Domenica 19 febbraio 2023

Ultima dopo l’Epifania – il perdono

Per introdurci

  • Perché tutti facciamo così fatica a credere nel perdono di Dio?
  • Perché facciamo fatica a credere in questa parola del Signore, che pure conosciamo?

La parabola del padre misericordioso, o, come l’abbiamo sempre chiamata, del figliol prodigo, ci attira sempre. Eppure, poi, facciamo molta fatica a credere davvero nel perdono di Dio, facciamo molta fatica a viverla. Sia che siamo nei panni del figlio minore. Ovvero lontani dalla fede, sia che ci troviamo in quelli del figlio maggiore, ovvero vicini a Dio ma pieni di risentimento e di altri sentimenti negativi, sia, anche, quando dobbiamo metterci nei panni di questo padre misericordioso per offrire il nostro perdono. Perché facciamo così fatica?

La Parola di Dio 

LETTURA Os 1, 9a; 2, 7a.b-10. 16-18. 21-22
Lettura del profeta Osea

Il Signore disse a Osea: «La loro madre ha detto: “Seguirò i miei amanti, che mi danno il mio pane e la mia acqua, la mia lana, il mio lino, il mio olio e le mie bevande”. Perciò ecco, ti chiuderò la strada con spine, la sbarrerò con barriere e non ritroverà i suoi sentieri. Inseguirà i suoi amanti, ma non li raggiungerà, li cercherà senza trovarli. Allora dirà: “Ritornerò al mio marito di prima, perché stavo meglio di adesso”. Non capì che io le davo grano, vino nuovo e olio, e la coprivo d’argento e d’oro, che hanno usato per Baal. Perciò, ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Le renderò le sue vigne e trasformerò la valle di Acor in porta di speranza. Là mi risponderà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d’Egitto. E avverrà, in quel giorno – oracolo del Signore – mi chiamerai: “Marito mio”, e non mi chiamerai più: “Baal, mio padrone”. Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nell’amore e nella benevolenza, ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore».

SALMO Sal 102 (103)

Il Signore è buono e grande nell’amore.

Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tutti i suoi benefici. R

Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue infermità,
salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia. R

Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Non ci tratta secondo i nostri peccati
e non ci ripaga secondo le nostre colpe. R

EPISTOLA Rm 8, 1-4
Lettera di san Paolo apostolo ai Romani

Fratelli, non c’è nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. Perché la legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù, ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte. Infatti ciò che era impossibile alla Legge, resa impotente a causa della carne, Dio lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e a motivo del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della Legge fosse compiuta in noi, che camminiamo non secondo la carne ma secondo lo Spirito.

VANGELO Lc 15, 11-32
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Vangelo

Partiamo dunque dal Vangelo. Una delle intuizioni più belle a commento di questa parabola ha animato la riflessione di J.H.Newman, anglicano, pastore poi convertitosi al cattolicesimo e divenuto infine cardinale, il quale quasi due secoli fa scriveva: “Il pentimento è un’operazione che si sviluppa in tempi diversi, soltanto gradualmente, e arriva a perfezione con molti capovolgimenti… è un’operazione che non è mai completa…; il più perfetto tra i cristiani è, per se stesso, soltanto un principiante, un figlio prodigo della penitenza che ha sperperato i doni di Dio”. La fatica che proviamo nel rileggere questo testo e, soprattutto nel viverlo, nasce proprio da questo fatto: noi facciamo fatica a pensare che il cristiano più perfetto sia un principiante, uno che ha sperperato i doni di Dio e, per questo, in questa consapevolezza, torna da suo padre per chiedere, per supplicare il suo perdono. Facciamo fatica a capire questa parabola, da qualsiasi punto di vista ci mettiamo, perché noi non abbiamo e non vogliamo avere questa consapevolezza. Pretendiamo di essere qualcuno, crediamo che, in fondo, il nostro cammino non è poi così male, riteniamo che, in fondo, a salvarci siamo più noi con i nostri meriti, con quello che sappiamo fare di buono, che non Dio a salvarci gratuitamente e con la sua grazia. Uno come il figlio minore descritto da San Luca, noi tutti lo consideriamo un peccatore, un poco di buono, uno di quelli con cui, in fondo, è meglio non avere a che fare. Uno di cui non raccomanderemmo la compagnia, uno che sì, certo, può essere accolto nelle nostre assemblee, nelle nostre chiese, ma, in fondo, non propriamente uno da integrare nella comunità. Facciamo molta fatica a capire che, invece, nell’immagine splendida di quel figlio, è sotteso, in fondo, ciascuno di noi. L’identità di quel figlio che va e che spreca, in fondo, è l’identità di ciascuno di noi, figli amati, eletti da Dio, eppure sempre così lontano dal suo amore, dal vivere la vita come Lui ci chiede, dal pensare come Lui ci chiede di pensare. Noi siamo i figli prodighi!

