Del cieco nato
Per introdurci
- Abbiamo scritto la nostra regola di vita per la quaresima e la stiamo mantenendo?
- Abbiamo cercato di crescere nella preghiera con coloro che amiamo e per coloro che amiamo?
- Abbiamo pregato con la Parola in questi giorni?
Sono i tre atteggiamenti concreti che ci siamo proposti di vivere in questi giorni. Ora siamo già alla metà di questo tempo che ci prepara alla Pasqua e il nostro cammino deve farsi più intenso e forte. Ecco il quarto segno concreto: pregare con un malato, visitando un malato.
La Parola di Dio
LETTURA Es 34, 27 – 35, 1
Lettura del libro dell’Esodo
In quei giorni. Il Signore disse a Mosè: «Scrivi queste parole, perché sulla base di queste parole io ho stabilito un’alleanza con te e con Israele». Mosè rimase con il Signore quaranta giorni e quaranta notti, senza mangiar pane e senza bere acqua. Egli scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza, le dieci parole. Quando Mosè scese dal monte Sinai – le due tavole della Testimonianza si trovavano nelle mani di Mosè mentre egli scendeva dal monte – non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con lui. Ma Aronne e tutti gli Israeliti, vedendo che la pelle del suo viso era raggiante, ebbero timore di avvicinarsi a lui. Mosè allora li chiamò, e Aronne, con tutti i capi della comunità, tornò da lui. Mosè parlò a loro. Si avvicinarono dopo di loro tutti gli Israeliti ed egli ingiunse loro ciò che il Signore gli aveva ordinato sul monte Sinai. Quando Mosè ebbe finito di parlare a loro, si pose un velo sul viso. Quando entrava davanti al Signore per parlare con lui, Mosè si toglieva il velo, fin quando non fosse uscito. Una volta uscito, riferiva agli Israeliti ciò che gli era stato ordinato. Gli Israeliti, guardando in faccia Mosè, vedevano che la pelle del suo viso era raggiante. Poi egli si rimetteva il velo sul viso, fin quando non fosse di nuovo entrato a parlare con il Signore. Mosè radunò tutta la comunità degli Israeliti e disse loro: «Queste sono le cose che il Signore ha comandato di fare».
SALMO Sal 35 (36)
Signore, nella tua luce vediamo la luce.
Signore, il tuo amore è nel cielo,
la tua fedeltà fino alle nubi,
la tua giustizia è come le più alte montagne,
il tuo giudizio come l’abisso profondo:
uomini e bestie tu salvi, Signore. R
Quanto è prezioso il tuo amore, o Dio!
Si rifugiano gli uomini all’ombra delle tue ali,
si saziano dell’abbondanza della tua casa:
tu li disseti al torrente delle tue delizie. R
È in te la sorgente della vita,
alla tua luce vediamo la luce.
Riversa il tuo amore su chi ti riconosce,
la tua giustizia sui retti di cuore. R
EPISTOLA 2Cor 3, 7-18
Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, se il ministero della morte, inciso in lettere su pietre, fu avvolto di gloria al punto che i figli d’Israele non potevano fissare il volto di Mosè a causa dello splendore effimero del suo volto, quanto più sarà glorioso il ministero dello Spirito? Se già il ministero che porta alla condanna fu glorioso, molto di più abbonda di gloria il ministero che porta alla giustizia. Anzi, ciò che fu glorioso sotto quell’aspetto, non lo è più, a causa di questa gloria incomparabile. Se dunque ciò che era effimero fu glorioso, molto più lo sarà ciò che è duraturo. Forti di tale speranza, ci comportiamo con molta franchezza e non facciamo come Mosè che poneva un velo sul suo volto, perché i figli d’Israele non vedessero la fine di ciò che era solo effimero. Ma le loro menti furono indurite; infatti fino ad oggi quel medesimo velo rimane, non rimosso, quando si legge l’Antico Testamento, perché è in Cristo che esso viene eliminato. Fino ad oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso sul loro cuore; «ma quando vi sarà la conversione al Signore, il velo sarà tolto». Il Signore è lo Spirito e, dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà. E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore.
VANGELO Gv 9, 1-38b
✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo. Passando, il Signore Gesù vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so». Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!». Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!».
Vangelo
A suggerirmi questo possibile segno concreto per questa quarta settimana di quaresima è il Vangelo. Certamente il Signore Gesù ha incontrato numerosi malati, come ci viene detto da molte pagine. Anche nel caso odierno, ciò che conta, sono i gesti e le parole di Gesù.
