Settimana della 12 domenica dopo Pentecoste – martedì – San Massimiliano Maria Kolbe
Esdra
Esd 4, 1-16
Lettura del libro di Esdra
In quei giorni. Quando i nemici di Giuda e di Beniamino vennero a sapere che gli esuli rimpatriati stavano costruendo un tempio al Signore, Dio d’Israele, si presentarono a Zorobabele e ai capi di casato e dissero: «Vogliamo costruire anche noi insieme con voi, perché anche noi, come voi, cerchiamo il vostro Dio; a lui noi facciamo sacrifici dal tempo di Assarhàddon, re d’Assiria, che ci ha fatto salire qui». Ma Zorobabele, Giosuè e gli altri capi di casato d’Israele dissero loro: «Non conviene che costruiamo insieme una casa al nostro Dio; noi soltanto la costruiremo al Signore, Dio d’Israele, come Ciro, re di Persia, ci ha ordinato ». Allora la popolazione locale si mise a scoraggiare il popolo dei Giudei e a intimorirlo perché non costruisse. Inoltre con denaro misero contro di loro alcuni funzionari, per far fallire il loro piano; e ciò per tutto il tempo di Ciro, re di Persia, fino al regno di Dario, re di Persia. [Durante il regno di Serse, al principio del suo regno, essi presentarono una denuncia contro gli abitanti di Giuda e di Gerusalemme. Poi al tempo di Artaserse, Bislam, Mitridate, Tabeèl e gli altri loro colleghi scrissero ad Artaserse re di Persia: il testo del documento era in caratteri aramaici e tradotto in aramaico. Recum, governatore, e Simsài, scriba, scrissero al re Artaserse contro Gerusalemme la lettera seguente: «Da parte di Recum, governatore, e Simsài, scriba, e gli altri loro colleghi giudici e prefetti, uomini di Tarpel, di Persia, di Uruc, di Babilonia e di Susa, cioè di Elam, e altri popoli che il grande e illustre Asnappàr deportò e stabilì nella città di Samaria e nel resto della regione dell’Oltrefiume…». Questa è la copia della lettera che gli mandarono: «Al re Artaserse i tuoi servi, uomini della regione dell’Oltrefiume. Sia noto al re che i Giudei che sono partiti da te e sono venuti presso di noi, a Gerusalemme, stanno ricostruendo la città ribelle e malvagia: hanno terminato le mura e riparato le fondamenta. Ora sia noto al re che, se quella città è ricostruita e le mura sono riparate, tributi, imposte e tasse non saranno più pagati e questo danneggerà i re. Ora, poiché noi mangiamo il sale della reggia e per noi non è decoroso stare a guardare la spoliazione del re, mandiamo informazioni al re, perché si facciano ricerche nel libro delle memorie dei tuoi padri: tu troverai nel libro delle memorie e constaterai che quella città è una città ribelle, causa di guai per re e province, e vi hanno fatto sedizioni fin dai tempi antichi. Per questo quella città è stata distrutta. Noi informiamo il re che, se quella città è ricostruita e le mura sono riparate, non avrai più possedimenti nella regione dell’Oltrefiume».]
Questa settimana rileggiamo alcune pagine molto belle del libro di Esdra. Hanno un sapore storico, infatti ricordano la vicenda legata a quest’uomo che è il grande ricostruttore del tempio di Gerusalemme, colui che, dopo la deportazione, ebbe il compito e l’onore di ristabilire il culto nel tempio di Gerusalemme.
La pagina che leggiamo oggi è molto lontana dal nostro modo di vedere le cose. Come abbiamo sentito, il primo gruppo di Ebrei che ritorna per ricostruire la città e il tempio di Gerusalemme registra l’offerta dei “nemici” di Israele di collaborare all’opera. Sembra una cosa bella, sembra un’opera da accettare e per la quale lavorare. Invece, come abbiamo sentito non è così. La mano tesa viene rifiutata, la collaborazione viene subito stroncata. Come mai? Perché questo atteggiamento poco collaborativo? Perché rifiutare coloro che, poi, sdegnati, avrebbero di fatto ostacolato l’opera?