Siamo figli minori nei nostri peccati.

Siamo figli minori nella lontananza del pensiero da Dio.

Siamo figli minori quando pensiamo che, in fondo, la vita sia nostra e, per questo, possiamo farne quello che vogliamo.

Siamo figli minori quando ci sentiamo giustificati nello sperperare qualsiasi cosa: doni di Dio, relazioni, mondo in cui viviamo, cose.

Di fatto, moltissimi di noi, vivono in tutte queste cose, anche se, magari, non si sono ancora accorti che questo provoca realmente una lontananza da Dio che è abissale.

Come, però, anche il primo figlio, il maggiore, quello che, apparentemente rimane sempre con il padre, è, di fatto, lontano da Lui. È lì, nella casa, lavora, partecipa di tutto. Eppure, cova sentimenti di rabbia, giudizio, forse anche odio. Nei confronti del fratello ma, in fondo, anche nei confronti del padre che trattiene presso di sé senza quasi curarsi di chi c’è, della presenza, del servizio, del lavoro.

Siamo figli maggiori quando giudichiamo gli altri.

Siamo figli maggiori quando, in fondo, giudichiamo anche Dio, quando ci dichiariamo non d’accordo su come lascia andare le cose, quando vorremmo quasi suggerirgli cosa fare, come intervenire nel mondo, come togliere di mezzo quelli che da noi sono ritenuti malvagi, quando non accettiamo che la vita vada come va e pretendiamo, a tutti i costi, di avere ragione su tutto. Siamo figli maggiori, soprattutto, quando riteniamo che l’immagine di chi torna umile non sia, in fondo, l’immagine più bella del cristiano. Siamo figli maggiori quando ci riteniamo già a posto e, quindi, vanifichiamo il perdono di Dio.

È per questo che, quando poi siamo richiesti di qualche azione di perdono che non sia ordinaria, che non sia normale, tutti viviamo con estrema difficoltà anche il concedere il perdono, dimenticando, in fondo, quella raccomandazione del Signore: “siate perfetti, come perfetto è il padre mio”.  La perfezione di Dio è, appunto, la misericordia. Non credo che ci riteniamo perfetti, ma, per lo meno, non troppo male. Questo sì! Nel nostro ritenerci non male, non lasciamo posto a questa raccomandazione del Signore, a questo suo desiderio di introdurci, di guidarci in una via di perfezione che è davvero non comune, eppure possibile per chi crede nella potenza e nella forza del Suo Spirito.

Romani

Così capiamo le parole difficili ma profondissime di San Paolo. Dio manda suo Figlio “in una carne simile a quella del peccato e a motivo del peccato”. Il mistero dell’incarnazione dice questo: Dio manda il Figlio nella nostra carne, nel corpo di un uomo. Carne che è simile al peccato, perché, in Cristo, priva di ogni peccato e per questo in grado di riscattare la carne del peccato degli uomini, il che vuol dire anche di tutti noi. Ma è per questo che noi siamo invitati a “camminare secondo lo Spirito”; cioè a lasciarci guidare da quell’immagine di uomo perfetto che Cristo ha rivelato con la sua stessa presenza e, poi, nella sua parola. Se l’uomo perfetto, in ultima analisi, è lui solo, uomini che camminano sulla via della perfezione sono tutti quelli che decidono di non vanificare la passione di Cristo e si impegnano a camminare per quella via che è ritorno, che è attestazione dinanzi a Dio della propria lontananza, che è supplica della misericordia, che è richiesta di amore infinito.

