Settimana della seconda domenica dopo Pentecoste – Mercoledì
Vangelo
Lc 5, 33-35
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca
In quel tempo. I farisei e gli scribi dissero al Signore Gesù: «I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere, così pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono!». Gesù rispose loro: «Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora in quei giorni digiuneranno».
La “novità di vita” con la quale stiamo cercando di rileggere questi vangeli della settimana, giunge, oggi, ad un suo culmine. Gesù sembra scardinare i cardini della religione ebraica su cui per secoli, si è basato tutto il popolo ebraico. Giorni di digiuno, norme per la purificazione e cose simili, erano molto apprezzate e tenute in grande considerazione da tutti. Dio chiama alla penitenza, alla conversione, alla mortificazione… era l’idea comune e prevalente in tutto il popolo ebraico. Quando appare Gesù che mangia e che beve, quando appare Gesù che sta con i peccatori, dialoga con i malati, tocca i lebbrosi e che pure scardina altri importanti pilastri della fede ebraica, è chiaro che genera un contesto di opposizione grande.
Gesù precisa. “Novità di vita” e “sovvertimento delle regole” non sono propriamente la stessa cosa. Gesù si richiama spesso alle norme basilari della fede ebraica, così, come abbiamo sentito oggi, Gesù non vuole scardinare i fondamenti del digiuno e della penitenza, che, anzi, sono sempre validi. Gesù però chiede di discernere il tempo. Ci sono momento in cui è giusto digiunare, ma anche momenti in cui è giusto mangiare, in nome, per esempio, della carità, che è ben oltre qualsiasi altra norma dell’uomo. Ciò che Gesù insegna è, dunque, la duplice attenzione all’uomo e ai segni dei tempi. Non l’osservanza di norme senza cuore, ma il cuore prima della norma, il bene della coscienza e dell’anima prima e sopra del rispetto di una legge che, senza quest’anima, non avrebbe nemmeno senso di essere.
Ecco il senso di una novità di vita che non è scardinamento banale, ribellione, sostituzione delle regole, ma comprensione del loro vero spirito e attenzione a quella novità di vita che esse portano e realizzano nel cuore del credente.
Esodo
Lettura del libro dell’Esodo
In quei giorni. Amalèk venne a combattere contro Israele a Refidìm. Mosè disse a Giosuè: «Scegli per noi alcuni uomini ed esci in battaglia contro Amalèk. Domani io starò ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio». Giosuè eseguì quanto gli aveva ordinato Mosè per combattere contro Amalèk, mentre Mosè, Aronne e Cur salirono sulla cima del colle. Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole. Giosuè sconfisse Amalèk e il suo popolo, passandoli poi a fil di spada. Allora il Signore disse a Mosè: «Scrivi questo per ricordo nel libro e mettilo negli orecchi di Giosuè: io cancellerò del tutto la memoria di Amalèk sotto il cielo!». Allora Mosè costruì un altare, lo chiamò: «Il Signore è il mio vessillo».
Se non vogliamo che la lettura dell’Esodo diventi addirittura pericolosa, abbiamo ben bisogno di comprenderla. Infatti potrebbe dare adito ad un certo fondamentalismo. Mosè sta conducendo il popolo di Israele che, come ogni esodo di persone, come ogni “migrazione”, genera tensione, modi di vedere le cose diversi, opposizioni di vario genere e tipo. Mosè non è preoccupato altro che di dare corpo a quella novità di vita in cui Dio stesso ha voluto introdurre il suo popolo. Per questo non teme l’opposizione che si scatena contro il suo stesso popolo: Egli sa che Dio farà qualcosa. Ecco perché non prepara un esercito forte – e come avrebbe potuto in mezzo ad un deserto? – ma si affida a Dio, si affida alla preghiera, si lascia guidare dal Signore, che lo sostiene in ogni cosa. La vittoria che si ottiene per mezzo della preghiera indica solo questo: Dio porta sempre a compimento quella novità di vita che ha messo nel cuore dell’uomo. Non è questione di capacità, o di merito, o di bravura. Dio porta a compimento la novità di vita nell’uomo che si affida a lui. È solo nella preghiera, di cui le mani tese di Mosè sono simbolo, che si acquisisce quella novità di vita che il Signore sa realizzare sempre.
Per noi.
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- Vivo la religione come un insieme di norme da seguire o vivo quella novità dello spirito che è ricerca del volto di Dio lì dove esso brilla?
- Sono anch’io un po’ “fondamentalista” o sento che Dio mi chiama a rinnovarmi attraverso una preghiera incessante?
La festa del Sacratissimo cuore di Gesù alla quale ci stiamo preparando e alla quale stiamo tendendo, ci dice proprio questo: è solo in un costante rinnovamento dello spirito di preghiera, che si rinnova la tua vita. Quest’anno abbiamo sperimentato cosa significa rimanere, per lungo tempo, senza la Messa, che è la forma più alta di preghiera e quella più efficace: il corpo di Cristo, quando entra in noi, produce frutti inattesi e insperati. Ora che siamo tornati a celebrare la Messa e, soprattutto, a cibarci del Corpo e del Sangue di Cristo, dovremmo vedere che effetto hanno dentro di noi. Senza questo costante rinnovamento interiore, anche la nostra vita si spegne e la nostra certezza di rinnovarci costantemente nel Signore, langue.
Strappiamo via da noi ogni fondamentalismo, ogni superstizione, cancelliamo pure gesti vecchi e che non ci dicono più nulla, ma non smettiamo di tendere al Signore e di domandarci come lui rinnova la nostra vita.