Israele è molto “geloso” della propria identità e della propria autonomia. Sa bene che accettare l’aiuto di stranieri corromperebbe la loro stessa opera e inquinerebbe la loro intenzione che, per essere “pura”, deve essere aliena da ogni contaminazione straniera. Ovviamente dobbiamo calarci nella mentalità del tempo. Israele non vuole aiuti perché vuole custodire la propria fede. Non ci si può mischiare con gli infedeli. Questo il messaggio forte che deve passare.
Vangelo
Lc 12, 49-53
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca
In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».
Però qualcosa del genere ci veniva detto anche dal Vangelo. Perché il Vangelo diventa fonte di divisione? Perché ci si schiera contrapposti l’uno all’altro? La fede non dovrebbe unire invece che dividere? Certo, la fede, la lode di Dio, unisce. Ma chi si chiude alla conoscenza di Dio, chi non vuole conoscere il suo mistero, può davvero avere qualcosa da condividere con coloro che, invece e al contrario, lo ricercano? Gesù dice chiaramente che, dopo la sua venuta, ci si sarebbe divisi. Ci sarebbero stati coloro che, cercandolo, avrebbero lodato il suo nome e coloro che, pur conoscendo il suo nome, si sarebbero chiusi a qualsiasi conoscenza di Dio. Il desiderio di Dio sarebbe quello di accendere il fuoco della conoscenza del suo mistero in ciascuno. Questo “fuoco” non arde, però, se non c’è il desiderio vivo di conoscere il Signore. Dove manca il desiderio, Dio non si impone.
Per noi
Lo sapeva molto bene il martire di cui oggi facciamo memoria, San Massimiliano Maria Kolbe. Un uomo che ha lasciato che si accendesse in lui il fuoco della conoscenza del mistero di Dio, un uomo che ha permesso che il suo cuore fosse tutto preso dalla conoscenza del Padre. Un uomo che ha avuto a che fare con coloro che, pur cristiani, pur conoscendo la rivelazione di Dio in Cristo, chiusero il loro cuore all’amore di Dio e collaborarono al disegno di male e di repressione ordinato contro il popolo di Israele e contro coloro che, nel nome di Dio, pur non appartenendo al popolo ebraico, ne avrebbero condiviso la sorte. Anime nobili e preziose, come i molti sacerdoti, suore, frati ma anche pastori di altre confessioni religiose che, in nome della libertà e della verità vennero perseguitati e deportati nei medesimi campi di sterminio dove avrebbero incontrato la morte, insieme a numerosi uomini e donne deportati a vario titolo. Massimiliano Maria non permise che nemmeno l’orrore della guerra e nemmeno la deportazione nazista soffocassero quel desiderio di vedere il volto di Dio che era in lui. Pur nell’orrore del lager egli seppe mantenere fisso il suo sguardo sul Signore e, rinchiuso nel bunker della fame, dopo aver preso il posto di un altro prigioniero, sarebbe morto dopo una resistenza protratta contro ogni limite umano. Deve essere stato terribile vedere uomini e donne cristiani nei diversi e opposti schieramenti di persecutori e perseguitati. Evidentemente non in tutti il fuoco della fede ardeva allo stesso modo.
Nel nome di Massimiliano Maria Kolbe, credo che la grazia da chiedere oggi sia proprio quella di avere un cuore che sappia ardere di passione per il Signore e, per questo, sappia anche prendere posizione per la Verità. Oggi siamo in un contesto molto diverso da quello della guerra mondiale, eppure non siamo certo in un tempo nel quale possiamo dire che la Verità di Dio è riconosciuta, amata, cercata. Chiediamo al Signore anche per intercessione di Massimiliano Maria di avere un cuore capace di infiammarsi ancora, per saper cercare la verità e per saper costruire quel tempio necessario ed indispensabile a tutti che è la coscienza dell’uomo.