Osea

Come anche dice l’immagine di Osea. Come una donna comprende, dopo essere stata con diversi amanti, cosa ha perso, cosa ha lasciato, così deve essere l’anima. La grandezza di un’anima si vede non nella perfezione del cammino ma nella richiesta del perdono di Dio. Un’anima, ci dice il profeta, non è mai tanto grande come quando riconoscendo la propria piccolezza, anzi il proprio nulla, torna dal suo Signore e chiede di essere ricostituita nella dimensione di quella grazia che diventa onore e bellezza. Perché questo avvenga, come ci ha detto anche la parabola c’è bisogno di un deserto, c’è bisogno di assaporare un momento di solitudine, di silenzio, di presa di coscienza di ciò che si è perso. Questo è ciò che permette all’anima di riposarsi in Dio e di ricostruirsi nel proprio cammino.

Per il nostro cammino

Spero che la domanda che nasce dentro di noi in modo spontaneo, dopo aver riletto ancora una volta il testo bellissimo di questa parabola, sia:

  • che cosa devo fare io?
  • Come devo mettermi in cammino per giungere a questa meta? Cosa devo fare per essere anch’io uno che si riconosce figlio bisognoso del perdono di Dio?

Un primo passaggio potrebbe essere quello di riprendere seriamente in mano il Vangelo di domenica scorsa, quello della peccatrice, e quello di oggi, per arrivare a capire che in quaresima non si entra per una disposizione delle proprie forze, ma sorretti dalla misericordia di Dio, dalla sua clemenza e dal suo perdono. Proprio perché Dio è clemente, proprio perché Dio perdona, io posso iniziare quell’itinerario di conversione che, altrimenti, sarebbe solo sforzo della mia volontà. Credo che ci farà bene rimanere in contemplazione o in atteggiamento di approfondimento di questa verità.

In secondo luogo, vi rispondo con le parole di Newman stesso che diceva: “vai in chiesa regolarmente, di dire le sue preghiere al mattino e alla sera e di leggere con sicura determinazione le Sacre Scritture”. Se vuoi approfondire la tua identità di figlio, se vuoi metterti sulla via del ritorno, non dobbiamo fare altro che questo. Non è cosa nuova, ma riscoprire il valore della messa domenicale, riscoprire il valore di una visita silenziosa in chiesa quando possiamo, riscoprire il valore fondamentale che le scritture hanno nel nostro cammino, è quanto serve per giungere a questa identità e ad approfondire il nostro cammino di fede. Non sono cose nuove. Sono le cose di sempre, eppure, anche se le conosciamo bene, non le facciamo. È per questo che è in crisi la nostra identità e il nostro desiderio di perdono di Dio.

In terzo luogo, ancor con il cardinale Newman, vi dico: “Ma il fare tutto questo implica che ci sia davvero la fede. Il figlio pentito non sperimentò grandi emozioni sul cammino di ritorno, ma pregò il Padre di essere accettato come uno dei suoi garzoni. Noi dobbiamo cominciare a vivere la nostra religione con ciò che sembra essere una formalità. Il nostro errore sarà, non nel cominciarla come se si trattasse di una formalità, ma nel continuare a esercitarla come tale. Perché il nostro dovere è cercare con tutte le nostre forze e pregare per entrare nel vero spirito del nostro servizio e, in proporzione a quanto comprendiamo di esso e lo amiamo, esso cesserà di essere una forma e un dovere, e diventerà la vera espressione del nostro spirito. In tal modo saremo mutati man mano nel cuore dalla condizione di servi a quella di figli di Dio”. Il pentimento è quindi legato alla disponibilità a obbedire come un garzone – una disponibilità, certo, che è avvolta dalla misericordia del Padre ed introduce nel fascino della nuova vita dei figli di Dio. In questa ultima settimana dopo l’Epifania e prima che inizi la quaresima, provate a meditare su questa disponibilità ad essere come un garzone, ad obbedire ad un cammino di fede che sia anche una formalità. Proviamo a riprenderci questi spazi e allora comprenderemo il perdono di Dio e daremo senso ad un itinerario di quaresima che sia veramente tale.

2023-02-17T15:49:43+01:00