Il primo gesto è il vedere. Il primo gesto del Signore è la contemplazione della scena. Quella stessa scena che vedono i discepoli. Ma l’occhio del Signore è profondamente diverso. I discepoli vedono un malato e pongono uan domanda teologica: di chi è colpa se è malato? Partendo dal presupposto che la malattia sia la punizione del peccato, i discepoli chiedono se quella malattia sia dovuta ad un peccato personale del cieco oppure se sia dovuta ad un peccato dei genitori o, comunque, della famiglia. Gesù non vede un “caso” ma vede un uomo con il suo dolore. Il dolore di una menomazione. Il dolore di una vita non uguale a quella degli altri. Il dolore di un’emarginazione. Il dolore di dover vivere della compassione altrui. Ed è per questo che lo accosta.
Il secondo gesto è il fermarsi e il toccare. Gesù, anche per spiegare ai discepoli, non rimane ai margini. Accosta quest’uomo, entra in contatto con lui. Contatto che è anche fisico. Gesù compie per quest’uomo i medesimi gesti di Dio creatore. Prende della terra, la impasta di saliva, manda quest’uomo ad una delle piscine più importanti di Gerusalemme. È così che il cieco nato riacquista la vista, grazie a dei gesti che sono gesti di bontà, di vicinanza, di comprensione, di amore, di nuova creazione.
Il terzo gesto, dopo il lungo intermezzo dei progressivi racconti presso i giudei, il dialogo. Dialogo intenso, profondo, volto a far comprendere chi ha davanti. Il cieco, che pure ha cominciato a pensare all’identità di Gesù per suo conto, mentre continuamente viene interrogato; il cieco che si è fatto un’idea dell’identità di Gesù viene pian piano condotto a comprendere la sua divinità, la sua messianicità. Ed è a questo punto che Gesù lo vuole portare. Il cieco comprende così di non essere di fronte ad un uomo che gli ha voluto bene, di fronte ad un uomo che lo ha guardato con compassione, ma è di fronte a Dio che lo ha guardato nella sua singolarità e nella sua unicità. È per questo che il cieco, commosso dalle parole, dai gesti, dal tempo che il Signore Gesù gli ha donato e della salvezza che gli ha portato, professa la sua fede e, anche se la liturgia ha troncato questo gesto, gli si inginocchia davanti. È il segno della fede, è il segno dell’adorazione, è il segno della preghiera. L’uomo che era stato cieco, di fronte a tutto quello che il Signore ha fatto per lui, risponde con una serie di gesti di fede.
Quella fede che è propriamente illuminazione. Il cieco, che pure sapeva tante cose della fede ebraica – viene da una famiglia che frequenta la sinagoga, come si evince molto bene dal testo – intuisce che la fede è altro. Non è il saper le cose ma è lo sperimentare la grazia di Dio, la sua vicinanza, la sua amorevolezza, il farsi vicino di Dio anche a uno come lui, uno che era ritenuto da tutti un peccatore, lui e la sua famiglia. È proprio a questa illuminazione che Gesù vuole portarlo perché l’uomo possa adorare e pregare un Dio diverso: non il Dio del castigo e della vendetta ma il Padre della vicinanza, della misericordia, dell’aiuto, della tolleranza, del perdono.
Esodo
Anche l’Esodo ci aiuta a continuare la nostra riflessione. Mosè, il grande profeta che, in queste domeniche di quaresima, contempliamo come il grande profeta e anche come il grande legislatore, aveva una fede intensissima. Una fede inspiegabile che trasformava perfino il suo volto. Ecco perché Mosè, completamente trasfigurato dall’incontro con Dio, deve mettersi un velo sul volto quando ricomincia a parlare con gli uomini. Il suo volto è così raggiante che nessuno può vederlo senza precauzioni. È il risvolto della preghiera di Mosè. La sua preghiera è così intensa che lo trasforma, lo trasfigura. Lui che ha potuto vedere l’Invisibile faccia a faccia. Proprio Mosè, così profondamente trasformato, è colui che dice “queste sono le cose che il Signore ci ha comandato di fare”. Il riferimento è, anzitutto, ai 10 Comandamenti, alla legge. Queste parole si applicano però ad ogni circostanza di vita. Così che, anche per tornare al Vangelo, c’è un modo di fare del credente anche di fronte alla malattia che distingue il suo modo di operare e di pensare da quello di chi non ha fede.
