Feria prenatalizia 1: vivere il quotidiano.
Mistero dell’Incarnazione,
feria prenatalizia 1.
C’è un valore del quotidiano che tutti noi siamo chiamati a riconoscere, ad interpretare e, soprattutto, a scoprire e a vivere. Perché il Natale è una festa che illumina il quotidiano, rendendo ragione di ogni cosa che, in esso, viene proposto alla nostra vita.
Vangelo
Lc 1, 1-17
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca
Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.
Al tempo di Erode, re della Giudea, vi era un sacerdote di nome Zaccaria, della classe di Abia, che aveva in moglie una discendente di Aronne, di nome Elisabetta. Ambedue erano giusti davanti a Dio e osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore. Essi non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni. Avvenne che, mentre Zaccaria svolgeva le sue funzioni sacerdotali davanti al Signore durante il turno della sua classe, gli toccò in sorte, secondo l’usanza del servizio sacerdotale, di entrare nel tempio del Signore per fare l’offerta dell’incenso. Fuori, tutta l’assemblea del popolo stava pregando nell’ora dell’incenso. Apparve a lui un angelo del Signore, ritto alla destra dell’altare dell’incenso.
Quando lo vide, Zaccaria si turbò e fu preso da timore. Ma l’angelo gli disse: «Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, e tu lo chiamerai Giovanni. Avrai gioia ed esultanza, e molti si rallegreranno della sua nascita, perché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà colmato di Spirito Santo fin dal seno di sua madre e ricondurrà molti figli d’Israele al Signore loro Dio. Egli camminerà innanzi a lui con lo spirito e la potenza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto».
Il quotidiano di Zaccaria, un sacerdote che fa onestamente il suo lavoro. Non appartiene ai sacerdoti nobili del tempio: è un sacerdote di periferia, un sacerdote che giunge a Gerusalemme per compiere il servizio che gli viene richiesto e che, per il resto del tempo, se ne sta nel suo paesino di provincia, Ain Karim, per vivere lì, tra la sua gente, con la sua famiglia, quella ricerca del volto di Dio che ha appassionato la sua vita. Un sacerdote povero che vive una mancanza grande: non avere figli. Un matrimonio felice il suo: egli ama Elisabetta, ha condiviso con lei l’esistenza, non ha cercato altre donne per dare corso al suo sogno. È un uomo che vive, come tutti, la fatica del quotidiano, tirando avanti, come si può. Ma è dentro questo quotidiano che ha la rivelazione che sconvolge la sua vita: avere, in tarda età, il figlio atteso e mai avuto; avere un ruolo preciso nella storia della salvezza, lui che proveniva da un paese da nulla e che non aveva né titoli, né onori, né gloria; attendere un futuro che diventa importante non solo per sé o per i propri cari, ma per l’intera umanità: da lui nasce quell’uomo che sarà “il più grande tra i nati di donna”, segno e richiamo per tutte le generazioni a venire, compresa la nostra. È la quotidianità benedetta di Zaccaria.
Rut
1, 1-14
Inizia la lettura del libro di Rut
Al tempo dei giudici, ci fu nel paese una carestia e un uomo con la moglie e i suoi due figli emigrò da Betlemme di Giuda nei campi di Moab. Quest’uomo si chiamava Elimèlec, sua moglie Noemi e i suoi due figli Maclon e Chilion; erano Efratei, di Betlemme di Giuda. Giunti nei campi di Moab, vi si stabilirono. Poi Elimèlec, marito di Noemi, morì ed essa rimase con i suoi due figli. Questi sposarono donne moabite: una si chiamava Orpa e l’altra Rut. Abitarono in quel luogo per dieci anni. Poi morirono anche Maclon e Chilion, e la donna rimase senza i suoi due figli e senza il marito. Allora intraprese il cammino di ritorno dai campi di Moab con le sue nuore, perché nei campi di Moab aveva sentito dire che il Signore aveva visitato il suo popolo, dandogli pane. Partì dunque con le due nuore da quel luogo ove risiedeva e si misero in cammino per tornare nel paese di Giuda. Noemi disse alle due nuore: «Andate, tornate ciascuna a casa di vostra madre; il Signore usi bontà con voi, come voi avete fatto con quelli che sono morti e con me! Il Signore conceda a ciascuna di voi di trovare tranquillità in casa di un marito». E le baciò. Ma quelle scoppiarono a piangere e le dissero: «No, torneremo con te al tuo popolo». Noemi insistette: «Tornate indietro, figlie mie! Perché dovreste venire con me? Ho forse ancora in grembo figli che potrebbero diventare vostri mariti? Tornate indietro, figlie mie, andate! Io sono troppo vecchia per risposarmi. Se anche pensassi di avere una speranza, prendessi marito questa notte e generassi pure dei figli, vorreste voi aspettare che crescano e rinuncereste per questo a maritarvi? No, figlie mie; io sono molto più amareggiata di voi, poiché la mano del Signore è rivolta contro di me». Di nuovo esse scoppiarono a piangere. Orpa si accomiatò con un bacio da sua suocera, Rut invece non si staccò da lei.
