Settimana della penultima domenica dopo l’Epifania – martedì
Meditiamo insieme le Scritture.
Sapinza
Sap 17, 1-2. 5-7. 20 – 18, 1a. 3-4
Lettura del libro della Sapienza
I tuoi giudizi sono grandi e difficili da spiegare; per questo le anime senza istruzione si sono ingannate. Infatti gli ingiusti, avendo preteso di dominare il popolo santo, prigionieri delle tenebre e incatenati a una lunga notte, chiusi sotto i loro tetti, giacevano esclusi dalla provvidenza eterna.
Nessun fuoco, per quanto intenso, riusciva a far luce, neppure le luci più splendenti degli astri riuscivano a rischiarare dall’alto quella notte cupa. Appariva loro solo una massa di fuoco, improvvisa, tremenda; atterriti da quella fugace visione, credevano ancora peggiori le cose che vedevano. Fallivano i ritrovati della magia, e il vanto della loro saggezza era svergognato. Soltanto su di loro si stendeva una notte profonda, immagine della tenebra che li avrebbe avvolti; ma essi erano a se stessi più gravosi delle tenebre. Per i tuoi santi invece c’era una luce grandissima.
Desti loro una colonna di fuoco, come guida di un viaggio sconosciuto e sole inoffensivo per un glorioso migrare in terra straniera. Meritavano di essere privati della luce e imprigionati nelle tenebre quelli che avevano tenuto chiusi in carcere i tuoi figli, per mezzo dei quali la luce incorruttibile della legge doveva essere concessa al mondo.
“I tuoi giudizi, Signore, sono grandi e difficili da spiegare: per questo le anime senza istruzione si sono ingannate”. Il libro della sapienza ci pone davanti un confronto attualissimo anche ai nostri giorni: quello tra l’uomo che non crede in Dio o che, per lo meno non ha fede, e, al contrario, l’uomo di fede.
L’uomo che non ha fede giudica le cose secondo la sua esperienza, secondo la sua intelligenza, secondo i criteri che sono nel suo cuore. Per questo egli si inganna. Non potendo mai conoscere la Verità delle cose che è Dio, egli emette, per forza di cose, giudizi parziali, imperfetti, viziati, ingannandosi su molte delle cose che vede, sente, gusta, vive. Per questo il non credente vive “in una notte cupa”, e anche se ci sono molte luci attorno a lui, egli non volendole vedere, non può mutare la propria esistenza, la propria vita, il proprio destino. Il giudizio del sapiente è netto e tagliente: “essi erano a se stessi più gravosi delle tenebre”. Cioè il comportamento dell’uomo che punta tutto sulle sue capacità, che non trova in nessun modo il gusto per la ricerca della Verità, che gode solo delle cose di cui può fruire senza mai andare oltre l’apparenza, è più gravoso di una tenebra che non permette di vedere dove vai. Un paragone bellissimo che dice a ciascuno di noi che, quando la mente è chiusa in sé stessa e non si apre a nulla perchè è troppo piena di sé, è più dannosa di qualsiasi altra cosa.
Il credente viene ritratto come l’uomo dell’Esodo, l’uomo che si lascia guidare da Dio. Era molto chiaro e molto esplicito il riferimento alla colonna di fuoco che guidava l’Esodo, come pure all’ombra della nube che proteggeva Israele. Queste esperienze citate nell’Esodo diventano il paragone per dire che, dove c’è Dio, c’è tutto. Dove c’è il senso della fede, è possibile ogni cosa, perchè Dio illumina e sostiene i suoi con la sua presenza, in modo misterioso e, tuttavia, reale.
Vangelo
Mc 10, 46b-52
✠ Lettura del Vangelo secondo Marco
In quel tempo. Mentre il Signore Gesù partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.
Così come appare anche nel Vangelo: c’è un uomo che è cieco fisicamente. La sua condizione non gli permette di vedere. Eppure egli ha un desiderio grande nel cuore. Forse proprio a causa di quella sua malattia, ha sviluppato meglio altri sensi e, quando sente che Gesù sta per passare accanto a lui, non può fare a meno di invocarlo per chiedere a Lui quella grazia che gli sta a cuore: la grazia della salvezza, la grazia del riavere la vista. Il cieco ottiene questo miracolo. Lo ottiene perché crede, perché spera, perché la sua tenebra è solo legata al senso della vista. Interiormente quest’uomo vede benissimo. Non si è chiuso nell’orgoglio, rimane aperto alla ricerca del mistero di Dio. Anzi proprio la sua condizione gli ha permesso, a differenza di molti altri uomini, di porsi quelle domande che, ora, sono diventate il lasciapassare per ottenere la grazia da Gesù.
Il cieco è proprio quell’uomo sapiente che si sa fidare di Dio, nonostante la sua condizione di vita difficile, complessa, seria.
Per Noi
Anche noi, che vediamo benissimo, non è detto che possediamo quella sapienza di vita che ci viene raccomandata dalle scritture. Per questo, pur vedendo, potremmo essere anche noi ciechi.
Siamo ciechi ogni volta che ci chiudiamo in noi stessi e non accediamo alla rivelazione di Dio.
Siamo ciechi ogni volta che sostituiamo alla fede il nostro sapere, la nostra sapienza, la nostra esperienza, la nostra visione del mondo delle cose.
Siamo ciechi ogni volta che vogliamo trionfare sulle cose, senza chiederci cosa Dio ci sta chiedendo e dove Dio ci sta conducendo in questo momento di vita.
- Vogliamo essere ciechi o vogliamo aprirci a quella dimensione di fede che, sola, salva l’anima?
Chiediamoci cosa vogliamo fare perché l’atteggiamento della vera conversione è solo questo! L’atteggiamento di chi si consegna a Dio e attende dalla sua sapienza la rivelazione di ogni cosa.