Corinti
San Paolo tornava su questi argomenti, ben sapendo che ciò che era detto in maniera velata nella rivelazione dell’Esodo si è realizzato con la venuta del Signore Gesù, e sapendo che questa rivelazione non è stata accettata dai suoi connazionali, Mosè si domanda cosa accadrà quando anche Israele si convertirà a Cristo. Se già la prima alleanza ha prodotto risultati incredibili nel popolo santo, cosa sarà la loro concreta partecipazione alla salvezza realizzata da Cristo? Perché questo accada c’è bisogno di una testimonianza cristiana forte e coraggiosa. Questa testimonianza forte può giungere solo dal cuore di chi riesce a convertire sé stesso. Il che ci riporta a quella forza di preghiera che ci mette davanti al Signore e davanti al suo volto raggiante di luce, il volto del risorto. È quello che questo itinerario quaresimale vuole produrre dentro di noi, man mano che ci avviciniamo alla Pasqua del Signore.
Per il nostro cammino
Così anche noi tutti possiamo cercare di vivere la nostra provocazione quaresimale e suscitare in noi quella conversione che la Parola di Dio vorrebbe mettere nei nostri cuori.
- Che prossimità viviamo ai malati?
- Che gesti viviamo nei confronti dei malati?
- Che preghiera abbiamo per e con i malati?
Le pagine della scrittura ci insegnano che c’è un modo umano di reagire al problema che può esprimersi in due modi differenti. Uno è quello di chi nega il problema. Vediamo come ci siano anche tra noi, anche tra i credenti, persone che non sanno come affrontare la situazione e, allora, negano il problema. Quanti non hanno nessun contatto con i malati. Quanti non creano canali di contatto tra i giovani e il mondo della sofferenza della malattia, basta pensare a come, di fatto, anche in molte famiglie si cerca di tenere i bambini il più possibile lontano dalla relazione con persone malate.
Altri cercano un modo di vivere la vicinanza, che è cosa molto buona. Ci sono moltissime storie, anche tra noi, di vicinanza che diventa condivisione, aiuto, sostegno, dialogo profondo… È, ripeto, una cosa molto buona, consolatoria, incredibilmente utile a chi la fa tanto a chi la riceve.
Ma il credente fa qualcosa di diverso. Ce lo ha detto perfino Mosè che c’è un modo di vivere dei credenti che non è quello che vivono tutti e quello che fanno tutti. Ce lo ha ribadito il vangelo che lo stile del cristiano, di fronte al mondo del dolore e della sofferenza, è lo stile di chi reagisce anzitutto con la preghiera. Il credente accompagna coloro che soffrono presentando le loro sofferenze davanti a Dio. Ecco il senso vero di una preghiera di intercessione che tutti noi non possiamo tralasciare. Così come anche quando siamo noi i malati. La preghiera dei malati, che coniuga insieme le espressioni della voce e il dolore che si offre, è una preghiera tremendamente efficace. Chi vive da credente una esperienza di preghiera, non solo si sente consolato, ma scopre che la sua sofferenza ha un senso. Come diceva il beato don Carlo Gnocchi: accanto al divino redentore che è Gesù Cristo, ci sono tanti “umani redentori” che portano avanti e che portano a termine “quanto manca ai patimenti di Cristo”. Vivere la sofferenza in questo modo e stare di fianco ad alcune persone facendola vivere in questo modo è, per tutti, una grazia.
Non solo. Il credente utilizza gesti di prossimità. Il papa ce lo ricorda spessissimo che essere cristiani significa anche mettere mano ad alcuni atteggiamenti concreti di vicinanza a chi è nel dolore e nella sofferenza. Ecco perché credo che la raccomandazione di una visita ad un malato, nella prossima settimana, sia un gesto concreto per vivere il Vangelo. Tutti, carichi di questa parola che abbiamo ascoltato, dobbiamo compiere questo gesto, verso un parente, verso un amico, verso un conoscente o verso chi non conosciamo, magari lo stesso nostro vicino di casa che sappiamo essere malato e che non abbiamo mai visitato. Non solo il dovere di una visita, ma siate voi a portare quella benedizione che siete venuti a prendere qui in chiesa. Con un gesto: portare un’immagine, una bottiglietta di acqua santa… Osiamo la preghiera con i malati che andremo a visitare.
Infine, facciamo di queste esperienze, tesoro di misericordia. Tesoro per noi, tesoro per i nostri cammini, tesoro per le nostre vite. Come ha fatto Gesù, che ha saputo fare dei suoi incontri un momento unico di rivelazione della volontà del Padre. Viviamo queste cose, compenetriamo i nostri gesti con una preghiera intensa. Allora cambierà anche il nostro modo di vedere la sofferenza e la malattia.