Così come la quotidianità benedetta di Rut. Una donna, una straniera che vive un sogno: sposare l’uomo che ama e cercare con lui il senso dei propri giorni e un futuro. Ma ecco l’imprevisto: non giungono figli, l’uomo si ammala, Rut rimane sola. Non solo, sente la responsabilità della suocera, una donna che ha perso tutto: il marito, i figli, il lavoro, la patria… Che valore può avere la quotidianità di questa donna? Nessuno, se non rimandare alla fatica del vivere che le donne di quel tempo in questa condizione, soffrivano. Una quotidianità fatta di solitudine: non c’è più nessuno con cui condividere la vita. Una quotidianità fatta di fatica: una donna non aveva tutele sociali e poteva al massimo ambire a quei lavoretti con i quali cercare di sopravvivere, sebbene con difficoltà grande. Una quotidianità fatta di incertezze: come vivere in un paese straniero? È la vita dei migranti, è la vita di chi ha cercato fortuna all’estero e non ha trovato altro che dolore, solitudine, difficoltà… Tutto è naufragato e verrebbe più da maledire ogni singolo giorno, piuttosto che ricordare il sogno che aveva generato quelle scelte di vita. Eppure, sarà dentro questa quotidianità che brillerà una promessa. Un quotidiano che è fatto di fedeltà: Rut rimane fedele a Noemi, non la lascia, non l’abbandona, non si ritira. Il quotidiano promettente è il quotidiano della fedeltà.
Ester
1, 1a-1r. 1-5. 10a. 11-12; 2, 1-2. 15-18
Inizia la lettura del libro di Ester
Nel secondo anno di regno del grande re Artaserse, il giorno primo di Nisan, Mardocheo, figlio di Giàiro, figlio di Simei, figlio di Kis, della tribù di Beniamino, ebbe in sogno una visione. Egli era un Giudeo che abitava nella città di Susa, un uomo ragguardevole, che prestava servizio alla corte del re e proveniva dal gruppo degli esuli che Nabucodònosor, re di Babilonia, aveva deportato da Gerusalemme con Ieconia, re della Giudea. Questo fu il suo sogno: ecco, grida e tumulto, tuoni e terremoto, sconvolgimenti sulla terra. Ed ecco: due enormi draghi avanzarono, tutti e due pronti alla lotta, e risuonò potente il loro grido. Al loro grido ogni nazione si preparò alla guerra, per combattere contro il popolo dei giusti. «Ecco, un giorno di tenebre e di caligine! Tribolazione e angustia, afflizione e grandi sconvolgimenti sulla terra!» Tutta la nazione dei giusti rimase sconvolta: essi, temendo la propria rovina, si prepararono a morire e levarono a Dio il loro grido. Ma dal loro grido, come da una piccola fonte, sorse un grande fiume con acque abbondanti. Apparvero la luce e il sole: gli umili furono esaltati e divorarono i superbi.
Mardocheo allora si svegliò: aveva visto questo sogno e quello che Dio aveva deciso di fare; in cuor suo continuava a ripensarvi fino a notte, cercando di comprenderlo in ogni suo particolare. Mardocheo alloggiava alla corte con Gabatà e Tarra, i due eunuchi del re che custodivano la corte. Intese i loro ragionamenti, indagò sui loro disegni e venne a sapere che quelli si preparavano a mettere le mani sul re Artaserse. Allora ne avvertì il re. Il re sottopose i due eunuchi a un interrogatorio: essi confessarono e furono tolti di mezzo.
Poi il re fece scrivere questi fatti nelle cronache e anche Mardocheo li mise per iscritto. Il re costituì Mardocheo funzionario della corte e gli fece regali in compenso di queste cose.
