seppellì Sara, sua moglie, nella caverna del campo di Macpela di fronte a Mamre, cioè Ebron, nella terra di Canaan. Il campo e la caverna che vi si trovava passarono dagli Ittiti ad Abramo in proprietà sepolcrale.
SALMO Sal 118 (119), 81-88
Mostrami, Signore, la luce del tuo volto.
Mi consumo nell’attesa della tua salvezza,
spero nella tua parola.
Si consumano i miei occhi per la tua promessa,
dicendo: «Quando mi darai conforto?». R
Io sono come un otre esposto al fumo,
non dimentico i tuoi decreti.
Quanti saranno i giorni del tuo servo?
Quando terrai il giudizio contro i miei persecutori? R
Mi hanno scavato fosse gli orgogliosi,
che non seguono la tua legge.
Fedeli sono tutti i tuoi comandi.
A torto mi perseguitano: vieni in mio aiuto! R
Per poco non mi hanno fatto sparire dalla terra,
ma io non ho abbandonato i tuoi precetti.
Secondo il tuo amore fammi vivere
e osserverò l’insegnamento della tua bocca. R
PROVERBI 11, 23-28
Lettura del libro dei Proverbi
Figlio mio, la brama dei giusti è solo il bene, la speranza degli empi è la collera. C’è chi largheggia e la sua ricchezza aumenta, c’è chi risparmia oltre misura e finisce nella miseria. La persona benefica prospererà e chi disseta sarà dissetato. Chi accaparra il grano è maledetto dal popolo, la benedizione sta sul capo di chi lo vende. Chi è sollecito del bene incontra favore e chi cerca il male, male gli accadrà. Chi confida nella propria ricchezza cadrà, i giusti invece rinverdiranno come foglie.
VANGELO Mt 6, 25-34
✠ Lettura del Vangelo secondo Matteo
In quel tempo. Il Signore Gesù diceva ai suoi discepoli: «Io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupa te? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena».
Il discorso della montagna
Anche se la cultura mediorientale è molto diversa dalla nostra, e anche se la società semitica del tempo del Signore è distantissima dalla nostra, è però vero che, anche a quel tempo, ci si preoccupava per molte cose. Il Signore Gesù vede gente che si dà da fare, che lavora, che cerca di fare tutto quello che le è possibile per arrivare ad un tenore di vita decente, ad un modo di vivere che sia oltre l’indigenza…
Mentre il Signore osserva tutte queste cose, gli capita anche di passeggiare con i discepoli, o forse di spostarsi da un luogo all’altro. È allora che l’occhio cade sui fiori che crescono spontanei in un campo o è allora che il Signore alza gli occhi al cielo per vedere le traiettorie degli uccelli che volano. Uno sguardo di contemplazione, con il quale il Signore intuisce che nulla avviene mai per caso e che il Padre, autore di ogni cosa e creatore, non smette mai di prendersi cura, con amore, di tutto ciò che appartiene alla creazione. Non c’è aspetto di essa che venga trascurato. È proprio da questo sguardo di contemplazione sulle realtà che vede, che il Signore trova la forza per porre una domanda a chi è con lui: “il Padre non farà molto più per voi, gente di poca fede”?
Questa provocazione del Signore non è, però, un incentivo al disimpegno, a lasciar andare le cose come devono andare, a non interessarsi della realtà in cui si vive. Come sappiamo molti altri passi del Vangelo ci dicono il contrario e ci aiutano a ricordare che tutti siamo invitati a mettere a frutto i talenti, le possibilità, le doti che il Signore ci ha dato per cambiare il mondo e, si spera, per lasciarlo un poco migliore di come lo abbiamo trovato. Le due cose si devono conciliare insieme. C’è e ci deve essere tutto lo spazio per la fantasia, l’impegno, la laboriosità, la capacità di mettere a frutto tutto ciò che si è ricevuto, ma ci deve anche essere lo spazio per Dio. Il credente non si deve mai angustiare nelle cose del tempo, chiedendo a Dio quella benedizione che gli è necessaria per operare bene nella creazione.
Come si fa a fare tutto questo? Chi può fare questo? Solo chi fa come Gesù, ovvero chi coltiva uno sguardo puro, di contemplazione sulle cose, di servizio al creato. Chi non ha questo sguardo di contemplazione, chi non sa contemplare il bello che c’è e che si vede, chi non sa mai ringraziare il Signore per quello che capita di fare o che viene semplicemente offerto dalla natura, non riesce a capire che tutti siamo chiamati a rispettare quello che abbiamo ricevuto. La Quaresima serve anche a questo. Ecco perché, insegnandoci il giusto distacco dalle cose, la Quaresima vuole metterci nella posizione di chi sa lodare Dio per tutto quello che c’è e, in questo, permetterci di recuperare un giusto spazio di tempo che non sia di operatività, produzione, fruizione, ma, appunto, di pura contemplazione che permette, poi, di non rovinare quello che abbiamo e il mondo in cui viviamo.
Il nostro cammino di fede
La contemplazione del crocifisso ci porta a tutto questo. Alzare lo sguardo, metterci di fronte ad un crocifisso, pregare, chiedere a Lui le cose che ci stanno a cuore e che non riusciamo a fare da soli, sentirsi sostenuti dalla sua presenza che c’è, è reale, si rinnova ogni giorno, è ciò che ci aiuta e che ci mette in grado di sfuggire a quella logica perversa che è la logica della fruizione, del consumo, della preoccupazione.
Per cosa vale la pena di preoccuparsi? Dipende. Dipende da come è fatta la nostra vita. Tutti abbiamo preoccupazioni serie che portiamo nel cuore, per noi o per i nostri cari. Queste preoccupazioni diventano il cuore del nostro personale e privato dialogo con Dio. È questo quello che deve nutrire la nostra preghiera, non solo in Quaresima, ma ogni giorno. Ci sono altre preoccupazioni che sono esagerate, che non sono tali, che non devono riempire il cuore, che non possono gravare su di noi in modo esagerato. È di queste che ci dobbiamo preoccupare per primo e che dobbiamo lasciare prima che ci rovinino. Le altre non passeranno, ma sapendo che il Signore le custodisce nella sua preghiera, nel suo cuore, e sapendo anche che ci darà la forza per superarle, anche noi possiamo trovare pace.
Intenzioni di preghiera
Oggi, più che un’intenzione, vi consiglio un esercizio, che magari potete fare anche nei prossimi giorni. Andate in chiesa, mettetevi davanti al crocifisso. Fate passare tutte le preoccupazioni, tutte le tribolazioni che avete. Provate, alla luce del discorso della montagna, a verificare cosa vale la pena di trattenere, cosa, invece, è meglio lasciare cadere. Provate a cercare di capire che cosa è bene che pesi sul cuore e, invece, come possiamo fare con tutte quelle realtà che, magari, avvertiamo in maniera esagerata e che non sono il cuore della storia né nostra né di Dio. Troveremo così ristoro per le nostre anime e impareremo a non esagerare le preoccupazioni che rischiano di toglierci il gusto per le cose belle della vita.