Ma vi era anche Amàn, figlio di Amadàta, il Bugeo, che era molto stimato presso il re e cercò il modo di fare del male a Mardocheo e al suo popolo, per questa faccenda che riguardava i due eunuchi del re.
Dopo queste cose, [al tempo di Artaserse – quell’Artaserse che regnava dall’India sopra centoventisette province –, proprio in quel tempo il re Artaserse, che regnava nella città di Susa, l’anno terzo del suo regno fece un banchetto per gli amici e per quelli delle altre nazionalità, per i nobili dei Persiani e dei Medi e per i prefetti delle province.
Dopo aver mostrato loro le ricchezze del suo regno e il fasto attraente della sua ricchezza per centottanta giorni, quando si compirono i giorni delle nozze, il re fece un banchetto per i rappresentanti delle nazioni che si trovavano nella città, per sei giorni, nella sala della reggia. Il settimo giorno il re, euforico per il vino, ordinò di far venire davanti a lui la regina per intronizzarla, ponendole sul capo il diadema, e per mostrare ai prìncipi e alle nazioni la sua bellezza: era infatti molto bella. Ma la regina Vasti rifiutò di andare con gli eunuchi. Il re ne fu addolorato e irritato.
Dopo questi fatti, l’ira del re si placò ed egli non si ricordò più di Vasti, avendo presente quello che lei aveva detto e come egli l’aveva ormai condannata. Dissero allora i servi del re: «Si cerchino per il re fanciulle incorrotte e belle». Quando per Ester, figlia di Aminadàb, fratello del padre di Mardocheo, si compì il tempo di entrare dal re, ella nulla tralasciò di quello che le aveva ordinato l’eunuco, il custode delle donne; Ester infatti trovava grazia presso tutti quelli che la vedevano.] Ester entrò dal re Artaserse nel dodicesimo mese, chiamato Adar, l’anno settimo del suo regno. Il re si innamorò di Ester: ella trovò grazia più di tutte le fanciulle e perciò egli pose su di lei la corona regale. Poi il re fece un banchetto per tutti i suoi amici e i potenti per sette giorni, volendo solennizzare così le nozze di Ester; condonò pure i debiti a tutti quelli che erano sotto il suo dominio.
C’è anche il quotidiano di una corte, fatto di intrighi e congiure, fatto di rivalità e di gelosie, fatto di mogli e di concubine, fatto di feste, ricevimenti, le cose che si fanno nei palazzi della politica, nei palazzi dei re. Anche questo quotidiano che, apparentemente è lontanissimo da Dio, non lo è nella realtà delle cose. È un quotidiano benedetto da Lui, dalla sua presenza, dalla sua vicinanza all’uomo, tanto che anche quel quotidiano diventerà occasione, per Dio, di mostrare la sua onnipotenza e la sua vicinanza al suo popolo. Tutti i protagonisti della scena nobile con cui si apre il libro di Ester, faranno qualcosa per Israele.
La novena di Natale/2: vivere il quotidiano
C’è un quotidiano per ciascuno di noi, fatto per alcuni di studio per altri di lavoro, per altri di pensione, di distacco progressivo dalle attività normali della vita. Per alcuni è un quotidiano ricco di affetti, fatto di famiglia, per altri è un quotidiano fatto di solitudine, perché, ormai, tutti se ne sono andati e, ormai, si è in prima fila per andarsene. C’è un quotidiano fatto di intenso correre per cercare di fare bene ogni cosa e c’è un quotidiano fatto di tempo libero e di spazi inabitati… ciascuno di noi ha il suo quotidiano. Questa feria prenatalizia ci dice di amare il nostro quotidiano, di custodire il nostro quotidiano, in qualsiasi modo è fatto. C’è una promessa di bene nel quotidiano che non c’è altrove! C’è una presenza di Dio, nel quotidiano, che non va cercata in altre cose. C’è una benedizione, nel quotidiano, che può essere solo lì e non altrove. C’è, nel quotidiano, una promessa di bene grande.
Preparare il Natale significa anche questo: custodire quel quotidiano nel quale si rivela, a noi tutti, la presenza di Dio. Vivere bene il proprio quotidiano è già avere una garanzia di pace e di benedizione.
Di che cosa è fatto il mio quotidiano?
Come vivo il mio quotidiano?
Quale benedizione c’è per questa giornata?